Unabomber, la ‘decrescita felice’ e l’ambientalismo

GIOVANNI BIRINDELLI, 2.12.2018

Il bel film Manhunt: Unabomber (Netflix, 2017) è basato sulla storia vera di Theodore Kaczynski, un matematico straordinariamente intelligente in diversi campi (e ordinariamente stupido nel campo delle scienze sociali) che, avendo sviluppato una sorta di ‘filosofia’ della ‘decrescita felice’ secondo la quale l’industrializzazione capitalista rende l’uomo schiavo e distrugge la natura, vive da eremita in un bosco. Per far ascoltare le sue idee, spedisce bombe per posta a persone-simbolo. Ottiene col ricatto la pubblicazione, da parte di un grande quotidiano nazionale, della sua ‘teoria sociale’ che vorrebbe fosse imposta a (o accolta da) tutti e che prevede il ritorno a una sorta di condizione pre-industriale. Questa pubblicazione è in realtà una trappola tesa dell’agente dell’FBI James Fitzgerlad, che nelle sue indagini ricorre a tecniche di linguistica comparativa mai usate prima grazie alle quali riuscirà a catturare Kaczynski. Fitzgerlad è l’eroe buono che tuttavia condivide la ‘filosofia’ della sua preda.

Questo è un aspetto interessante: la tesi della ‘decrescita felice’ viene esplicitamente difesa nel film. Quello che viene condannato è naturalmente il modo in cui questo messaggio è stato diffuso da Kaczynski, non il messaggio in sé, che al contrario sembra essere condiviso dagli autori. Anche se etichettato come ‘puerile’ e ‘dilettantesco’ da alcuni personaggi negativi, infatti, questo messaggio è condiviso esplicitamente dall’eroe buono e dagli altri personaggi positivi.

In effetti, questo messaggio oggi (e da qualche tempo) è molto di moda. Il pregiudizio positivo per il cibo a “Km 0”, quello negativo per il cibo OGM, il divieto di lavorare la domenica, la diffusa ostilità nei confronti dei giganti della distribuzione (e di quella online in particolare), il divieto di Uber Pop a operare, le deliranti regolamentazioni edilizie, sono solo alcuni esempi di questo messaggio che in Occidente è vivo e vegeto fra i socialisti, specie quelli di ‘sinistra’, ambientalisti e ‘di protesta’, i radical-chic e i fricchettoni.

  1. L’immagine dell’incrocio deserto in cui un’automobile è ferma davanti al semaforo rosso

Il messaggio di Kaczynski è simbolizzato da un’immagine che ricorre più volte nel film e che è usata per l’ultima potente scena. L’immagine è quella di un incrocio deserto in cui un’automobile è ferma davanti al semaforo rosso. Dal punto di vista della ‘filosofia’ che il film vuole difendere, il conducente è costretto da quel semaforo (simbolo dell’industrializzazione capitalista) ad agire come se fosse una persona senza mente.

Per veicolare il messaggio (privo di senso) dell’industrializzazione che rende l’uomo schiavo non poteva essere scelta un’immagine più sbagliata. Il regista non si è reso conto, infatti, che nella realtà oggettiva quell’immagine descrive una situazione esattamente opposta a quella che sostengono Kaczynski e i personaggi positivi del film.

In estrema sintesi[1], per l’attraversamento di un incrocio si può ricorrere a un semaforo oppure a una rotatoria. La differenza fra le due soluzioni sta nel tipo di conoscenza di cui si fa uso per attraversare quell’incrocio.

Nel caso del semaforo, si fa uso di conoscenza centralizzata: quella dell’autorità che ha programmato quel semaforo (o di chi lo ha fatto per lei). Si tratta di una conoscenza che non tiene conto delle condizioni di tempo e di luogo. Non essendo in quel luogo (e contemporaneamente in milioni di altri luoghi diversi) in quel momento, l’autorità non può sapere se ci sono le condizioni per attraversare o meno. Di qui, l’incrocio deserto in cui un’automobile è ferma davanti al semaforo rosso; e l’uomo ridotto a mero esecutore di idioti comandi meccanizzati; al punto che, se l’incrocio non fosse deserto, il semaforo a causa di un guasto (o di una manipolazione) segnalasse verde da tutti i lati e provocasse in questo modo un incidente, gli automobilisti che avessero attraversato col verde, avendo rispettato gli ordini della macchina, non ne sarebbero responsabili. Essendo l’ordine dato da quella macchina il risultato di una catena di comando il cui primo anello è l’autorità (democratica o meno è irrilevante), il passo da qui all’“eseguivo ordini” del gerarca nazista è molto breve.

