GIOVANNI BIRINDELLI, 24.11.2015
(Pubblicazione originale: Catallaxy Institute)
In Francia è stato prorogato lo ‘stato di emergenza’ istituito a seguito degli attacchi terroristici. Questo ‘stato di emergenza’ prevede un ulteriore aumento del potere coercitivo arbitrario dello stato, in questo caso bypassando addirittura la figura del giudice e quindi dando ampia discrezionalità alle autorità amministrative e di polizia:
Fa impressione che, in forza di generici richiami all’ordine pubblico e alla sicurezza, ministro dell’interno e prefetti possano disporre domicili coatti, arresti domiciliari, accompagnamenti, divieti di contatto con persone individuate, ritiro del passaporto, divieti di circolazione, di assemblea, di riunione, scioglimenti di associazioni (misura che sopravvive alla cessazione dell’emergenza), … perquisizioni a qualunque ora del giorno e della notte in ogni luogo incluso il domicilio (Massimo Villone)
A seguito di questa estensione dello ‘stato di emergenza’ e anche delle proposte di farlo diventare permanente, non mancano le critiche di alcuni ‘intellettuali’ (specialmente di quelli cosiddetti ‘di sinistra’). Il comune denominatore di queste critiche è il rifiuto del baratto fra ‘libertà’ (o ‘stato di diritto’) e ‘sicurezza’.
Riporto sotto due esempi di queste critiche apparse sui giornali di oggi: una di Massimo Villone su Il manifesto e l’altra di Giorgio Agamben su la Repubblica.
Se definiamo ‘razionale’ una critica che è argomentata in modo logicamente coerente, allora dal mio punto di vista, cioè dal punto di vista di una persona che ritiene che la libertà non possa essere barattata con la sicurezza, queste critiche non sono razionali. E in quanto irrazionali, queste critiche non solo non costituiscono una difesa della libertà ma, forse senza che chi le fa ne sia consapevole, costituiscono una sua ulteriore aggressione. Esse cioè sono di fatto una difesa del potere coercitivo arbitrario dello stato e della sua possibilità di continuare a espandersi.
1. Le critiche di alcuni intellettuali al baratto fra ‘libertà’ (o ‘stato di diritto’) e ‘sicurezza’
Prima di svolgere il mio argomento, citerò in maniera piuttosto estesa alcuni passaggi degli articoli menzionati sopra.
In un articolo dal titolo “No a un regime di «semi-libertà»” pubblicato oggi (24 novembre 2015) su Il manifesto, Massimo Villone scrive:
Dopo Parigi, le strade deserte di Bruxelles ci pongono con drammatica evidenza la domanda se la libertà sia un giusto prezzo per la sicurezza. … Deve far riflettere che … la legge di emergenza passi oggi nel sostanziale silenzio di critiche e dissensi e con ampio favore dell’opinione pubblica. Su tutto vince la domanda di sicurezza. Un vento analogo soffia in Italia. Nei sondaggi cresce il numero di chi accetterebbe uno scambio fra diritti e sicurezza. È una tendenza comprensibile, ma pericolosa. Tutti affermano di voler mantenere il nostro modello di vita. Ma la garanzia di diritti e libertà è la rete invisibile che rende quel modello possibile e vitale. … Per tre mesi la Francia è un paese sotto tutela. Un paese di sospettati. Poi si vedrà. In Assemblea Nazionale è stato suggerito che il régime d’exception diventi un droit commun: un diritto ordinario dell’emergenza, perché la minaccia durerà oltre il termine della proroga concessa. È molto probabile. Ma non dimentichiamo che può essere facile assuefarsi a un regime di semilibertà
Sempre oggi, su La Repubblica viene pubblicata un’intervista al filosofo Giorgio Agamben il quale sostiene:
