GIOVANNI BIRINDELLI, 11.8.2014
(Pubblicazione originale: Movimento Libertario, qui con alcune piccole modifiche)
«Per quanto mi riguarda sono contraria [al fatto che nella fecondazione eterologa i futuri genitori possano scegliere un colore della pelle e/o degli occhi compatibile col proprio]: questa si chiama discriminazione razziale. Non se ne parla, sarebbe anticostituzionale. È come se chi adotta un bambino lo potesse scegliere. Lo impedisce la legge. Mica siamo al supermercato». In questa esternazione riportata, ovviamente senza il minimo scandalo, da un giornale, il ministro della salute Beatrice Lorenzin mostra di avere le idee un po’ confuse sul concetto di discriminazione. Una persona che non fosse un semplice ripetitore di luoghi comuni (e cioè assimilabile a un oggetto) non avrebbe bisogno di aiuto per capire:
- che, nel caso di una fecondazione eterologa, la scelta di un particolare colore della pelle (simile o diverso dal proprio non importa) non è una forma di discriminazione razziale ma un’espressione di libertà;
- che la costituzione che lei difende include forme di discriminazione che, quelle sì, sul piano dell’uguaglianza davanti alla Legge, sono identiche e non distinguibili dalle “leggi” razziali.
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È probabile che la “legge” che uscirà fuori dal parlamento sulla fecondazione eterologa non accoglierà questa stravagante posizione del ministro. Tuttavia questo non rende la sua esternazione priva d’interesse in quanto essa esprime una mentalità totalitaria oggi estremamente diffusa in molti àmbiti.
Secondo un autorevole vocabolario della lingua italiana[1] il termine “discriminazione” ha due significati:
- Distinzione;
- Disparità di trattamento.
Il primo significato si riferisce alla scelta, in base ai propri gusti o alle proprie esigenze, fra opzioni che sono o appaiono diverse fra loro a chi la fa e ne subisce responsabilmente le conseguenze: se Tizio è fisicamente attratto da Caia anche per il colore della sua pelle (qualunque esso sia) e la sceglie al posto di Sempronia anche sulla base di questo criterio, Tizio sta facendo una discriminazione nel primo senso del termine (o più precisamente sta facendo una scelta sulla base di una discriminazione di questo tipo). In altre parole, nello scegliere come partner la persona che lo attrae anche per il colore della sua pelle, Tizio sta esercitando la sua libertà, non sta violando la libertà altrui: in particolare, sta scegliendo sulla base di un suo gusto personale senza esercitare coercizione su nessuno.
Il secondo significato del termine “discriminazione” si riferisce invece proprio all’esercizio, tipicamente da parte dello stato, di coercizione su una o più persone sulla base di criteri arbitrariamente stabiliti da chi detiene il potere politico: se quest’ultimo trattasse le persone in maniera diversa, cioè esercitasse su di loro gradi e tipi di coercizione diversi, sulla base di criteri arbitrari da esso arbitrariamente stabiliti, allora farebbe una discriminazione del secondo tipo. Per esempio, se il potere politico ricorresse alla coercizione per impedire alle persone con la pelle di un determinato colore di esercitare una particolare professione, allora violerebbe la libertà di quelle persone (maggiormente di quella di altre) e violerebbe il principio di uguaglianza davanti alla Legge (metto in nota[2] la purtroppo sempre necessaria distinzione fra ‘legge’ fiat e Legge, e quindi, da un lato, quella fra uguaglianza davanti alla prima, che include la possibilità della disuguaglianza legale, e uguaglianza davanti alla seconda, che invece la esclude; e, dall’altro, quella fra legalità, il rispetto della “legge” fiat, e legittimità, il rispetto della Legge).
Come si vede, i due significati del termine “discriminazione” sono opposti l’uno all’altro. Il primo è inscindibile dalla libertà: scegliere implica discriminare; l’individualità e l’azione umana sono inscindibili dalla discriminazione, oltre che dalla speculazione. Il secondo significato del termine “discriminazione”, invece, è inscindibile dalla coercizione arbitraria e quindi dalla violazione della libertà e dell’uguaglianza davanti alla Legge (dunque dal privilegio). Ritornando ai nostri esempi, Tizio, che ha scelto Caia anche per il colore della sua pelle perché lo attraeva fisicamente di più di quello di Sempronia, può scegliere di dare la sua vita per difendere Sempronia dalle discriminazioni (p. es. razziali) che potrebbero essere applicate ai suoi danni dallo stato totalitario (p. es. “democratico”).