Nel caso della rotatoria, al contrario, si fa uso della conoscenza periferica distribuita capillarmente fra tutte le persone che attraversano quel semaforo e non disponibile ad alcuna autorità centrale. Questa conoscenza è anche di tempo e di luogo: queste persone sanno, perché sono lì in quel momento, se ci sono le condizioni per attraversare o meno. L’immagine-simbolo che chiude il film (l’incrocio deserto in cui un’automobile è ferma davanti al semaforo rosso) si riferisce a una situazione che in una rotatoria non può tecnicamente verificarsi. Gli automobilisti (alcuni più prudenti, altri meno; alcuni più bravi, altri meno; alcuni con automobili migliori, altri con automobili peggiori) attraversano l’incrocio sotto la propria responsabilità, rispettando una semplice regola generale di comportamento individuale. Rimangono persone: libere e responsabili (non c’è libertà senza responsabilità), non meri esecutori di comandi centralizzati e meccanizzati. Non è possibile alcun “eseguivo ordini”.

  1. Il problema dell’uso della conoscenza nella società

Ora, fuori di metafora, come per l’attraversamento di quell’incrocio è possibile avere un semaforo (uso di conoscenza centralizzata) o una rotatoria (uso di conoscenza periferica), la ‘società’ e il sistema economico possono funzionare (o non funzionare) in due soli modi: usando la conoscenza centralizzata di un’autorità e imponendo questo uso mediante la ‘legge’ intesa come strumento di potere coercitivo arbitrario di alcuni su altri (sistemi socialisti) oppure usando la conoscenza dispersa capillarmente fra i singoli individui e consentendo questo uso all’interno del perimetro segnato dal principio di non aggressione, cioè dalla Legge intesa come limite non arbitrario al potere coercitivo di chiunque su chiunque (sistemi capitalisti). Non c’è alcuna terza via possibile[2].

Ora, tutte le ‘norme’ mediante le quali si vuole imporre la ‘decrescita felice’ richiedono una struttura socialista, quindi anti-capitalista. In altre parole, richiedono il semaforo. Usare l’immagine del semaforo come simbolo dell’industrializzazione capitalista è quindi un’inversione della realtà oggettiva. L’industrializzazione capitalista è prodotta dall’uso di conoscenza periferica che è consentita dalla rotatoria (più precisamente, da quelle rotatorie ancora non sostituite dai semafori del dilagante interventismo statale), non dall’uso di conoscenza centralizzata che è imposto dal semaforo. Se gli autori volevano simboleggiare l’industrializzazione capitalista dovevano usare l’immagine di un’automobile che, a un incrocio deserto, attraversa tranquillamente la rotatoria. Tuttavia, questa immagine, per nulla drammatica, avrebbe espresso le virtù del capitalismo, e quindi non si sarebbe adattata alla visione anti-scientifica e romantica dei sostenitori della deindustrializzazione e della ‘decrescita felice’.

Non è l’industrializzazione capitalista che viola la libertà dell’uomo (e che distrugge l’ambiente), ma la sua antitesi: lo stato. L’industrializzazione, e più precisamente la crescita economica strutturale, è resa possibile solo dalla libertà (e quindi anche dalla libertà assoluta di scambiare) che lo stato moderno nasce per impedire.

Per uscire dalla dimensione astratta e calarmi nel concreto, nella sezione che segue farò un esempio relativo all’uso dei due tipi diversi di conoscenza (centralizzata e periferica) nel caso particolare del tasso d’interesse, che è quello in cui i danni economici prodotti dall’interventismo statale sono i più devastanti. L’eventuale lettore che ritenesse questa essere una divagazione tecnica che si spinge un po’ troppo oltre quella che dovrebbe essere la semplice recensione di un film, può proseguire direttamente alle conclusioni dell’articolo senza danno.

  1. L’esempio del tasso d’interesse

La componente primaria del tasso d’interesse di mercato sono le preferenze temporali, cioè quelle fra tempo futuro (risparmio) e tempo presente (consumo)[3]. Queste preferenze temporali naturalmente sono individuali: ogni persona ha le sue.