Lo stato di emergenza non è uno scudo per lo stato di diritto come ha detto qualcuno. La storia insegna che è vero esattamente il contrario. Tutti dovrebbero sapere che è proprio lo stato di emergenza previsto dall’articolo 48 della Repubblica di Weimar che ha permesso a Hitler di stabilire e mantenere il regime nazista … Quando oggi ci si stupisce che si siano potuti commettere in Germania tali crimini, si dimentica che non si trattava di crimini, che era tutto perfettamente legale, perché la Germania era in stato di eccezione e le libertà individuali erano sospese. … Ciò che dobbiamo capire è che le ragioni di sicurezza non sono rivolte alla prevenzione dei delitti, ma a stabilire un nuovo modello di governo degli uomini, un nuovo modello di Stato, che i politologi americani chiamano appunto “security State”, stato di sicurezza. Di questo Stato, che sta prendendo ovunque il posto delle democrazie parlamentari, sappiamo poco, ma sicuramente non è uno Stato di diritto, è piuttosto uno stato di controlli sempre più generalizzati. … Nello Stato di sicurezza il patto sociale cambia di natura e degli uomini che vengono mantenuti sotto la pressione della paura sono pronti ad accettare qualunque limitazione delle libertà
2. Se il termine ‘libertà’ viene usato in modo diverso a seconda delle tesi particolari che si vogliono sostenere, allora l’argomento è necessariamente irrazionale
Il termine ‘libertà’ (o quello ‘Stato di diritto’) viene spesso usato, come nei passaggi citati sopra, per sostenere una determinata posizione, in questo caso il dissenso nei confronti di misure coercitive arbitrarie aventi lo scopo di garantire una maggiore ‘sicurezza’.
Tuttavia la ‘libertà’ (così come il ‘diritto’ e quindi la ‘legge’) è un concetto astratto. Questo vuol dire, in primo luogo, che, sottintesa o meno, chi usa questo termine deve averne una definizione, e una che sia astrattamente coerente. Se infatti è impossibile sapere qual’è il significato ‘vero’ del termine ‘libertà’, è tuttavia molto facile osservare che lo stesso termine viene abitualmente usato in riferimento a concetti estremamente diversi fra loro e anzi opposti [1].
In secondo luogo, e soprattutto, termini come ‘libertà’ e ‘diritto’ possono naturalmente essere usati, senza perdita di coerenza logica, per sostenere una determinata posizione su una questione particolare. Tuttavia, proprio perché si tratta di concetti astratti, chi li usa in un determinato modo (qualunque esso sia) deve necessariamente usarli nello stesso modo anche in relazione a ogni altra questione particolare. Se questi concetti vengono usati in modo diverso a seconda delle tesi particolari diverse che si vogliono difendere, allora gli argomenti usati a questo scopo perdono di coerenza logica e quindi di validità: diventano argomenti irrazionali.
Negli articoli sopra menzionati, gli autori presuppongono che la libertà sia legata all’assenza di coercizione arbitraria da parte dello stato (p. es. di arresti o di perquisizioni senza quantomeno l’autorizzazione di un giudice). In altri termini, essi presuppongono un’idea negativa di libertà. In nome di questa idea negativa di libertà, essi rifiutano il baratto fra ‘libertà’ e ‘sicurezza’. In buona sostanza, essi dicono, la ‘sicurezza’ non può e non deve essere ottenuta a spese della ‘libertà’; il sacrificio della ‘libertà’ alla ‘sicurezza’ ha implicazioni e potenzialità totalitarie.
Ora, dato il rispetto che entrambi gli autori nei loro articoli mostrano per le costituzioni degli stati in questione e per le relative ‘democrazie parlamentari’, appare lecito assumere, per ovvi motivi, che essi siano a favore del cosiddetto ‘Stato sociale’ e quindi della redistribuzione delle risorse economiche.
