GIOVANNI BIRINDELLI, 7.3.2019
(English Version here. Questo articolo è stato modificato l’8.3.19 [°]).
Salve Giovanni […] le chiedo la cortesia di commentare sul suo sito […] il recente articolo (*) di Hoppe sulla necessaria alleanza dei libertari con il populismo. Personalmente apprezzo il paleolibertarismo, ma credo che Hoppe abbia esagerato davvero nella sua accettazione di metodi autoritari (se non totalitari) nei confronti dei dissenzienti, siano essi culturali o politici. Sarebbe molto utile una sua critica ragionata. Grazie (Stefano)
Non credo che si tratti di esagerazione, ma di deriva anti-scientifica. Più precisamente, di un pensiero che, pur partendo da coerenti premesse scientifiche, nella sua applicazione pratica (strategica) le contraddice. E queste contraddizioni non riguardano un elemento accessorio ma le fondamenta stesse della scienza della libertà e di quella economica.
1. Principio di non aggressione ‘macro’ vs. ‘micro’
La prima contraddizione di fondo riguarda il principio di non aggressione, e quindi il punto di partenza della scienza della libertà. In un passaggio del suo intervento, Hoppe dice: «mentre il principio di non aggressione rimane valido per persone che vivono lontane fra loro e che hanno a che fare le une con le altre solo indirettamente e da lontano, il principio non è valido, o piuttosto è insufficiente, quando si tratta di persone che vivono in prossimità le une con le altre, come ad esempio dei vicini o gli abitanti della stessa comunità» (corsivo nell’originale).
Ora, in primo luogo, e preliminarmente, la non validità di un principio e la sua non sufficienza sono due concetti molto diversi. La legge di gravità ovviamente non è sufficiente, di per sé, a portare l’uomo sulla Luna: serve anche un progetto ingegneristico aerospaziale. Tuttavia, questo non significa che la legge di gravità non sia valida: al contrario, un progetto ingegneristico aerospaziale che non la ritenesse valida (o che la ritenesse valida solo per alcune persone) difficilmente potrebbe portare l’uomo sulla Luna, e anzi anche solo sollevarlo un centimetro dal suolo.
All’inizio del suo intervento, Hoppe vede nella «precisione concettuale» la linea di confine che separa i «veri libertari» dai «falsi». Questa apparente confusione (in relazione a niente di meno che il principio di non aggressione) fra invalidità e insufficienza qualificherebbe Hoppe, in base ai suoi stessi metri di giudizio, come un “falso libertario”.
In realtà, la confusione è solo apparente. Hoppe infatti chiarisce più avanti nel suo intervento che ritiene il principio di non aggressione essere non valido in alcuni casi, come in quello dei vicini che esprimono idee (!) collettiviste: «nei confronti dei vicini che apertamente difendono il comunismo, il socialismo, il sindacalismo o la democrazia in qualsiasi modo o forma […], poiché essi pongono una minaccia a ogni proprietà privata e ai proprietari, non solo si deve adottare l’ostracismo ma essi devono […] essere rimossi fisicamente, se necessario con la violenza, ed essere obbligati con la forza ad andare a vivere altrove». Ecco che l’espressione di idee aggressive diventa giustificazione di aggressione: in particolare, della violazione della libertà di espressione (ricordo che, nei limiti in cui si rispetta coerentemente il principio di non aggressione e purché avvenga nel rispetto dei diritti di proprietà altrui, l’espressione di nessuna idea può essere coercitivamente impedita).
Secondo Hoppe, il principio di non aggressione risulterebbe quindi non solo insufficiente a mantenere una società libera, ma anche non valido in alcuni casi. Questa validità arbitrariamente selettiva del principio di non aggressione ricorda da lontano la distinzione puramente keynesiana fra economia ‘macro’ (in cui varrebbero alcune ‘leggi’ economiche[1]) e ‘micro’ (in cui varrebbero leggi economiche opposte[2]) che la Scuola Austriaca di economia, applicando coerentemente gli stessi principi a tutti i casi, dimostra essere priva di alcuna validità scientifica.
Più specificamente in relazione alla scienza della libertà, l’idea che l’aggressione possa essere legittima in alcuni casi e illegittima in altri è niente di meno che la base su cui poggia l’intero statalismo. La tesi del filosofo tedesco non è quindi solo anti-scientifica e intrinsecamente contraddittoria, ma esprime anche una struttura di pensiero che in effetti, sotto la superficie dell’aderenza ai principi scientifici esposti da Rothbard, ha forti analogie con quella del suo nemico, gli statalisti.