Consideriamo due villaggi (A e B). Supponiamo che al tempo t0 abbiano lo stesso numero di abitanti e che (p. es. a seguito di una tirannia comunista terminata in quel momento), ciascuno di questi abbia la stessa quantità di risorse finanziarie a disposizione. Supponiamo inoltre che le persone che abitano nel villaggio A generalmente abbiano una preferenza temporale più alta di quella che generalmente hanno le persone che abitano nel villaggio B (nel senso che nel villaggio A è più facile trovare persone che consumano di più – e quindi risparmiano di meno – di quanto sia facile trovarle nel villaggio B).

Ora, allo stesso modo in cui all’incrocio di cui sopra si poteva avere un semaforo (uso di conoscenza centralizzata) o una rotatoria (uso di conoscenza periferica), il tasso d’interesse può essere fissato arbitrariamente da parte di un’autorità (p. es. una banca centrale: uso di conoscenza centralizzata/sistema socialista/semaforo) oppure può emergere spontaneamente dal processo di mercato (uso di conoscenza periferica/sistema capitalista/rotatoria).

In questo secondo caso, lo spontaneo processo di mercato (o del libero scambio) tiene conto delle preferenze temporali di ogni singola persona (preferenze che nessuna autorità centrale può conoscere).

Nelle nostre ipotesi di partenza (preferenze temporali generalmente più alte in A che in B), al tempo t1 nel villaggio A le risorse disponibili per gli investimenti (i risparmi) saranno minori che nel villaggio B. Di conseguenza, il prezzo per aggiudicarsi queste risorse (il tasso d’interesse) sarà più alto in A che in B. Questo a sua volta significa che in B potranno essere fatti più investimenti, più a lungo termine; e quindi che la struttura produttiva che ne emergerà sarà più lunga e complessa: i beni e servizi prodotti al tempo tn saranno più sofisticati e tecnologicamente più avanzati in B che in A. In altre parole, in B ci sarà maggiore industrializzazione che in A. La minore industrializzazione del villaggio A sarà stata determinata, a parità di altre condizioni, dalle più alte preferenze temporali che generalmente hanno gli abitanti di quel villaggio (e quindi dalla loro relativamente più alta tendenza al consumo piuttosto che al risparmio).

Viceversa, il caso corrispondente al sistema socialista (analogo a quello del semaforo) è quello attuale in cui un’autorità (p. es. la banca centrale) fissa arbitrariamente il tasso d’interesse; e lo fa, non in base alla conoscenza di quali siano in ogni momento le preferenze temporali delle singole persone (conoscenza che non può mai avere; neanche per approssimazione; neanche in minima parte), ma in funzione dell’obiettivo particolare arbitrariamente stabilito e coercitivamente imposto da un burocrate: quindi ignorando del tutto la componente primaria del tasso d’interesse (le preferenze temporali delle persone, appunto).

Ora, qualsiasi prezzo di mercato svolge (nella bella immagine di Ludwig von Mises) il ruolo di una bussola in una situazione in cui il cielo è oscurato dalle nuvole e non sono disponibili altri strumenti di navigazione. Senza quella bussola, è impossibile orientarsi. Senza prezzi di mercato, ma con ‘prezzi’ stabiliti arbitrariamente da parte di qualche autorità, è impossibile conoscere quanto determinati beni e servizi siano importanti per le persone e quindi avere un’allocazione delle risorse (inclusi i fattori di produzione) che abbia un senso. Si naviga alla cieca: il sistema economico non può funzionare.

Questo è vero a maggior ragione per il tasso d’interesse che, fra tutti i prezzi, è di gran lunga il più importante. Infatti, essendo il prezzo delle preferenze temporali, il tasso d’interesse coordina nel tempo risparmi e investimenti e quindi definisce la (e dà sostenibilità economica alla) struttura produttiva. Se questo prezzo viene sostituito con la decisione arbitraria di un’autorità (cioè se il tasso d’interesse di mercato viene sostituito col tasso d’interesse deciso arbitrariamente da una banca centrale) questo coordinamento nel tempo fra risparmi e investimenti salta: la struttura produttiva, distorta dalle informazioni sulle risorse disponibili per gli investimenti veicolate dal tasso d’interesse, diventa economicamente insostenibile.

Un tasso d’interesse artificialmente basso (risultato diretto dell’espansione artificiale del denaro e del credito), segnalando agli investitori la presenza di abbondanti risparmi, li indurrà a iniziare ambiziosi progetti a lungo termine. Questi abbondanti risparmi tuttavia non esistono. Quando questo fatto diventa evidente, si ha la crisi sistemica[4].