Nel momento in cui Tizio, invece di scegliere il colore della pelle di Sempronia, sceglie il colore della pelle di una persona che si offre per la fecondazione eterologa, non sta esercitando coercizione su nessuno: sta semplicemente facendo una discriminazione del primo tipo. Come abbiamo visto, questa discriminazione non è altro che un’espressione di libertà e in quanto tale è perfettamente legittima. Naturalmente, uno stato che impedisse a Tizio di farla e che quindi accogliesse le posizioni del ministro, sarebbe criminale e totalitario (il che, in uno stato “democratico” come quello italiano, essendo la regola invece che l’eccezione, non scandalizza più nessuno).
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Il problema della discriminazione intesa come disparità di trattamento non sta nel particolare criterio, p. es. il colore della pelle (‘leggi’ razziali), la ‘fascia di reddito’ (p. es. progressività fiscale), l’‘altezza della carica dello stato’ (“Lodo Alfano”) ecc., ma nella discriminazione stessa e quindi, in particolare, nella violazione dell’uguaglianza davanti alla Legge. In altre parole, la “discriminazione razziale” non è aberrante né illegittima perché è “razziale”: è aberrante e illegittima perché è “discriminazione”, cioè disparità di trattamento, violazione dell’uguaglianza davanti alla Legge, disuguaglianza legale. Su un piano di principio, in quanto discriminazione, la “discriminazione fiscale”, cioè la diversità di trattamento nel saccheggio della proprietà privata fatto dallo stato attraverso le imposte (pensiamo alla progressività fiscale prevista all’articolo 53 della costituzione che il ministro difende[3]), non è meno aberrante della “discriminazione razziale”: sul piano dell’uguaglianza davanti alla Legge, infatti, queste due forme di discriminazione sono indistinguibili fra loro quanto lo sono fra loro la gravità e l’accelerazione[4]. In entrambi i casi il potere politico fissa un criterio arbitrario (in un caso l’etnia, nell’altro il livello di reddito); sulla base di questo criterio forma categorie altrettanto arbitrarie di cittadini (chi appartiene all’etnia A e chi all’etnia B; chi guadagna più di X e chi meno di X); e infine tratta allo stesso modo le persone che ha raggruppato nella stessa categoria ma in modo diverso le persone che ha raggruppato in categorie diverse.
Difendere la progressività fiscale e la costituzione che l’adotta, come fa il ministro in questione, significa difendere l’uguaglianza davanti alla “legge” fiat e quindi significa difendere la violazione dell’uguaglianza davanti alla Legge: violazione che, come abbiamo visto, è la prima cosa che rende illegittime, oltre che aberranti, le “discriminazioni razziali”. In altre parole, nel difendere la progressività fiscale e la costituzione che l’adotta, quel ministro sta difendendo le discriminazioni razziali che essa dice di voler contrastare perché sta difendendo l’idea astratta di “uguaglianza davanti alla legge” (quella compatibile con la disuguaglianza legale) e quindi di “legge” (il positivismo giuridico) su cui esse si basano e che le rende possibili.
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Nel suo difendere la costituzione italiana e quindi la progressività fiscale, quel ministro non solo sta difendendo la stessa idea astratta di “uguaglianza davanti alla legge” applicata dalle “leggi” razziali durante il fascismo e oggi, sistematicamente, in innumerevoli altre circostanze, ma sta esplicitamente affermando che il potere politico ha il “diritto” di esercitare coercizione su una o più persone perché i gusti di questa/e persona/e sono diversi dai propri. In altre parole, nella sua affermazione il ministro dimostra di essere a favore del fatto che chi detiene il potere politico possa imporre con la violenza i propri gusti agli altri.