2. La botte piena e la moglie ubriaca
Avere una struttura di pensiero statalista non vuol dire aderire allo statalismo ma avere dei processi mentali che, mutatis mutandis, sono analoghi a quelli degli statalisti. Nel caso di Hoppe, un altro di questi processi mentali (in aggiunta al ricorso alla validità arbitrariamente selettiva del principio di non aggressione accennata sopra) è quello che porta a volere “la botte piena e la moglie ubriaca”.
Questo processo mentale è ravvisabile nello statalista comune, per esempio, quando, mentre da un lato sostiene di non essere ostile alla libertà, dall’altro pretende di essere sollevato dalle responsabilità e dai rischi che questa comporta (oggi vediamo l’apoteosi di questo col ‘reddito di cittadinanza’, per esempio). Lo stesso processo mentale è ravvisabile nel moderno social-democratico quando, mentre da un lato dice di essere a favore della libertà di parola, dall’altro ritiene che sia legittimo aggredire chi esprime un pensiero che non gli è gradito (basti pensare, nel caso italiano, al ‘reato’ di apologia del fascismo e più in generale ai ‘reati’ di opinione). E così di seguito… Ora, questo stesso processo mentale della “botte piena e la moglie ubriaca” è a mio parere chiaramente ravvisabile in Hoppe quando, mentre da un lato difende il principio di non aggressione, dall’altro lo ritiene esplicitamente non valido quando l’aggressione è rivolta contro persone che hanno un pensiero (!) ostile alla libertà.
La libertà non significa assenza di disagio; non arriva senza costi. E sono proprio i costi e i rischi della libertà che contribuiscono a spingere così tante persone perbene ad avversarla. Le persone che stanno coerentemente dalla parte della libertà (usiamo per queste persone l’etichetta “libertari”) sono e continueranno a essere poche anche perché per essere libertario occorre una statura rara a trovarsi: occorre difendere il principio di non aggressione anche quando il suo rispetto va contro i propri gusti, i propri interessi o permette ad altri di esprimere idee incompatibili con le proprie. Occorre difendere la proprietà (e quindi anche la libertà di pensiero) anche quando questa è dei nemici della libertà, altrimenti si diventa come loro.
3. La differenza come fattore di disordine
Un’altra profonda contraddizione di Hoppe è economica, prima ancora che etica. Mentre da un lato Hoppe conosce e difende la scienza economica (di cui oggi si occupa solo la Scuola Austriaca di economia), dall’altro egli vede la differenza (o “eterogeneità”) come fattore di disordine. Tuttavia, questa visione della differenza è incompatibile con la teoria soggettiva del valore e col processo di libero scambio (in altre parole, con la scienza economica).
Partendo infatti dal caso del “cattivo vicino” non aggressivo, Hoppe trae la conclusione che «la pacifica coabitazione di vicini e di persone in regolare contatto diretto fra loro in un particolare territorio (un ordine sociale conviviale e tranquillo) richiede anche una comunanza di cultura: di lingua, di religione, di abitudini e di convenzioni […] L’eterogeneità culturale non può esistere in uno stesso luogo e territorio senza portare a una diminuzione della fiducia sociale [social trust], a un aumento delle tensioni e infine all’invocazione dell’“uomo forte” e alla distruzione di qualsiasi cosa che assomigli a un ordine sociale libertario».
L’incompatibilità di questa tesi con la scienza economica e più in generale col processo del libero scambio a me sembra fin troppo banale ed evidente per essere discussa seriamente. Il fatto che, nello stesso articolo in cui critica il protezionismo, Hoppe lo difenda (che cos’è la difesa coercitiva dell’omogeneità se non una forma di protezionismo?), esprime una contraddizione francamente molto grossolana.
La teoria soggettiva del valore infatti già di per sé include la differenza come fattore di ordine, non di disordine. Ogni persona è diversa da un’altra: ha priorità diverse, preferenze diverse, dà un’importanza diversa a cose diverse, ha forze e debolezze diverse, si trova in situazioni diverse, in luoghi diversi ecc. Lo scambio nasce proprio da questa diversità (senza la quale non avrebbe ragione di esistere). Solo grazie a questa diversità in uno scambio libero entrambe le parti ci guadagnano e quindi si ha creazione di valore economico. L’ordine prodotto dal processo di libero scambio è un ordine spontaneo: cioè il risultato, non della pianificazione da parte di un vertice, ma di un processo decentrato e spontaneo basato su una struttura di incentivi.