Se ci si rendesse conto della causa della crisi e si agisse di conseguenza (cioè eliminando dalla sera alla mattina ogni forma di interventismo statale, economico e monetario) il sistema economico si auto-curerebbe nel più breve tempo possibile depurandosi delle tossine, i malinvestments (gli investimenti indotti dal tasso d’interesse artificialmente basso ma che non avrebbero mai potuto essere fatti -in quanto non sufficientemente remunerativi- laddove il tasso d’interesse fosse stato di mercato e quindi più alto di quello manipolato). La distorsione della struttura produttiva causata dal tasso d’interesse artificialmente basso verrebbe corretta: le risorse economiche smetterebbero di confluire verso progetti economicamente insostenibili e tornerebbero a confluire verso progetti economicamente sostenibili alle condizioni di mercato. Ci sarebbe una crisi, che sarebbe tanto più forte quanto maggiormente e più a lungo il tasso d’interesse fosse stato manipolato. Ma sarebbe una crisi costruttiva e temporanea, analoga alla crisi psicologica di una persona che riconosce i propri errori, li affronta e li risolve.

Tuttavia, dato che non si sta parlando di una persona che paga per i suoi errori e ma di una classe di persone (la burocrazia politica) che non solo non paga per i suoi errori ma anzi generalmente viene premiata per essi (e tanto di più quanto più abbondanti e gravi sono questi errori[5]), inevitabilmente accade l’esatto contrario: il male viene ‘curato’ con dosi ancora maggiori della stessa droga che lo ha prodotto, vale a dire con ancora maggiore espansione artificiale del denaro e del credito (che produce tassi d’interesse ancora più bassi, e perfino negativi) e, più in generale, con maggiore interventismo economico e monetario. Il risultato è una ‘ripresa’ economica trainata da ulteriori malinvestments che, come i precedenti, e per le stesse ragioni, sono destinati a fallire. Invece di consentire al sistema economico di auto-curarsi, chi controlla il semaforo peggiora la sua situazione. Tuttavia, l’espansione artificiale del denaro e del credito non può durare all’infinito. Quando si raggiunge il limite si ha il crollo sistemico, cosa che con la rotatoria (l’uso di conoscenza periferica) non sarebbe stata possibile.

In sintesi, fra il tasso d’interesse fissato arbitrariamente da una banca centrale (sistema socialista) e il tasso d’interesse che emerge dallo spontaneo processo di libero scambio (sistema capitalista) non ci sono vie di mezzo. Il primo sistema fa uso di conoscenza centralizzata (semaforo) e per questo non funziona[6]. Il secondo sistema fa uso di conoscenza periferica (rotatoria), e per questo funziona. Il primo sistema distrugge valore economico e quindi, attraverso crisi economiche cicliche, produce ‘decrescita’ (più precisamente, riduce nel lungo periodo la crescita economica strutturale rispetto a una dinamica caratterizzata da assenza di interventismo economico/monetario). Il secondo sistema, al contrario, crea valore economico e quindi produce una crescita economica strutturale compatibile con le esistenti condizioni di mercato, senza crisi economiche cicliche e/o sistemiche.

  1. Conclusioni

Possiamo ‘misurare’ la civilizzazione di un gruppo di persone che vivono in una determinata area geografica col grado di divisione del lavoro: quanto maggiore e specializzata è la conoscenza racchiusa all’interno dei beni e servizi che le persone utilizzano quotidianamente, tanto maggiore è il grado di civilizzazione di queste persone. In altre parole, quanto meno le persone capiscono (e sono in grado di riprodurre da sole) i beni e i servizi di cui fanno abitualmente uso, tanto più esse sono civilizzate.

La civilizzazione non è quindi una qualità individuale ma una qualità dell’ambiente in cui l’individuo vive. Un occidentale imbecille (per esempio un socialista) e troglodita è, che lo voglia o no, più civilizzato del più saggio, intelligente, industrioso, forte e capace fra i membri di una tribù isolata dell’Amazzonia: semplicemente perché, negli oggetti di cui fa uso durante la sua giornata, è racchiusa infintamente più conoscenza, infinitamente più specializzata. Una conoscenza a cui tuttavia l’occidentale non ha accesso; e ne ha sempre di meno quanto più civilizzato diventa l’ambiente in cui vive, cioè quanto maggiore e più specializzata diventa la conoscenza racchiusa nelle cose che usa (in altri termini, quanto più queste sono per lui una ‘scatola nera’).