Immaginiamo che Tizio abbia come priorità il tempo libero; che per averlo faccia un lavoro dove guadagna quel poco che è necessario per goderselo; e che rifiuti un altro lavoro che, a fronte di una significativa riduzione del suo tempo libero, gli consentirebbe di guadagnare molto di più: l’importanza che dà al suo tempo libero è molto maggiore di quella che darebbe al reddito aggiuntivo. Viceversa, immaginiamo che Caio abbia come priorità uno stile di vita che può essere garantito solo da un elevato reddito (molto più elevato di quello di Tizio); che per mantenere questo stile di vita faccia un lavoro che gli lascia pochissimo tempo libero a disposizione; e che rifiuti un altro lavoro che, a fronte di una significativa riduzione del suo reddito, gli consentirebbe di avere molto più tempo libero: l’importanza che dà al suo stile di vita dispendioso è molto maggiore di quella che darebbe al maggiore tempo libero a disposizione. Per semplicità (anche se non è necessario), possiamo assumere che Tizio e Caio, nelle loro rispettive situazioni, abbiano la stessa soddisfazione: l’unica differenza è che, dati i loro gusti diversi, in un caso questa soddisfazione proviene maggiormente da cose che non si possono comprare, mentre nell’altro proviene maggiormente da cose che devono essere comprate. Dove c’è la progressività fiscale (ma anche dove c’è la proporzionalità fiscale), lo stato farà una discriminazione (secondo significato del termine) ai danni di Caio, cioè eserciterà maggiore coercizione su di lui che su Tizio: infatti lo stato sottrarrà a Caio con la violenza non solo più risorse di quelle che sottrae a Tizio, ma addirittura in una percentuale maggiore sul suo reddito (che, incidentalmente, è proprio la cosa a cui Caio dà più importanza). In altre parole, lo stato esercita maggiore coercizione su Caio perché ha gusti diversi da quelli di Tizio e che chi controlla lo stato ritiene essere più meritevoli. Per questo chi difende la progressività fiscale (e quindi la costituzione che la prevede) è logicamente a favore del fatto che chi detiene il potere politico possa imporre con la violenza i propri gusti agli altri: sul piano di principio, non c’è nessuna differenza fra uno stato che basa il proprio sistema fiscale sulla progressività e l’attuale dittatore nord-coreano che impone il suo (ridicolo) taglio di capelli al resto della popolazione.
La diversità dei gusti fra Tizio e Caio è solo una delle infinite diversità che definiscono l’individualità: altre diversità sono quella di capacità, di situazione, di fortuna, di background, ecc. Visto che le persone sono diverse fra loro in relazione a infiniti aspetti, se esse vengono trattate allo stesso modo (cioè se nei loro confronti viene rispettata l’uguaglianza davanti alla Legge), esse si troveranno necessariamente in posizioni materiali diverse. Quindi la diversità nella posizione materiale (per esempio nel livello di reddito) è una cosa positiva nei limiti in cui è espressione del rispetto dell’uguaglianza davanti alla Legge e della Legge (quindi della libertà), mentre è negativa quando è espressione del privilegio e della coercizione arbitraria (pensiamo ai redditi, in Italia per altro in molti casi elevatissimi, dei parassiti[5]). Date le infinite diversità fra gli individui, un’uguaglianza della loro situazione materiale ottenuta con la redistribuzione coatta delle risorse economiche (la famosa “equità sociale”), o anche solo una maggiore uguaglianza della loro situazione materiale, è necessariamente espressione della violazione dell’uguaglianza davanti alla Legge e quindi di totalitarismo. Uguaglianza di posizione materiale e uguaglianza davanti alla Legge si escludono a vicenda: se c’è una non c’è l’altra; se ci si vuole avvicinare a una necessariamente ciò implica allontanarsi dall’altra.
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In conclusione, nella sua posizione sulla fecondazione eterologa e nella sua contestuale difesa della costituzione, e quindi del positivismo giuridico e della progressività fiscale, il ministro Lorenzin mostra un’esplicita avversione alla libertà, all’uguaglianza davanti alla Legge, un’intolleranza ai gusti degli altri e alla loro capacità di esprimerli liberamente. In altre parole, essa mostra (ed è una conclusione logica, non un’opinione personale) una mentalità totalitaria che su un piano dei concetti astratti è indistinguibile, per esempio, da quella che ha prodotto le “leggi” razziali.
I peggiori totalitari non sono quelli espliciti: sono le “anime belle” che vogliono imporre agli altri la loro personale visione del mondo e i loro gusti; e che, così facendo, commettono, nel migliore dei casi senza nemmeno rendersene conto, quei crimini che esse stesse pensano di detestare e a volte perfino di combattere. Come dice Friedrich A. von Hayek, «Pochi sono pronti a riconoscere che l’avvento del Fascismo e del Nazismo non fu una reazione contro le tendenze socialiste del periodo precedente, ma una conseguenza necessaria di quelle tendenze. […] Molti di coloro che si ritengono infinitamente superiori alle aberrazioni del Nazismo e del Fascismo e sinceramente odiano tutte le loro manifestazioni, lavorano allo stesso tempo per ideali la cui realizzazione porterebbe direttamente all’aborrita tirannia»[6].
NOTE
[1] Lo Zingarelli 2014, Edizioni Zanichelli.
