GIOVANNI BIRINDELLI, 18.8.2012
(Original publication: L’Indipendenza – qui con un errata corrige)
In una recente intervista pubblicata sul settimanale Tempi, Mario Monti, a proposito dell’evasione fiscale, ha affermato: “Io penso che l’Italia si trova in uno stato di difficoltà soprattutto a causa di questo fenomeno e che si trova da questo punto di vista in uno «stato di guerra»”. Il richiamo allo “stato di guerra” (tra virgolette) per situazioni che di guerra non sono (se lo fossero occorrerebbe una formale dichiarazione di guerra con le annesse responsabilità, doveri e implicazioni) è uno strumento spesso usato da chi detiene il potere politico nelle democrazie totalitarie per giustificare misure speciali (o “strumenti forti”, così forti da rappresentare, nel caso dell’evasione fiscale oggi in Italia, uno “strappo allo stato di diritto” nelle parole del ‘garante’ della privacy Pizzetti). In fondo questo strumento è così comodo: consente di abbassare immediatamente gli standards di libertà dei cittadini con il loro stesso consenso (di ottenere da loro una specie di assegno in bianco), senza nessun costo e senza nessuna responsabilità. Che pacchia.
Per capire la distanza che separa il nostro professorino da una persona capace di porsi il problema della rule of law (della sovranità della legge) e della libertà, può essere utile ascoltare o leggere (purtroppo solo in inglese sul sito della BBC) le tre lezioni di Eliza Munningham-Buller, ex direttore generale dei servizi di sicurezza britannici (MI5), su terrorismo, sicurezza e libertà (1, 2, 3). Due passaggi di queste lezioni sono particolarmente interessanti per il tema in questione.
Il primo è quello in cui la Signora Munningham-Buller, che era in carica durante e dopo gli attacchi dell’11 settembre, critica, su una base razionale, l’espressione “guerra al terrorismo” (che invece fu usata dall’amministrazione Bush negli USA): “Non ho mai ritenuto che fosse di aiuto riferirsi a una ‘guerra’ al terrorismo, così come a una ‘guerra’ alla droga. In primo luogo, questo legittima i terroristi come guerrieri; in secondo luogo, il terrorismo è una tecnica, non uno stato. Inoltre, il terrorismo continuerà in qualche forma qualunque sia l’esito, se ce ne sarà uno, di questa ‘guerra’. Per me quello che è successo è stato un crimine e ha bisogno di essere considerato come tale”.
Lungi da me, naturalmente, ritenere l’evasione fiscale necessariamente un crimine. Come ho discusso altrove (parte 1, parte 2), ritengo anzi che l’evasione fiscale non possa essere giudicata moralmente senza prima giudicare moralmente, e quindi in modo astrattamente coerente, il regime fiscale in cui avviene. Lungi da me anche ritenere che il Regno Unito sia oggi un modello di rule of law: come hanno argomentato i pensatori liberali (fra gli altri, Leoni e Hayek) e più recentemente lo storico Niall Ferguson casualmente nella stessa serie di lezioni (le Reith Lectures) in cui la Signora Munningham-Buller ha fatto la sua, il Regno Unito non è affatto immune dalla deriva della sovranità della legge (rule of law) verso la sovranità dei legislatori (rule of lawyers) che caratterizza lo stato moderno. Tuttavia il passaggio citato crea un interessante contrasto con la nostra situazione: da un parte abbiamo una persona razionale che esorta a ritenere gli attacchi alle torri gemelle un crimine e, per tutelare la sovranità della legge e la libertà dei cittadini, a non usare termini del tipo ‘guerra’. Dall’altra invece abbiamo un professorino che dice che l’Italia è in uno “stato di guerra” contro l’evasione fiscale. Insomma, gli attacchi dell’11 settembre, rispetto all’evasione fiscale, sarebbero bazzecole.
Mah, sarà forse che affrontare il problema dell’evasione fiscale razionalmente e quindi in modo astrattamente coerente fa paura? E quindi meglio evitare ragionamenti imbarazzanti considerandola un ‘atto di guerra contro il paese’? Come dice Karl Popper, “I nemici della libertà hanno sempre accusato di sovversivismo i difensori di essa, e sono quasi sempre riusciti a persuadere gli ingenui e i benpensanti”.
Il secondo passaggio interessante è quello in cui la Signora Munningham-Buller critica il ricorso a ‘strumenti forti’ (nello specifico, alla tortura) e ricorda che dove c’è la sovranità della legge nulla giustifica la sua violazione, nemmeno il salvare vite: “La tortura è illegale per la nostra legge nazionale e per la legge internazionale. È un crimine e non è mai giustificata. È triste e peggio che il precedente governo del nostro grande alleato, gli Stati Uniti, abbia scelto di usare il water-boarding su alcuni detenuti. L’argomento che in questo modo sono state ottenute informazioni che hanno permesso di salvare vite (e accetto che sia così) non la giustifica. La tortura dovrebbe essere fermamente rigettata anche quando può offrire la prospettiva di salvare vite umane. … Io sono fiera del fatto che il servizio di sicurezza per cui lavoro si rifiutò di usare la tortura su prigionieri tedeschi di alto livello durante la Seconda Guerra Mondiale quando, nei primi anni, noi eravamo soli e c’era un alto rischio di essere invasi e che diventassimo una provincia nazista. Quindi, se non era giustificata allora, perché dovrebbe essere giustificata adesso?”
Di nuovo, lungi da me paragonare la tortura agli ‘strumenti forti’ di Monti. Il punto che voglio fare però è generale: la solidità della sovranità della legge e della difesa della libertà si vede nei momenti difficili, non quando tutto va a meraviglia. E il valore che la sovranità della legge ha per chi ha responsabilità di governo si misura da ciò che egli è disposto a sacrificare per difenderla.
Il nostro professorino è inadatto a governare un paese in cui viga la sovranità della legge: per questo, come tutti quelli che lo hanno preceduto, è adattissimo a governare l’Italia.