Il processo del libero scambio (il capitalismo) produce civilizzazione. La coercizione socialista, viceversa, la distrugge, la impedisce, la ostacola o la rallenta, a seconda dei casi.

Il messaggio di Kaczynski, fatto proprio dagli autori del film, non è tanto un messaggio contro l’industrializzazione quanto un messaggio contro la civilizzazione. Quindi è un messaggio contro la conoscenza. Più che sbagliato, questo messaggio è assurdo. Tuttavia è comprensibile: molte persone sono ostili alla civilizzazione perché hanno paura di una conoscenza a cui non hanno accesso. Un ambiente in cui possono produrre (o quanto meno capire come si producono) gli oggetti che usano li rassicura molto di più di un ambiente in cui non possono riprodurre, né intuire come funzionano, gli oggetti da cui dipendono[7]. Questa paura della civilizzazione è legata all’incapacità di comprensione dell’ordine spontaneo di mercato[8] e cioè del processo distribuito mediante il quale avviene la produzione degli oggetti che oggi utilizziamo quotidianamente[9].

La civilizzazione è tuttavia solo un aspetto del capitalismo. Infatti questo può esprimersi solo laddove (e nei limiti in cui) viene difesa la sovranità della Legge, cioè del principio di non aggressione: in altre parole, la libertà. Una persona che acquista un pezzo di foresta e che sceglie di viverci da eremita è parte del sistema capitalista, allo stesso modo in cui lo è un capitano d’industria o una persona che fa volontariato per i poveri.

Per la stessa ragione (il fatto che il capitalismo può esprimersi solo nei limiti in cui viene rispettato il principio di non aggressione) l’inquinamento è in grandissima parte un fenomeno anti-capitalista. Ad essere inquinati sono infatti i luoghi in cui non c’è proprietà individuale (gli oceani, i laghi, l’aria, le strade,…), mentre le case delle persone sono pulite.

In altre parole, la sovranità del principio di non aggressione, implicando l’assenza di proprietà ‘pubblica’, rende impossibile la ‘tragedia dei beni comuni’[10]: se noi oggi dovessimo pagare il prezzo di mercato al nostro vicino (o a un’impresa x) per scaricargli i nostri rifiuti non potremmo consumare quello che consumiamo nel modo in cui lo consumiamo: l’intera struttura produttiva sarebbe estremamente diversa (molto più efficiente ed ecologica).

Kaczynski si sbagliava: ha sacrificato tutto ciò a cui teneva nella vita per difendere, nei fatti, una causa opposta a quella che voleva. E, come Kaczynski, oggi si sbagliano gli attuali socialisti di ‘sinistra’ (e di ‘destra’), gli ambientalisti, i radical-chic e più in generale gli statalisti di ogni colore. Essi pensano che attaccando quel poco che resta del capitalismo (e quindi della libertà) potranno migliorare la loro posizione, o addirittura “salvare il pianeta”. Non si rendono conto del fatto che la loro posizione (e quella del pianeta) è peggiorata a causa degli attacchi continui e sistemici che il capitalismo continua a subire, per mezzo della macchina statale, da parte delle maggioranze imbecilli. Attaccando il capitalismo, essi tagliano il ramo su cui loro stessi, e quel che resta della natura, senza rendersene conto sono seduti.

NOTE

[1] Una discussione più estesa di questa metafora la feci tempo fa in questo articolo: https://catallaxyinstitute.wordpress.com/2012/05/18/lo-statalista-monti-spiegato-con-la-metafora-del-semaforo/

[2] Ci possono essere diverse proporzioni in cui, in ogni dato momento e luogo, l’uso di questi due tipi di conoscenza è arbitrariamente ‘mescolato’. Tuttavia, perché le proporzioni del ‘cocktail’ possano esistere, esse devono necessariamente essere decise arbitrariamente e imposte dall’autorità (il barman). In conclusione, un sistema sociale ed economico può avere una struttura socialista oppure una capitalista (o catallassi: https://catallaxyinstitute.wordpress.com/catallaxy/ ): non possono logicamente esserci vie di mezzo.

[3] Le altre due componenti del tasso d’interesse sono quella relativa al rischio (maggiore è il rischio, maggiore sarà il tasso d’interesse) e quella relativa alle aspettative sulla perdita del potere di acquisto del denaro (maggiori sono queste aspettative, maggiore sarà il tasso d’interesse). Le preferenze temporali sono la componente primaria del tasso d’interesse nel senso che è l’unica componente che resterebbe in quell’astrazione ultra-semplificata che è l’economia stazionaria o, più correttamente, “circolare” (evenly rotating economy, ERE). Questa rappresenta una situazione che nella realtà non si verificherà mai ma che, per la sua semplicità, consente di scoprire delle leggi economiche che rimangono valide anche nei casi infinitamente più complessi e di scoprire, sulla base di queste leggi economiche, altre leggi economiche più complesse.

