GIOVANNI BIRINDELLI, 1.11.2018
A mia figlia
In The Road to Serfdom Friedrich von Hayek scrive di quel «sano disprezzo e antipatia nei confronti del potere»[1] che sono tipici di chi apprezza la libertà. A sua volta, tuttavia, quest’ultimo è spesso trovato antipatico e disprezzato da chi ha il culto dello stato; o almeno una parte di lui lo è. Al di là di fattori individuali, questa antipatia ha a che vedere, secondo me, con la conoscenza.
Chi apprezza la libertà è infatti sempre contemporaneamente in due posizioni a prima vista antitetiche fra loro:
- è consapevole di avere una conoscenza certa e assoluta;
- è consapevole dell’impossibilità assoluta di conoscenza.
La prima di queste due posizioni in cui si trova la persona che apprezza la libertà la rende antipatica a molti statalisti; la seconda la rende loro incomprensibile (e quindi generalmente disprezzata).
Questa antipatia e questo disprezzo “passivi” sono sani tanto quanto lo sono quelli “attivi” a cui faceva riferimento Hayek, in fin dei conti per le stesse ragioni.
- Consapevolezza di conoscenza certa e assoluta
Dicevamo che la contraddizione fra le due posizioni di cui sopra si ha solo a prima vista. Nel primo caso, infatti, la conoscenza (certa e assoluta) si riferisce a leggi scientifiche. Più precisamente, a leggi delle scienze sociali. In particolare, alle leggi della scienza economica e a quelle della scienza della libertà.
Per esempio, la legge economica di domanda stabilisce che, a parità di altre condizioni, non è possibile che una persona aumenti la propria domanda di un prodotto se il prezzo di quest’ultimo aumenta. Non è mai esistita né potrai mai esistere, in questo mondo o in un altro, una persona capace di intendere e di volere che non rispetti questa legge economica. La legge economica di domanda ha la stessa oggettività e certezza della legge di gravità (anche se, essendo relativa a una scienza sociale, è stata scoperta con una metodologia diversa da quella generalmente usata nelle scienze naturali[2]). Quella legge non potrà mai cambiare, indipendentemente da quanti premi Nobel per l’economia la dovessero negare in casi particolari. Come ricorda Robert Murphy, chi studia le leggi economiche scientifiche «non avrà mai bisogno di preoccuparsi che la ricerca economica futura le renderà false[3]». La scienza economica è quella catena di deduzioni logiche (o leggi scientifiche) il cui primo anello è costituito dalla soggettività del valore economico. Esse sono valide sempre (erano valide anche prima che fossero scoperte) e ovunque. Se una teoria economica è coerente con la soggettività del valore ed è stata dedotta da leggi economiche che a loro volta sono anelli di quella catena, allora essa è una legge economica. Altrimenti è fake science (o scientismo[4]).
In ogni caso individuale, la soggettività del valore può esprimersi solo se (e nei limiti in cui) viene rispettato il principio di non aggressione (se per esempio un’organizzazione criminale impedisce a Uber Pop di competere sul mercato, un suo eventuale cliente non può esprimere le sue preferenze cedendo beni di sua proprietà – denaro – in cambio di quel servizio): qui sta la connessione pratica fra scienza economica e scienza della libertà.
La scienza della libertà è quella catena di deduzioni logiche (o leggi di giustizia) il cui primo anello è costituito dal principio di non aggressione, il quale esiste indipendentemente dalla volontà di chiunque, in qualsiasi momento e luogo. Se una regola è coerente con (ed è stata dedotta logicamente dal) principio di non aggressione allora essa è giusta (o legittima); altrimenti, anche se legale (cioè anche se rispetta i comandi arbitrari dell’autorità), essa è ingiusta (o illegittima).