Tuttavia, quello che, su un piano astratto (il piano rilevante nel caso della ‘libertà’ e dello ‘Stato di diritto’) accade nello ‘Stato sociale’ è che si ha coercizione arbitraria da parte dello stato (p. es. prelievo fiscale, per di più arbitrario, crescente e perfino discriminatorio), e quindi riduzione della ‘libertà’ intesa in senso negativo, per una (erroneamente presunta, data la mancanza di familiarità con la scienza economica) maggiore ‘sicurezza’ economica, p. es. delle cosiddette ‘fasce deboli’.
In altre parole, coloro che, sulla base di un’idea di ‘libertà’ negativa (da ora in avanti semplicemente libertà), negli articoli citati rifiutano il baratto fra libertà e ‘sicurezza’ nel caso dello ‘Stato di sicurezza’, sono i primi a promuovere questo baratto nel caso dello ‘Stato sociale’.
Per nascondere (prima di tutto a loro stessi) questa contraddizione, in questo secondo caso col termine ‘libertà’ si riferiscono, spesso implicitamente, al concetto di ‘libertà positiva’: la capacità di fare determinate cose (per esempio di curarsi, di istruirsi, di andare a teatro, di andare ai musei, ecc.). Tuttavia la ‘libertà’ positiva è un concetto non solo diverso da quello della libertà negativa, ma logicamente opposto e incompatibile con esso, nel senso che il ricorso alla coercizione statale per ottenere determinate ‘libertà positive’ (molte delle quali sono forme diverse di ‘sicurezza’) implica necessariamente la violazione della libertà intesa in senso negativo.
Quindi le critiche di cui sopra al baratto fra libertà e ‘sicurezza’ sono irrazionali in quanto, mentre da un lato fanno appello a concetti astratti, dall’altro l’uso di questi concetti è diverso e in effetti opposto a seconda delle tesi particolari che si vogliono difendere.
Essendo la ‘libertà’ intesa in termini di assenza di coercizione arbitraria un concetto astratto, essa può essere difesa solo da argomenti razionali e quindi logicamente coerenti. Gli argomenti irrazionali a sua difesa non sono neutri, ma hanno un effetto distruttivo per certi versi ancora più profondo di quelli esplicitamente contrari a essa. Essi infatti sono una specie di cavallo di Troia: avvelenando la libertà dall’interno, la lasciano senza difese e attraggono il consenso di coloro che sono genuinamente a favore della libertà ma che non hanno gli strumenti per capire che essa può essere difesa solo tutta insieme, non à la carte.
3. Lo ‘Stato di sicurezza’ non è un nuovo modello di stato ma l’espressione dello stato moderno, e in particolar modo di quello ‘democratico’
Lo ‘Stato di sicurezza’ non è, al contrario di quello che sostiene Giorgio Agamben nella sua intervista, un “nuovo modello di stato … che sta prendendo ovunque il posto delle democrazie parlamentari”. Al pari dello ‘Stato sociale’, esso è una delle più significative espressioni delle ‘democrazie parlamentari’ e, più specificamente, dell’idea filosofica di legge sulla quale esse si ergono: il positivismo giuridico, la ‘legge’ intesa come strumento di potere politico, come decisione arbitraria di un’autorità legalmente costituita (che quest’autorità sia un dittatore o una maggioranza parlamentare non fa alcuna differenza).
A Massimo Villone fa impressione il fatto che in Francia sia stata approvata una legge come la nr. 1501 del 20 novembre che estende lo ‘stato di emergenza’ e quindi prolunga l’ulteriore restrizione della libertà in nome dell’ordine pubblico e della sicurezza. Tuttavia, a lui come ad altri, non fa impressione il fatto che sia stato possibile approvare legalmente una misura di questo tipo. Questo non può stupire. Perché sia impossibile approvare una misura di questo tipo, cioè perché in generale sia impossibile barattare libertà con ‘sicurezza’, è necessario difendere la libertà razionalmente e quindi coerentemente, non à la carte. Questo significa che è necessario difendere la libertà non solo dallo ‘Stato di sicurezza’ ma anche dallo ‘Stato sociale’, cosa che chi, come ad esempio Villone, si riconosce nella costituzione di uno stato come l’Italia o la Francia, tanto per fare due esempi, non può fare. La possibilità del baratto fra libertà e sicurezza nel campo dei cosiddetti ‘diritti civili’ è il prezzo che i collettivisti devono pagare per avere il baratto fra libertà e sicurezza che a loro interessa: quello in campo economico.