[4] Per un approfondimento della teoria del ciclo economico della Scuola Austriaca, si veda in primo luogo: Hayek F., 2012 [1931], “Prices and Production” in Business Cycles Part I (University of Chicago Press, Chicago IL)
; Mises L., 1998 [1949], Human Action, A Treatise on Economics (Ludwig von Mises Institute, Auburn); Rothbard M.N., 2004 [1962], Man, Economy and State (Ludwig von Mises Institute, Auburn AL); Huerta de Soto J., 2009 [1998], Money, Bank Credit, and Economic Cycles (Ludwig von Mises Institute, Auburn AL)
. Un mio tentativo di sintesi è contenuto in questo articolo: https://catallaxyinstitute.wordpress.com/2016/12/17/indipendenza-denaro-e-credito/ . Per una rappresentazione grafica della struttura produttiva e della dinamica del ciclo economico si possono vedere le diapositive dalla n. 60 alla n. 81 di queste lezioni https://catallaxyinstitute.files.wordpress.com/2018/05/giovanni-birindelli-protectionism-milan-university7.pdf

[5] I danni causati dall’interventismo statale infatti di solito vengono attribuiti al ‘libero mercato’, che l’esistenza stessa dello stato e il suo interventismo (ma a monte l’idea astratta di ‘legge’ che li rende legali: il positivismo giuridico) rendono impossibile in the first place. Le persone cercano quindi la soluzione ai problemi prodotti dall’interventismo statale in ancora più interventismo statale. In questo modo chi ha creato i problemi (la burocrazia statale), invece di pagarne personalmente le conseguenze, viene premiata; e la macchina coercitiva statale continua a espandersi.

[6] Funziona in un’azienda, dove la conoscenza che è necessario usare per avere crescita è centralizzata, ma non nel sistema economico nel suo complesso, dove la conoscenza che è necessario usare per avere crescita è quella periferica distribuita capillarmente fra le singole persone.

[7] A questo proposito, è utile richiamare un’altra scena cruciale del film, molto commovente. In questa scena, l’eremita Kaczynski (con un passato alle spalle di dolore e di tradimenti da parte delle persone a lui più vicine) va al compleanno di un ragazzino col quale ha stretto amicizia. Gli porta in dono un piccolo strumento fatto artigianalmente da lui e che ha scelto di fabbricare al posto di una bomba. In questo momento, per un istante, l’amicizia per il ragazzino sembra tirarlo fuori dal suo tunnel distruttivo. Tuttavia, quando arriva davanti alla casa del ragazzino, vede da dietro la finestra, senza essere visto, che lui scarta raggiante di gioia un pianoforte elettrico datogli in dono da qualcuno. Kaczynski rimane impietrito e si sente di nuovo tradito. Non va alla festa, getta via il suo regalo e torna a rifugiarsi con ancora più determinazione nella costruzione di bombe.

[8] Per un approfondimento su questo, rimando a un mio precedente articolo: https://catallaxyinstitute.wordpress.com/2014/10/01/einstein-il-socialismo-e-la-relativita-dellintelligenza-2/

[9] Per intuire la complessità di questo processo (cioè dell’ordine spontaneo del libero mercato, e quindi della civilizzazione) nel caso ultra-semplice della produzione di una matita, si veda questo bellissimo e noto video: https://www.youtube.com/watch?v=IYO3tOqDISE

[10] Per una discussione approfondita dell’ecologia di mercato, si veda Lottieri C., Piombini G., 1996, Privatizziamo il chiaro di luna! (Leonardo Facco Editore, Treviglio) e Papafava N., 2004, Proprietari di sé e della natura (Liberilibri, Macerata).

7 thoughts on “Unabomber, la ‘decrescita felice’ e l’ambientalismo

  1. Alfonso Rossi December 5, 2018 / 11:03 pm

    Ps : quella della rotonda contrapposta al semaforo è una metafora bellissima

  2. Alfonso Rossi December 5, 2018 / 10:57 pm

    Grande Birindelli. Precisione concettuale, coerenza nelle deduzioni, …

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