Ora, in base alle leggi economiche di cui sopra (scoperte in gran parte durante la seconda metà del XIX secolo[5] e sistematizzate intorno alla metà del XX secolo) è possibile affermare in modo assolutamente certo che l’interventismo statale e quello monetario, in qualsiasi forma, producono crisi economiche cicliche, ostacolano il processo di auto-cura prodotto dal processo del libero mercato, approfondiscono ed estendono (relativamente a “ciò che non si vede”[6]) la povertà.
Inoltre, la scienza della libertà stabilisce con certezza ugualmente assoluta che l’interventismo statale in ogni sua forma, che generalmente è legale, è sempre illegittimo: esso viola sempre la libertà nell’unico modo in cui essa può essere coerentemente intesa, cioè come sovranità del principio di non aggressione (o della Legge).
Alla persona che accetta di buon grado le forme di interventismo oggi generalmente date per scontate, come ad esempio l’imposizione fiscale, la regolamentazione al di là del principio di non aggressione, l’imposizione dell’uso del denaro fiat di stato ecc., o che addirittura ne chiede dosi sempre maggiori, la persona che apprezza la libertà nella sostanza risponde (la forma può cambiare da individuo a individuo: per esempio questa forma è generalmente molto poco educata nel caso di chi scrive): «Ti sbagli oggettivamente. Sei tecnicamente un cretino nel campo delle scienze sociali. Non conosci la scienza economica né quella della libertà».
Al di là della forma più o meno pacata, di qui, da questa consapevolezza di conoscere le leggi della scienza economica e quelle della scienza della libertà, da questa arroganza della verità rispetto alle idiozie, e dalla posizione di estrema minoranza in cui si trova chi conosce la prima rispetto a chi spara le seconde, viene l’antipatia che chi ha il culto dello stato spesso nutre nei confronti di chi apprezza la libertà.
- Consapevolezza del fatto che la conoscenza è impossibile
Ritorniamo alla solo apparente contraddizione accennata in apertura: quella fra, da un lato, la consapevolezza di avere una conoscenza certa e assoluta e, dall’altro, quella dell’impossibilità della conoscenza. Questa contraddizione è solo apparente perché mentre, come abbiamo visto, nel primo caso la conoscenza in questione (certa e assoluta) è quella relativa a leggi scientifiche, nel secondo caso la conoscenza in questione (assolutamente impossibile da avere) è quella che serve a “governare un paese” (o un sistema economico).
Ora, a meno che il “governo del paese” non abbia come obiettivo esplicito ed esclusivo la distruzione di potenziale economico, cioè nei limiti in cui chi “governa” un paese vuole sfruttare il potenziale di crescita economica e quindi creare prosperità sostenibile e diffusa, la conoscenza di cui egli deve fare uso è quella relativa a informazioni quali le preferenze (incluse quelle temporali, cioè fra tempo presente – consumo – e tempo futuro – risparmio), le priorità, le situazioni particolari, le caratteristiche ecc. di ogni singola persona. La ragione per cui un qualsiasi “governo del paese” deve necessariamente far uso di queste informazioni è in ultima istanza il fatto che, in base alle leggi scientifiche di cui sopra, il valore economico è soggettivo.
Tuttavia, nessuna autorità centrale che intenda “governare un paese” potrà mai conoscere queste informazioni. Queste informazioni infatti sono disperse capillarmente fra ogni persona (di cui costituiscono l’individualità) e cambiano da momento a momento. Queste informazioni, in altre parole, possono esprimersi solo attraverso il libero scambio e i prezzi di mercato. Solo lo spontaneo processo distribuito di mercato è in grado di usare quella infinita e sempre mutevole conoscenza che è dispersa capillarmente fra i singoli individui e senza l’uso della quale la scienza economica stabilisce in modo assolutamente certo che non può essere creato valore.