In altri termini, perché in generale sia impossibile barattare libertà e ‘sicurezza’ sarebbe necessario invertire l’idea di legge, cioè passare dalla ‘legge’ intesa come strumento di potere politico arbitrario (il provvedimento particolare deciso da un’autorità) alla Legge intesa come limite non arbitrario a ogni potere (la regola generale e negativa di comportamento individuale che deve valere per tutti, stato per primo, allo stesso modo: se è illegittimo che un cittadino qualunque si appropri coercitivamente di risorse altrui allora è illegittimo che lo faccia anche lo stato attraverso la tassazione; se è illegittimo che un privato cittadino contraffaccia il denaro allora, a maggior ragione, è illegittimo che lo faccia la banca centrale attraverso la stampa di denaro fiat a corso forzoso – stampa di cui ha il monopolio legale a causa di un privilegio concessole dallo stato ‘democratico’; ecc.).
4. Rumore e silenzio
Villoni si lamenta del fatto che “la legge di emergenza passi oggi nel sostanziale silenzio di critiche e dissensi e con ampio favore dell’opinione pubblica”. Se si parla di silenzio di critiche e dissenso, non è agli argomenti irrazionali di rifiuto del baratto fra libertà e ‘sicurezza’ nel caso particolare dei cosiddetti ‘diritti civili’ che bisogna guardare. Come abbiamo visto, un altro giornale mainstream lo stesso giorno ha pubblicato un’altra voce concordante a quella di Villoni. E sempre nello stesso giorno il Partito Radicale ha organizzato una conferenza stampa sul tema, con posizioni apertamente simili a quelle di Villoni. Se si parla di silenzio di critiche e dissenso bisogna guardare agli argomenti razionali contro il baratto fra libertà e sicurezza in ogni campo: al di là della ristrettissima cerchia dei libertari, su questi argomenti davvero vige il più rigoroso silenzio. Anzi, grazie all’esistenza dei ‘reati’ di opinione, non sono rari i casi in cui in Italia questo dissenso viene perseguito penalmente.
E forse vale la pena notare che questo dissenso è in realtà l’unico dissenso nel senso proprio del termine: appunto perché è l’unico dissenso argomentato in modo razionale, cioè in cui vengono messi coerentemente in discussione quei concetti che il ‘dissenso di superficie’ (o ‘consenso strutturale’) dà per scontati.
5. Conclusioni
Il positivismo giuridico, l’idea di legge che (sempre di più anche nei paesi anglosassoni) sta alla base dello stato moderno, specie se ‘democratico’, rende il potere politico illimitato. Un potere politico illimitato tende a espandersi con la stessa necessità con la quale un grave tende a cadere al suolo per la forza di gravità. E contrariamente a quanto affermano i fans della ‘democrazia costituzionale’, non c’è alcun limite non arbitrario a questa espansione. Come dice Michael Oakshott, “Nello Stato moderno, non c’è alcuna legge così antica o così ‘radicata’ che si trovi al di fuori del potere dell’autorità politica di emendarla o di abolirla; e in ogni Stato europeo moderno esiste una nota e riconosciuta procedura mediante la quale questo può essere fatto”[2]. Nelle parole di Bruno Leoni, “Il fatto che i legislatori, almeno in occidente, si astengano ancora dall’interferire in alcuni campi dell’attività individuale – come parlare, scegliere il coniuge, indossare un tipo determinato di abbigliamento, viaggiare – nasconde di solito il crudo fatto che essi hanno effettivamente il potere di interferire in questi ambiti”[3].
