GOVANNI BIRINDELLI, 23.5.2014
(Pubblicazione originale: Movimento Libertario)
Uber è un’applicazione per smart phone che consente di aggirare (in modo del tutto legale, tra l’altro) le attuali “leggi” che impediscono la competizione nel settore dei taxi e quindi di aprire al libero mercato questo settore che attualmente è sottoposto a monopolio legale da parte delle amministrazioni locali, con i conseguenti vantaggi in termini di costo e qualitativi per i consumatori. Per il momento, in Italia Uber è attiva solo a Milano e sta avendo un notevole successo, al punto che coloro che lavorano per questa società recentemente hanno subìto un’aggressione fisica da parte dei tassisti.
Quest’aggressione potrebbe essere presa come punto di partenza per discutere praticamente ogni aspetto della contrapposizione fra libero mercato e interventismo/collettivismo. Tuttavia, in questo articolo io partirò da questa vicenda per discutere una particolare contrapposizione tutta interna ai sostenitori del libero mercato, e quindi di Uber. Fra questi, infatti, da una parte ci sono coloro che sono a favore del fatto che, in conseguenza dell’apertura del settore al mercato, i tassisti siano indennizzati (p. es. dal comune) per le licenze che hanno acquistato a caro prezzo per il privilegio di poter esercitare il loro mestiere al riparo della concorrenza[1]: licenze che si rivelano un investimento del tutto inutile laddove quel privilegio viene abolito o comunque aggirato dalla tecnologia. Dall’altra, ci sono coloro che sono contrari al fatto che i tassisti siano indennizzati.
Questa contrapposizione è significativa in quanto è generale e si estende molto al di là del caso particolare in questione (rimborso o meno delle licenze dei tassisti): si tratta infatti della stessa contrapposizione, sempre interna ai sostenitori del libero mercato, fra coloro che per esempio ritengono che il debito pubblico vada comunque onorato per salvaguardare i risparmi di chi ha investito in titoli di stato e coloro che invece sono favorevoli, su una base di principio prima ancora che economica, al ripudio del debito pubblico e quindi al fatto che i risparmiatori che hanno investito in titoli di stato perdano i loro risparmi.
In quanto segue, cercherò di esporre le ragioni dei secondi e cioè di quei sostenitori del libero mercato (nelle cui posizioni mi riconosco) che sono contrari all’indennizzo ai tassisti, per esempio. Non essendo in grado di comprendere come, partendo da un’ottica di libero mercato (e quindi di sovranità della Legge intesa come principio), si possa essere favorevoli a questo indennizzo, non esporrò le ragioni di questa posizione, sperando che altri vogliano illustrarle con un argomento che sia coerente con l’ideale di libertà in cui si riconoscono.
Il monopolio legale di una qualsiasi attività economica implica l’uso della violenza da parte dello stato. Questa violenza (o la minaccia della stessa) ha la funzione di impedire lo svolgimento di quell’attività a tutti tranne che a coloro che hanno ricevuto dallo stato stesso il privilegio di poterla esercitare al riparo dalle dinamiche della concorrenza. In questo caso stiamo parlando dei tassisti ma lo stesso discorso potrebbe essere fatto a proposito delle banche centrali in relazione alla stampa di moneta fiat a corso forzoso, per esempio.
In quanto “legge speciale fatta per uno o per pochi; indi vantaggio concesso a uno solo o a più, e di cui si gode a esclusione degli altri contro il diritto comune” (etimo.it), il privilegio è una violazione della Legge intesa come principio e quindi come regola generale e negativa di comportamento individuale valida per tutti allo stesso modo. In altre parole, è un crimine. Chi investe nel privilegio investe quindi nel crimine. Il fatto che questo crimine sia commesso dallo stato (e cioè che, grazie al positivismo giuridico, sia legale) non ne altera minimamente (se non in peggio) la natura.