“Governare un paese” vuol dire quindi opprimere le persone e le aziende, e distruggere il loro potenziale economico. Chi ha il culto dello stato e del suo potere arbitrario, tuttavia, non riesce a concepire l’assenza di stato e di “governo”. Per lui, questa assenza equivale al caos, cioè all’antitesi dell’ordine: «Coloro […] che non riescono a concepire nulla che serva gli scopi dell’uomo che non sia stato razionalmente disegnato sono quasi necessariamente nemici della libertà. Per loro libertà significa caos»[7]). Questo perché egli non è intellettualmente capace di concepire il fatto che un sistema economico non è un’azienda (solo più grande) ma è qualcosa di qualitativamente opposto a un’azienda: mentre questa, per prosperare, ha bisogno di far uso della conoscenza centralizzata di chi ne sta (peraltro legittimamente) al comando, un sistema economico, per prosperare, ha bisogno del libero scambio e cioè dell’uso di una conoscenza che è dispersa capillarmente fra i singoli individui e che è sempre inaccessibile a qualsiasi autorità, tantomeno centrale. In altre parole, chi ha il culto dello stato non riesce a concepire intellettualmente la realtà oggettiva dell’ordine spontaneo.
A differenza di un ordine positivo come un’azienda (caso virtuoso[8]) o come un sistema economico “governato” (caso vizioso[9]), che sono il risultato sia delle azioni di persone sia del disegno[10] di (generalmente altre) persone, un ordine spontaneo come il mercato è il risultato delle azioni di persone (quelle che scambiano liberamente) ma del disegno di nessuno. Mentre in un ordine positivo (inteso da qui in avanti nel solo caso vizioso) chi lo comanda stabilisce i fini e li impone coercitivamente ai sottoposti, in un ordine spontaneo ogni persona agisce in funzione dei propri fini individuali. Mentre in un ordine positivo chi lo controlla lo fa attraverso regole coercitive particolari e arbitrarie la cui stessa imposizione è una violazione della Legge (cioè del principio di non aggressione), in un ordine spontaneo ogni soggetto deve agire all’interno della Legge, cioè di regole generali di comportamento individuale la cui difesa pratica (corti di giustizia, servizi di sicurezza, ecc.) non può violarle e quindi è fornita, come qualsiasi altro servizio, dal mercato. Mentre in un ordine positivo chi ne stabilisce arbitrariamente e coercitivamente i fini (il cosiddetto “interesse pubblico”, per esempio) non è responsabile delle sue scelte (nel senso che le conseguenze delle sue scelte non ricadono su di lui ma su coloro sui quali egli ha esercitato coercizione), in un ordine spontaneo chi scambia liberamente è responsabile delle sue scelte. Mentre quindi un ordine positivo ha una struttura di incentivi che tende a moltiplicare, ripetere ed amplificare gli errori nel tempo, un ordine spontaneo ha una struttura di incentivi che lo porta ad auto-correggersi. Mentre in un ordine positivo gli errori, essendo imposti legalmente a tutti, acquisiscono dimensioni sistemiche, in un ordine spontaneo gli errori sono e rimangono casi puntuali e isolati.
Per riassumere, essendo capace di concepire un ordine spontaneo, chi apprezza la libertà è consapevole del fatto che la conoscenza che servirebbe per “governare un paese” non è neanche minimamente accessibile a chi vuole farlo. Viceversa, essendo incapace di concepire un ordine spontaneo, chi ha il culto dello stato e del suo potere coercitivo arbitrario non è mentalmente in grado di capire che, per ragioni legate all’uso della conoscenza, un sistema economico non può essere “governato” con successo. I ragionamenti del primo appaiono quindi incomprensibili al secondo. Quest’ultimo di conseguenza in molti casi li rigetterà a priori come forma quasi istintiva di autodifesa; e questo rifiuto a priori prenderà spesso la forma del disprezzo.