La differenza quindi produce ordine, non disordine (fra l’altro, l’unico tipo di ordine che può creare prosperità in modo sostenibile). L’ordine prodotto dal libero scambio (e quindi dalla differenza) sarà tanto più prospero e forte quanto maggiore è il rispetto del principio universale e scientifico del principio di non aggressione (vedi sopra). E viceversa. Quindi Hoppe, vedendo la differenza come fattore di disordine, esprime di nuovo una struttura di pensiero tipicamente collettivista.
Più banalmente e terra-terra, secondo Hoppe, gli insegnanti di madrelingua inglese che lavorano nella scuola privata in cui io vorrei che andasse mia figlia produrrebbero disordine: e io che ero convinto che avere questa scuola vicino a casa mia fosse per me un gran vantaggio! La presenza, nelle mie vicinanze, di cuochi di una delle mie cucine preferite (quella thailandese) produrrebbero disordine: e io che mi lagnavo che a Firenze, dove vivo, non ce ne sono abbastanza per avere un livello qualitativo di questa cucina me per soddisfacente! In quanto ateo, in una situazione in cui i miei vicini fossero cattolici io produrrei disordine: e io che pensavo che l’ottimo rapporto che ho con alcuni vicini cattolici (e perfino con altri buddisti), fatto di piacevoli cene, conversazioni, cortesie, regali ecc. fosse il contrario del disordine!
Come dicevo, la tesi secondo cui la differenza produrrebbe disordine è troppo antitetica alla scienza economica (per non parlare di quella della libertà) per essere discussa seriamente.
4. Ragionamento per gruppi, libertà e end-state
Le tesi di Hoppe esprimono una struttura di pensiero analoga a quella dei collettivisti anche per un altro verso.
Nel suo articolo Hoppe infatti ragiona in termini di gruppi di persone (p. es. quelli caratterizzati dalla stessa lingua, stessa religione, stessa cultura, ecc.) invece che di individui. Più precisamente, in termini di gruppi di persone formati sulla base di parametri che, rispetto al principio di non aggressione, sono del tutto irrilevanti. Questo tipo di ragionamento per gruppi, tipico della mentalità collettivista, è incompatibile con le premesse metodologiche (individualiste) della scienza economica.
Di più: questo tipo di ragionamento per gruppi porta di nuovo Hoppe a commettere lo stesso errore metodologico dei collettivisti: quello di confondere la libertà, che è un processo, con un end state (una situazione particolare desiderata come punto di arrivo). La libertà è infatti niente di più e niente di meno che la sovranità del principio di non aggressione, senza “se” e senza “ma”. Quanto più viene rispettato questo principio (cioè quanto maggiore è lo spazio lasciato al libero scambio), tanto meno si può prevedere l’end state che sarà il risultato di questo rispetto. E viceversa. Quando Hoppe afferma che solo una società uniforme per gruppi può portare alla libertà, egli confonde un particolare end state con la libertà.
5. Realismo, populismo e bitcoin
Nel suo intervento, Hoppe sostiene che: «una qualunque strategia libertaria per il cambiamento che sia realista deve essere una strategia populista. In altre parole, i libertari devono corto-circuitare le élite intellettuali dominanti e rivolgersi alle masse direttamente per incitare la loro indignazione e il loro disprezzo nei confronti delle stesse».
Hoppe spinge molto, nel corso di tutto il suo intervento, sul concetto di “realismo”. Ora, questo termine ha prevalentemente due significati: uno logico e uno comune. Il suo significato logico è quello di vedere la realtà oggettiva per quello che è. Quando il termine viene coerentemente usato in questo senso, non comporta alcuna antitesi fra il “teorico”e il “concreto” ma anzi una complementarietà fra i due. Infatti entrambi (sia il teorico, quando è scientifico, che il concreto) fanno parte della realtà oggettiva e una qualunque strategia efficace deve fare uso di entrambi (come abbiamo scritto sopra, se si vuole mandare l’uomo sulla Luna serve non solo un progetto ingegneristico -il concreto- ma anche la conoscenza e il rispetto senza se e senza ma delle leggi della fisica -il teorico).