Ora, nel momento in cui questo privilegio viene superato (vuoi perché lo stato lo abolisce, come nel caso dell’abolizione della schiavitù; vuoi perché viene aggirato dall’innovazione tecnologica, come nel caso di Bitcoin e di Uber), si ha semplicemente la fine dell’esercizio sistematico di un crimine. E la fine dell’esercizio di un crimine non dà diritto ad alcun compenso per coloro che avevano investito nel crimine: le stesse ragioni che rendono un’attività un crimine rendono criminale un eventuale compenso coercitivo per l’impossibilità di commettere quel crimine o di guadagnarci sopra. La fine dello jus primae noctis non conferisce al castellano il diritto ad avere una prostituta pagata da chi ha abolito il suo privilegio. Coloro che legalmente estraggono una rendita dall’impiego di schiavi (e coloro che fanno affari con questi) non hanno diritto a essere ricompensati nel momento in cui viene abolita la schiavitù e gli ex schiavi devono essere pagati con salari di mercato. Quando Bitcoin & Co. vinceranno definitivamente sulla moneta fiat, magari contribuendo al ritorno dell’oro fisico, le banche centrali non avranno alcun diritto a essere ricompensate per perdita del privilegio di poter stampare denaro fiat a corso forzoso (in regime di monopolio legale); e le banche a riserva frazionaria non avranno alcun diritto a essere ricompensate per l’impossibilità di essere salvate mediante stampa di denaro fiat da parte delle banche centrali, o a essere salvate in altro modo coercitivo: esse devono semplicemente essere lasciate fallire. Semmai sarebbe vero l’inverso: sarebbero coloro che hanno subìto lo jus primae noctis, coloro che hanno subìto la schiavitù, coloro che hanno subìto le conseguenze della stampa di moneta fiat da parte delle banche centrali (e cioè la perdita del potere d’acquisto della moneta e le crisi economiche cicliche), ad avere diritto a un indennizzo da parte di coloro che hanno esercitato o tratto profitto da questi privilegi (anche se per motivi pratici e storici non sempre il riconoscimento di questo indennizzo, per quanto legittimo, è possibile).
Lo stesso discorso vale nel caso del rimborso del debito pubblico. Non ripagare i debiti è illegittimo, ma solo quando i debiti sono stati contratti privatamente in modo legittimo. Non rientra in questa fattispecie, naturalmente, il debito pubblico. Se Tizio contrae un debito con Caio ma, ricorrendo alla violenza e alla coercizione, fa in modo che l’onere del ripianamento del debito ricada su Sempronio, allora questo è un crimine ai danni di Sempronio: in particolare un furto. Prestando soldi a Tizio, Caio investe in questo crimine. Il fatto che questo crimine sia legale lo configura, di nuovo, come privilegio (un’azione come quella di Tizio lo stato la riserva solo a se stesso, non ad altri). Come dice Murray Rothbard nel suo noto articolo in difesa del ripudio del debito pubblico, «Entrambe le parti [Tizio e Caio, n.d.r.] sono immoralmente inclini a partecipare alla violazione dei diritti di proprietà dei cittadini nel futuro [cioè di Sempronio, n.d.r.]. Entrambe le parti, dunque, stanno facendo accordi sulla proprietà altrui ed entrambe meritano il dorso della nostra mano. L’operazione di credito pubblico non è un vero contratto che deve essere considerato sacrosanto, come non dovrebbe essere considerato un contratto sacrosanto quello dei ladri che si dividono il bottino in anticipo».
Per le stesse ragioni, cioè per il fatto che fino a oggi essi hanno investito in un privilegio e quindi in un crimine, i tassisti non avrebbero diritto ad alcun indennizzo per la perdita di efficacia o per la decadenza della loro licenza. Essi devono semplicemente perdere i loro privilegi, quindi la loro licenza e il lavoro che dipende da essa, senza avere assolutamente nulla in cambio.
In sistemi politici basati sul privilegio come lo sono le “democrazie” totalitarie, è estremamente difficile che i privilegi vengano aboliti da chi controlla lo stato. La teoria dimostra che, al contrario, in questo contesto i privilegi tendono necessariamente ad aumentare e a rafforzarsi (e, incidentalmente, l’esperienza conferma abbondantemente questo fatto). Dove, grazie al positivismo giuridico, un gruppo di persone può ottenere voti e potere politico illimitato in cambio di privilegi elargiti a destra e a manca (“reddito di cittadinanza” dei grillini docet), occorrerebbero senso dell’onore e dignità diffusi perché i privilegi non si espandessero continuamente. Tuttavia, anche in una società come la nostra in cui la maggior parte delle persone si fa comprare per un tozzo di pane, l’innovazione tecnologica orientata alla disintermediazione (come Internet, Bitcoin e Uber) è a volte capace di scavalcare lo stato “democratico” e di scardinare alcuni dei privilegi su cui esso si regge. Quando questo succede, è un meraviglioso spettacolo da osservare. Una sorta di aurora boreale. In questi casi, inevitabilmente, lo stato reagisce a difesa dei privilegi ma così facendo non fa che spingere oltre queste innovazioni tecnologiche orientate alla disintermediazione. Un attacco a Uber da parte dello stato potrebbe spingerla per esempio su piattaforma Bitcoin e quindi renderla inattacabile dalla “democrazia” totalitaria.
NOTE
[1] Dal punto di vista di chi contesta, su una base di principio, il diritto dei tassisti a ottenere un indennizzo per l’inefficacia o la decadenza della licenza, la questione di come si sia formato questo prezzo (p. es. se sia stato fissato arbitrariamente dal comune oppure, come nel caso in esame, se sia emerso da un processo “di mercato” ristretto a coloro che avevano ottenuto la licenza) è del tutto irrilevante.