- Conclusioni
Rispetto alla conoscenza, la posizione in cui si trova chi apprezza la libertà e quella in cui si trova chi ha il culto dello stato sono quasi esattamente opposte. Il primo da un lato è consapevole di avere una conoscenza certa e assoluta (o di intuire la validità) di leggi scientifiche; dall’altro è consapevole che la conoscenza necessaria per “governare un paese” non può essere posseduta, nemmeno in minima parte. Il secondo, viceversa, da un lato nega con forza e a priori l’esistenza di leggi scientifiche che generalmente non conosce e che, nei rari casi in cui le conosce, non può criticare razionalmente. Per questo nutre antipatia nei confronti di chi, garbatamente o meno, ricorda l’esistenza di quelle leggi. Dall’altro lato, crede di avere (o che qualcuno possa avere) la conoscenza necessaria per “governare un paese” e non riesce a comprendere chi, essendo mentalmente capace di concepire la realtà oggettiva dell’ordine spontaneo, ricorda che solo quando la sovranità appartiene al principio di non aggressione (e quindi a nessuna persona o gruppo di persone) si può sfruttare il potenziale economico di un’area di scambio ed evitare di opprimere in misura sempre crescente le persone che ci abitano.
La negazione dell’esistenza di leggi sociali scientifiche che caratterizza chi ha il culto dello stato, in particolare, è oggi diventata una sorta di regola morale, la cui violazione è socialmente sanzionata. La situazione odierna è quindi peggiore, per alcuni versi, di quella che si aveva a cavallo della Rivoluzione Copernicana: in quel caso ciò che veniva sanzionato (non solo socialmente) era la difesa di leggi scientifiche diverse da quelle (non scientifiche) ritenute valide. Oggi, viceversa, prevale una sorta di nichilismo per cui quello che viene sanzionato socialmente è l’affermazione stessa che esistano leggi sociali scientifiche: che l’economia e la libertà siano scienze; cioè che le leggi economiche e quelle di giustizia abbiano la stessa oggettività, certezza e impossibilità di essere “fatte” che ha la legge di gravità.
Murray Rothbard ci ricorda che questo nichilismo, questo scetticismo cialtrone e a priori nei confronti della verità scientifica, nasce in Francia con Michel de Montaigne e ha portato alla sottomissione volontaria e acritica al totalitarismo: «Uno degli inganni preferiti dei moderni liberals [socialisti di ‘sinistra’, n.d.r.] del ventesimo secolo [e ventunesimo, n.d.r.] è che lo scetticismo, l’attitudine secondo la quale la verità non può mai essere conosciuta, sarebbe la migliore base per difendere la libertà individuale. Il fanatico, essendo convinto della certezza delle sue idee, violerà i diritti degli altri; lo scettico, viceversa, essendo convinto di nulla, non lo farà. Tuttavia, la verità è precisamente all’inverso: lo scettico non ha alcuna base a cui appoggiarsi per difendere dall’aggressione la sua libertà o quella altrui. […] Inoltre, essendo lo scettico incapace di trovare qualsivoglia principio in relazione alla legge o qualsiasi organizzazione sociale, probabilmente si inchinerà, sebbene con un sospiro di rassegnazione, a qualsiasi regime esistente di tirannia. In mancanza di meglio, egli ha poco altro da dire o da fare»[11].
La scienza economica e quella della libertà dicono poco. Tuttavia quello che dicono è assolutamente certo; ed è sufficiente a qualificare come oggettivamente criminale e distruttrice di potenziale economico qualsiasi forma di interventismo, e quindi qualsiasi stato. Chi ha il culto di quest’ultimo nutre antipatia nei confronti di chi lo vede in questa luce. Questa tuttavia è in superficie l’antipatia ovvia che si nutre nei confronti del proprio avversario. C’è tuttavia un’altra forma di antipatia che lo statalista nutre nei confronti del libertario, meno banale ma forse più profonda: ed è quella nei confronti di chi afferma l’esistenza della scienza economica e della scienza della libertà. A quest’ultimo lo statalista in prima battuta si difende rispondendo: “abbiamo idee diverse”, come per mettersi sullo stesso piano del libertario. Tuttavia, quando il libertario gli fa presente che non è una questione di idee diverse ma di conoscenza o meno di leggi scientifiche, lì nasce la sua sana antipatia.