Il significato comune del termine “realismo”, viceversa, suggerisce una separazione e una contrapposizione fra il teorico al concreto; più precisamente, pretende di confinare il teorico alla sfera delle chiacchiere (i “chiacchieroni” libertari Hoppe li etichetta col divertente termine «liberallala») e di fare affidamento, nella “vita reale”, solo sul concreto. Nel caso di Hoppe, come ho cercato di argomentare sopra, questo approccio ha prodotto (come di solito produce) una grande confusione e una violazione, nel passaggio dalla teoria alla pratica, dei più basilari princìpi scientifici.
Una strategia realista, nel senso logico del termine, è quella usata da chi ha inventato bitcoin. Questa strategia infatti da un lato è concreta (il protocollo bitcoin e la sua struttura decentralizzata, per esempio, sono tangibili). D’altro canto, in quello che ancora può essere definito “il suo piccolo”, la strategia di bitcoin è perfettamente coerente con la teoria scientifica (etica ed economica) da cui nasce: non c’è una sola virgola in cui il principio di non aggressione e le leggi dell’economia siano violati. Al contrario: bitcoin nasce per difendere entrambi nel campo del denaro.
Viceversa, nell’incitare le masse in una particolare direzione non c’è niente che sia un «cambiamento» rispetto a quello che fanno abitualmente le classi politico-parassitarie. Non c’è niente che alteri di una virgola il modello centralizzato che si critica. C’è solo la rozza aspirazione a sostituire una élite intellettuale con un’altra (quella di cui si ritiene di fare parte). In altre parole, a livello di struttura di strategia, more of the same.
Conclusioni
Col termine scienza della libertà mi riferisco a quella piccola parte della filosofia politica che ha valore scientifico e cioè che, nella difesa delle sue tesi, non incorre mai nella contraddizione logica né ricorre mai all’arbitrarietà.
Ugualmente, col termine scienza economica mi riferisco a quella piccola parte della teoria economica che ha valore scientifico e cioè che, sulla base di una metodologia adatta alla materia di studio e a partire da assiomi autoevidenti, procede a priori per deduzioni logiche senza mai entrare in contraddizione (per esempio in relazione alla teoria del valore economico), né ricorrere all’arbitrarietà.
Nel suo intervento, Hoppe, pur partendo da premesse scientifiche, quando passa dalla teoria alla pratica entra in contraddizione con i princìpi di base della scienza della libertà e della scienza economica. Nel fare questo, pur essendo radicalmente ostile a ogni forma di statalismo e di collettivismo, dimostra di avere una struttura di pensiero che ha importanti elementi in comune con queste dottrine anti-scientifiche e totalitarie.
NOTE
[°] Come mi ha fatto notare un lettore, Andrea, non è vero, come sbagliando avevo riportato, che Hoppe giustifica il ricorso all’aggressione nel caso del “cattivo vicino” non aggressivo. Egli lo giustifica nel caso di coloro che esprimono idee opposte alla libertà. Il fatto che egli giustifichi eccezioni arbitrarie al principio di non aggressione rimane inalterato.
(*) Una traduzione italiana di questo articolo da parte di Aurelio Mustacciuoli è presente sul sito del Miglioverde: https://www.miglioverde.eu/hans-h-hoppe-il-libertarismo-deve-essere-populista-e-secessionista/?fbclid=IwAR2TqP3wPaULtEl6–vUjCcZhirByeTEBH3lIzfGrVGO4N9Che4BQ2Ql3sw
[1] P. es. quella secondo cui, in una situazione di crisi, l’aumento dei consumi avrebbe effetti economici positivi.
[2] P. es. quella secondo cui, in una situazione di crisi, l’aumento dei consumi avrebbe effetti economici negativi
Chiaro e preciso come sempre, complimenti.
Ne approfitto per porgerle un tema/quesito: in che modo, secondo lei, la scienza economica e quella della libertà possono risultare robuste (o meglio antifragili) rispetto ad una eventuale critica di stampo popperiano sul concetto di scientificità? In altri termini, in che modo tali Scienze (sulle quali condivido il suo punto di vista) saprebbero distinguersi dalle altre di natura collettivista (come ad esempio il Socialismo scientifico di Marx)?
Grazie del commento. Mi scuso in anticipo della brevità del mio dovuta a impegni.