Villoni conclude il suo articolo ricordando che può essere facile assuefarsi a un regime di semilibertà. Dal mio punto di vista, noi oggi ci siamo assuefatti a un regime totalitario-democratico (chi ritiene che i due termini siano in contraddizione fra loro confonde libertà e democrazia): lo ‘Stato di sicurezza’ e lo ‘stato di emergenza’ non sono che necessarie evoluzioni di questo regime. E se ci siamo assuefatti al totalitarismo, se ci siamo abituati al fatto che lo stato moderno tenta di risolvere ogni problema con una sua progressiva espansione (ignorando che spesso è proprio la precedente espansione che ha causato il problema), questo è dovuto anche al fatto che gli ‘intellettuali’ che dovrebbero difendere la libertà intesa in termini di assenza di coercizione arbitraria, e quindi che dovrebbero difendere la Legge intesa come limite non arbitrario al potere, difendono e anzi danno per scontata la ‘legge’ intesa come strumento di potere politico arbitrario. In altre parole, questa assuefazione al totalitarismo è dovuta molto al silenzio che circonda gli argomenti razionali in difesa della libertà: un silenzio di cui quasi tutti gli ‘intellettuali’ contemporanei portano la responsabilità.
NOTE
[1] Come dice Lord Acton,
La libertà, insieme alla religione, è stato il motivo di buone azioni e pretesto comune del crimine […] Nessun ostacolo è mai stato così costante, o così difficile da superare, come l’incertezza e la confusione circa la natura della vera libertà [Acton, J. E. E. D., 1985 [1877], Essays in the History of Liberty (Liberty Fund, Indianapolis IN), p. 5.].
E come dice Abramo Lincoln,
Noi dichiariamo tutti di essere a favore della libertà; ma nell’usare la stessa parola non tutti le diamo lo stesso significato. Per alcuni la parola libertà può significare che ogni persona può disporre di sé stessa e del frutto del proprio lavoro; mentre per altri la stessa parola può significare che alcune persone possono disporre di altre persone e del frutto del loro lavoro. Qui ci sono due cose non solo differenti ma opposte chiamate con lo stesso nome, libertà [Lincoln, A., 2008 [1864], The Collected Works of Abraham Lincoln, (Wildside Press, Rockville MD), Vol. 7, pp. 301-302].
[2] Oakeshott, M., 2006 [1966-1967], Lectures in the History of Political Thought (Imprint Academic, Exeter & Charlottesville), p. 369.
[3] Leoni, B., 2000 [1961], La libertà e la legge (Liberilibri, Macerata), p. 10.
Il Manifesto e tutti i giornalini e giornaloni di regime, sono dichiaratamente tolleranti e aperti al pluralismo. L’importante è belare e brucare l’erbetta.
PS. Ho scritto il seguente commento sulla pagina online del citato articolo de Il Manifesto e è stato censurato. Chissà perché, dato che sotto il nome del giornale c’è scritto “quotidiano comunista”, non sono sorpreso 🙂
Il baratto fra libertà e sicurezza (baratto la cui discussione, essendo la libertà un concetto astratto, richiede un’idea filosofica coerente di libertà) ha diverse espressioni. Una di queste è quella che l’autore rifiuta in questo articolo: il baratto fra libertà e sicurezza nel campo dei cosiddetti ‘diritti civili’. Un’altra espressione del baratto fra libertà e sicurezza è quella che, sulla base del rispetto che l’autore dell’articolo mostra per la costituzione italiana, presumo che egli approvi: il baratto fra libertà economica (p. es. dei tax payers) e sicurezza economica (p. es. dei tax consumers). Poiché in questo articolo il baratto fra libertà e sicurezza viene rifiutato solo in un caso particolare e non in generale (e anzi viene implicitamente appoggiato in altri casi), io trovo l’argomento esposto irrazionale e quindi non solo sbagliato a priori ma perfino dannoso e anzi pericoloso per la stessa libertà che l’autore vorrebbe difendere. L’argomento è complesso e ho provato a discuterlo qui (link a questa pagina)