NOTE
[1] Hayek F. A., 2002 [1944], The Road to Serfdom (Routledge, London & New York), p. 152, traduzione mia.
[2] Vedi Menger K., 1996 [1883], Sul metodo delle scienze sociali (Liberilibri, Macerata) e Hayek F. A., 1979 [1955], The Counter-Revolution of Science (Liberty Fund, Indianapolis).
[3] Murphy R., Lessons for the Young Economist, Auburn, Mises Institute, 2010, p. 22, traduzione mia.
[4] Vedi Hayek F. A., 1979 [1955], The Counter-Revolution of Science (Liberty Fund, Indianapolis).
[5] Tuttavia, la teoria soggettiva del valore (il primo anello della catena di deduzioni logiche che costituisce la scienze economica moderna) fu scoperta per la prima volta da Democrito (c. 460 – c. 370 a.C.). Vedi Rothbard M. N., 2006 [1995], Economic Thought before Adam Smith: an Austrian Perspective on the History of Economic Tought (Ludwig von Mises Institute, Auburn), p. 10.
[6] “Ciò che non si vede” (l’espressione è quella usata da Frédéric Bastiat nel suo famoso saggio) è la situazione economica che sarebbe stata in assenza di interventismo. Naturalmente, si ha crescita economica anche con l’interventismo. Quest’ultimo infatti non riesce (né intende) annientare del tutto il libero scambio. La crescita economica è sempre stata tanto maggiore quanto minore era l’interventismo. Il potenziale di crescita economica coincide con l’assenza totale di interventismo.
[7] Hayek, F. A., 1999 [1960], The Constitution of Liberty (Routledge, London & New York), p. 61.
[8] L’azienda è un caso virtuoso di ordine positivo perché, per produrre una matita per esempio, la conoscenza necessaria è in grandissima parte centralizzata e l’ordine positivo fa uso appunto di conoscenza centralizzata.
[9] Un sistema economico “governato” è un caso vizioso di ordine positivo perché, per soddisfare il potenziale di crescita economica di un’area di scambio (o “società”), la conoscenza necessaria è decentralizzata ma l’ordine positivo fa uso della conoscenza centralizzata di chi lo controlla.
[10] “Disegno” nel senso di pianificazione, regolamentazione coercitiva, progettazione.
[11] Rothbard M. N., 2006 [1995], Economic Thought before Adam Smith: an Austrian Perspective on the History of Economic Tought (Ludwig von Mises Institute, Auburn), p. 201.
Un paio di ulteriori controdeduzioni: 1. Una legge economica che pretenda di mettere in relazione lineare volontà individuale, merce e prezzo come se fossero realtà indipendenti mi pare semplicistica. Più utile è partire dal presupposto che tra prezzo e volontà individuale c’è un rapporto di interdipendenza circolare: da un lato, il prezzo di una merce, essendo la cifra che misura il desiderio sociale che si condensa attorno ad essa, determina in modo direttamente proporzionale l’intensità del desiderio individuale e quindi la disponibilità a effettuare l’acquisto; dall’altro, pagare o non pagare quella cifra rafforza o indebolisce il desiderio sociale e fa aumentare o diminuire il prezzo. Così ci troviamo di fronte ad una relazione ben più complessa e paradossale, in base a cui l’imprevedibilità del mercato non è tale solo di fatto (solo perché sarebbe troppo difficile avere a disposizione tutte le preferenze individuali in base a cui calcolare il prezzo come sua risultante), ma anche a priori, perché il risultato dipende dai fattori e i fattori dipendono dal risultato (si pensi al mercato finanziario ed alle bolle speculative, nonché al paragone keynesiano del beauty contest).