Non sono interamente convinto della validità scientifica del criterio popperiano riguardo alla scientificità (la falsificabilità). Tuttavia, la scienza della libertà e quella economica rispettano anche quel criterio per i motivi a cui ho accennato nelle conclusioni. Una legge (etica o economica) è scientifica nei limiti in cui essa (e la struttura teorica di cui fa parte) è non contraddittoria e non arbitraria. La non contraddittorietà e la non arbitrarietà dipendono dalla coerenza logica, che è open-source: accessibile a chiunque e quindi verificabile (usando la terminologia di Popper: “falsificabile”) da chiunque.
La scienza della libertà e quella economica si distinguono quindi dalle teorie collettiviste per il fatto che, al contrario di queste ultime, non finiscono mai in contraddizione né ricorrono mai all’arbitrarietà. Per questa ragione, le teorie collettiviste non sono scienza ma, usando il termine di Hayek, “scientismo”.
Grazie per la risposta. Buona giornata e buon lavoro.
Però nel punto sui cattivi vicini lei ha sbagliato. Leggendo la traduzione di Mustaccioli sul miglio verde, vedo che Hoppe prevede “l’ostracismo sociale”, ossia rendere al vicino la permanenza il più sgradevole possibile in modo da farlo fuggire. Dove prospetta invece una vera violazione del nap (“rimuovere fisicamente”) è nei confronti di chi diffonde idee comuniste. Ma qui si entra in un caso diverso, potremmo dire che questr persone sono davvero minacciose.
copio e incollo da google translator di un pezzo del brano di hoppe che ha linkato lei:
Puoi evitarlo e ostracolarlo. Ma al tuo vicino non importa, e in ogni caso tu solo così “punendo” lui fa poca o nessuna differenza per lui. Devi avere il rispetto e l’autorità comunali, oppure devi rivolgerti a qualcuno che lo fa, convincere e convincere tutti o almeno la maggior parte dei membri della tua comunità a fare altrettanto e rendere il cattivo vicino un emarginato sociale, in modo da esercitare abbastanza pressione su di lui per vendere la sua proprietà e andarsene. (Così tanto per i libertari che, oltre al loro ideale “vivi e lascia vivere”, salutano anche il motto “non rispettare l’autorità!”)
La lezione? La convivenza pacifica dei vicini e delle persone in regolare contatto diretto tra loro su un territorio – un tranquillo e conviviale ordine sociale – richiede anche una comunanza di cultura: di lingua, religione, costume e convenzione. Può esserci coesistenza pacifica di culture diverse su territori distanti, fisicamente separati, ma il multiculturalismo, l’eterogeneità culturale, non possono esistere in un solo e medesimo luogo e territorio senza portare a una diminuzione della fiducia sociale, a un aumento della tensione e, in definitiva, alla richiesta di un “uomo forte” e la distruzione di qualcosa che assomiglia a un ordine sociale libertario.
E inoltre: proprio come un ordine libertario deve sempre stare in guardia contro i “cattivi” (anche se non aggressivi) vicini attraverso l’ostracismo sociale, cioè, da una comune cultura “tu non sei il benvenuto qui”, così, e anzi persino più vigilante quindi, deve essere guardato dai vicini che difendono apertamente il comunismo, il socialismo, il sindacalismo o la democrazia in qualsiasi forma o forma. Essi, ponendosi in tal modo una minaccia aperta a tutti i proprietari privati e ai proprietari, devono non solo essere evitati, ma devono, per usare un meme di Hoppe ormai famoso, essere “rimossi fisicamente”, se necessario con la violenza, e costretto a partire per altri pascoli. Non farlo porta inevitabilmente – beh, comunismo, socialismo, sindacalismo o democrazia e, quindi, l’esatto opposto di un ordine sociale libertario.
ripeto che terrei dunque distinti i comunisti dai cattivi vicini. SUl suo commento sui comunisti potrei essere d’accordo o meno, ci devo pensare. Una minaccia è una minaccia. Il cile di Allende era una minaccia obiettivamente.
Ho ricontrollato. Ha ragione: è stato un mio errore. Ho corretto il testo dell’articolo. La ringrazio per la segnalazione e per l’insistenza nel farla. È stata davvero preziosa. Il fatto che Hoppe giustifichi arbitrarie eccezioni al principio di non aggressione (e quindi la sua deriva anti-scientifica) rimangono invariati. Ma era molto importante correggere quel mio errore. La ringrazio di nuovo.