[2] La ‘legge’ fiat (quella adottata dalla costituzione italiana e quella che oggi comunemente si intende col termine ‘legge’) è la decisione arbitraria dell’autorità la quale viene presa in funzione di obiettivi particolari che vogliono essere raggiunti. La ‘legge’ fiat quindi è un provvedimento particolare che dipende dalla volontà dell’autorità (p. es. da quella di una maggioranza in parlamento, oppure da quella di un dittatore). L’uguaglianza davanti alla ‘legge’ fiat (quella che oggi comunemente si intende col temine ‘uguaglianza davanti alla legge’) è quindi l’uguaglianza davanti a un provvedimento particolare: escludendo la necessità di coerenza con un principio generale, questa idea di ‘uguaglianza davanti alla legge’ include la disuguaglianza legale: questa consiste a) nel fissare un criterio arbitrario, b) nel formare categorie arbitrarie sulla base di questo criterio e c) nel trattare allo stesso modo le persone che sono state raggruppate nella stessa categoria e in modo diverso le persone che sono state raggruppate in categorie diverse. I tipici esempi sono le ‘leggi razziali’ e la progressività fiscale (art. 53 della costituzione italiana). Viceversa, la Legge è il principio astratto, la regola generale e negativa di comportamento individuale valida per tutti allo stesso modo. Sia che essa sia intesa come ordine naturale, sia che sia intesa come ordine spontaneo (a mio parere essa può essere coerentemente intesa solo nel secondo modo), la Legge esiste indipendentemente dalla volontà di chiunque, e in particolare della maggioranza: a differenza della ‘legge’ fiat, essa non è uno strumento di potere politico arbitrario ma un limite non arbitrario al potere politico (in quanto principio generale e regola individuale di comportamento essa non serve il raggiungimento di uno scopo particolare e deve essere rispettata di per sé, senza nessuna considerazione di quali siano le conseguenze materiali del suo rispetto. L’uguaglianza davanti alla Legge è quindi l’uguaglianza di trattamento: essa esclude esplicitamente la disuguaglianza legale e quindi, per esempio, la progressività fiscale (vedi oltre nell’articolo). La legalità è il rispetto della ‘legge’ fiat, cioè dei comandi arbitrari dell’autorità; la legittimità è il rispetto della Legge.
[3] Essendo le tasse un atto di saccheggio, un furto, esse sarebbero illegittime anche in assenza di progressività fiscale (e di proporzionalità fiscale). Secondo alcuni autori liberali, in condizioni di stato minimo coerentemente e non arbitrariamente definito, esse, pur mantenendo la propria natura illegittima, potrebbero essere giustificate (rimando a questo articolo per un mio approccio al problema). Nel presente articolo, per economia del discorso e semplicità, immagino di condividere la posizione di questi liberali e assumo l’esistenza di uno stato minimo coerentemente e non arbitrariamente definito: cioè l’opposto dell’attuale stato totalitario e “democratico”.
[4] Se una persona fosse all’interno di un cubo metallico senza finestre nello spazio, non soggetta ad alcuna forza di gravità, e questo cubo fosse collegato tramite cavo a una navicella che accelerasse a 9,8 m/s², questa persona non potrebbe distinguere la situazione in cui si trova da quella in cui sarebbe se fosse in piedi ‘immobile’ sul pianeta Terra. Questa coincidenza fra accelerazione e gravità è l’intuizione a partire dalla quale Albert Einstein ha sviluppato la sua Teoria Generale della Relatività.
[5] Qui definiti come coloro che ricevono, non denaro frutto di scambi e donazioni volontari, ma denaro estorto con la violenza alle persone mediante le imposte.
[6] Hayek F.A., 2002 [1944], The Road to Serfdom (Rutledge, London and New York), p. 4, traduzione mia.
Ciao Giovanni ben tornato dalle vacanze. Articolo limpido e coerente come sempre.
Ma i nostri politici non capiscono (e non capiranno) che i Principi (la Legge) prima bisogna cercarli, scoprirli, comprenderli e poi avere la tempra morale di applicarli con coerenza al proprio agire e ovviamente alla (eventuale e non necessaria) legge positiva di cui dovrebbero essere anima.
Attendo con impazienza il tuo libro in proposito. A che punto sei?
Ciao Alberto, grazie del messaggio. Il libro che è in uscita (dovrebbe uscire a fine settembre. Il titolo sarà “La sovranità della Legge”) non è altro che una raccolta di articoli, tutti disponibili anche online (sebbene abbia fatto una generale revisione in funzione della pubblicazione). Quindi se già li hai letti o li puoi leggere online, non comprarlo! 😉 Per il libro successivo, invece, più sistematico e palloso, sono circa a due terzi del lavoro. Ti terrò aggiornato! Grazie anche della mail. Leggo e ti rispondo appena ho un attimo: periodo incasinatissimo dopo il ritorno dalle vacanze! Un caro saluto e a presto, Giovanni