E in effetti, nell’esempio della cena al ristorante, l’ostentazione – ossia il prestigio – non è affatto un “bene aggiuntivo” (come potrebbe essere l’accresciuta simpatia del ristoratore che mi potrebbe indurre ad accettare un aumento del prezzo), bensì l’anima nascosta che rende desiderabili le cose che desideriamo. Se desidero fare ed avere certe cose è perché il gruppo sociale a cui desidero appartenere le desidera. E la misura di quanto il mio gruppo sociale di riferimento desidera quei beni è scritta nel prezzo. Così come nei gruppi di adolescenti si fa a gara tra chi ostenta di più i simboli dell’appartenenza, così pagare di più per lo stesso bene mi dà occasione per testimoniare quanto davvero credo a ciò che dà senso alla vita del gruppo.
2. Certamente ogni sapere veramente scientifico deve avere una base assiomatica che lo chiuda rispetto a qualsiasi smentita da parte della “realtà”. Ma tra mille diverse basi assiomatiche, quale sceglieremo? Quella che è capace di reagire energicamente alle mille smentite della complessità ambientale con la costruzione di una corrispondente complessità interna, non certo quella che si limita a ripetere dei mantra. Così, Copernico la vince su Tolomeo e i cretini d’un tempo si rivelano sapienti. Il rischio è che attardandosi sulla teoria soggettiva del valore si faccia la fine del Don Ferrante di manzoniana memoria: morire di statalismo imprecando contro ciò che ci si è rifiutati di capire.
Un’obiezione – tra le tante – a botta calda: non è forse un’evidenza che a volte le persone aumentino la domanda di un bene proprio all’aumentare del suo prezzo sul mercato? Si pensi a tutti quei beni acquistati quasi solo per essere ostentati: ogni imprenditore sa che se abbassa troppo il prezzo di certi suoi prodotti perde tutta una fascia di potenziali acquirenti. Questi ultimi dovrebbero essere considerati incapaci di intendere e di volere solo perché non sanno dare il giusto valore alle merci? Ma allora, non è che la soggettività del valore non è più soggettiva? Chi stabilisce oggettivamente qual è il giusto valore soggettivo?
Non ha letto o colto il significato della clausola: “a parità di altre condizioni”. Quella che descrive lei è una situazione in cui non c’è parità di altre condizioni.
Poniamo che Tizio abbia intenzione di invitare una bella ragazza a un ristorante per il prossimo anno. La legge economica di domanda stabilisce con assoluta certezza che, a parità di altre condizioni, egli non la inviterà più spesso se i prezzi del ristorante aumentano. Per soddisfare la clausola “a parità di altre condizioni”, occorre che la bella ragazza non possa vedere i prezzi del menu, per esempio. Altrimenti, appunto, non vale la clausola: l’ostentazione è, dal punto di vista strettamente economico, un secondo “bene”, aggiuntivo a quello del pasto al ristorante, che alcuni possono desiderare e altri no.
Grazie alla clausola, la legge scientifica di domanda mette in relazione esclusivamente la persona che vuole fare l’acquisto, il prodotto che vuole essere acquistato, e il prezzo. Questa è una situazione estremamente striminzita che non riflette la realtà, la quale è molto più complessa e in cui entrano in gioco infinite variabili e fattori (una parte sola dei quali conoscibile). Tuttavia, lo scopo della scienza economica non è descrivere la realtà ma stabilire delle leggi scientifiche che valgono sempre e comunque. Naturalmente, il risultato della loro applicazione a un caso particolare può essere “inquinato” dalla complessità della realtà di quel caso particolare.
In buona sostanza, sostenere che la legge di domanda non è certa e assoluta perché “a volte le persone aumentano la domanda di un bene proprio all’aumentare del suo prezzo sul mercato” è come dire che la legge di gravità non è certa e assoluta perché a volte una mela non cade in basso ma di lato (o perfino verso l’alto) perché il vento ne ha modificato la traiettoria.