Ho ricontrollato. Ha ragione: è stato un mio errore. Ho corretto il testo dell’articolo. La ringrazio per la segnalazione e per l’insistenza nel farla. È stata davvero preziosa. Il fatto che Hoppe giustifichi arbitrarie eccezioni al principio di non aggressione (e quindi la sua deriva anti-scientifica) rimangono invariati. Ma era molto importante correggere quel mio errore. La ringrazio di nuovo.
Ho ricontrollato. Ha ragione: è stato un mio errore. Ho corretto il testo dell’articolo. La ringrazio per la segnalazione e per l’insistenza nel farla. È stata davvero preziosa. La rimozione fisica di chi esprime idee contrarie alla libertà rimane una violazione oggettiva del principio di non aggressione. Il fatto che Hoppe giustifichi arbitrarie eccezioni al principio di non aggressione (e quindi la sua deriva anti-scientifica) rimangono invariati. Ma era molto importante correggere quel mio errore. La ringrazio di nuovo.
Sono veramente molto contento di averla aiutata, la leggo sempre con molto interesse e tanta stima, continui. In questo caso resto però ancora contrario alla sua opinione. Infatti, nel considerare “comunisti, socialdemocratici e democratici” noi “austriaci” e appassionati della “scienza della libertà” abbiamo potuto ormai tutti constatare con matematica certezza a cosa portano alla fine tali “pseudo opinioni politiche”: all’espropriazione, che in modo meno eufemistico potremmo definire furto. Dobbiamo paragonare le loro opinioni, quando riscontrino un certo consenso presso i nostri vicini, al vedere in lontananza un noto ladro con una pistola in mano, senza aver la possibilità di sfuggire ad incrociarne la strada.
Grazie delle sue parole. Le spiego in sintesi perché non sono d’accordo con la sua opinione (vado per punti per semplicità):
1. L’aggressione è solo nell’azione, non nelle idee, né nelle parole. Questo è un fatto scientifico che è riconosciuto non solo da tutta la letteratura scientifica libertaria, ma anche da Hoppe: per questo egli, nel passare dalla teoria alla pratica, sostiene che in alcuni casi il principio di non aggressione non è valido. In altre parole, usare la coercizione contro qualcuno per le sue parole o le sue idee è una forma di aggressione; come tale, essa è incompatibile con la sovranità del principio di non aggressione (la libertà intesa in senso scientifico).
2. Anche ammesso che rispettare coerentemente il principio di non aggressione nei confronti di tutti, e quindi anche nei confronti dei nemici della libertà, aumenti i rischi di avere un regime collettivista, questa non sarebbe una ragione per non rispettarlo. Il principio di non aggressione, infatti, in quanto principio scientifico, è valido indipendentemente dai risultati che il suo rispetto produce (torturare un innocente sarebbe illegittimo – cioè è una violazione del principio di non aggressione – anche se questo consentisse di salvare 1.000.000 di vite umane). La visione opposta, in cui la regola morale dipende dai risultati del suo rispetto, è quella utilitarista: questa è una visione che nessuno fra gli scienziati della libertà (anche fra quelli meno coerenti) riconosce essere compatibile con la scienza della libertà.
3. Sul piano pratico, non scientifico, chi è a favore dell’aggressione nei confronti di coloro che esprimono idee aggressive (ma non aggrediscono) manifesta molta poca fiducia nelle sue idee. Se un produttore di automobili avesse bisogno di aggredire i suoi concorrenti mettendoli fuori mercato per garantire la sua sopravvivenza egli darebbe l’impressione di credere che i suoi prodotti valgono di meno di quelli dei suoi concorrenti: e cioè che, in condizioni di concorrenza, i suoi prodotti perderebbero. La stessa situazione si ha nel campo delle idee. In altre parole, il libero mercato funziona sempre, non solo in alcuni settori. Funziona anche nel campo delle idee. In una situazione di libera competizione (che oggi non c’è) le idee austriache e libertarie vincerebbero, io credo, perché, a differenza delle altri, sono scientifiche e quindi sono il prodotto migliore. Per questo oggi c’è bisogno di bannarle con la forza dall’università, dai media ecc. Non commettiamo gli stessi errori dei socialisti!
Grazie ancora della sua preziosa segnalazione.
Un caro saluto,
Giovanni Birindelli