GIOVANNI BIRINDELLI, 17.4.2020
La resistenza psicologica all’isolamento e quella alla coercizione sono capacità individuali che dipendono da caratteristiche che sono diverse per ogni persona (oltre che dalle condizioni, anche materiali, in cui essa si trova).
Premesso questo, e quindi assumendo un’impossibile parità di altre condizioni, credo (ma potrei sbagliarmi) che chi ha un’idea scientifica (logica e coerente) di libertà (per semplicità, da ora in avanti, chiamerò questa persona “libertario”) possa essere più resistente di altri da un lato al social distancing e, dall’altro, al lockdown. O quantomeno che il suo libertarismo paradossalmente possa essergli d’aiuto.
Il libertario può essere più resistente al social distancing perché, su un piano intellettuale più che sociale, è sempre stato isolato dagli altri. L’idea scientifica (logica) di libertà, infatti, non è una semplice idea ma un intero paradigma. In quanto tale, coinvolge l’intera struttura di pensiero: la prospettiva da cui si vedono tutte le cose e tutte le relazioni. La cosa più semplice che le maestre dell’asilo insegnano a tua figlia, piuttosto che il più apparentemente innocuo commento a tavola di un amico a cui vuoi bene, spesso nella testa del libertario fanno squillare potenti allarmi che lui ha dovuto imparare a gestire. Questo isolamento intellettuale del libertario è portato all’estremo dal fatto che lui sa che, fino a prova logica contraria (che non arriva mai perché lo stesso confronto sul piano logico è negato da chi si confronta sulla libertà su un piano politico) la struttura del suo pensiero è oggettivamente valida (p. es., è una verità oggettiva e indipendentemente verificabile che l’imposizione fiscale è un’aggressione, che la sua legalità viola il principio di uguaglianza davanti alla legge e che tale imposizione viola la libertà: senza entrare in contraddizioni logiche, questa infatti può essere intesa solo come sovranità del principio di non aggressione – l’unica regola di giusto comportamento che sia logicamente compatibile col principio di uguaglianza davanti alla legge). Su alcuni elementi accessori del suo pensiero (che lo differenziano da altri libertari) egli può avere dubbi. Ma sulla struttura del suo pensiero, fino a prova logica contraria, no. Ed è questa consapevolezza di essere uno dei pochissimi sani di mente in un manicomio che porta all’estremo l’isolamento intellettuale del libertario. E’ vero che il piano intellettuale e quello sociale sono due piani diversi. Tuttavia, questi due piani non sono compartimenti stagni. Spesso, per il libertario, l’esistenza stessa di un rapporto di amicizia dipende dalla sua capacità di gestire (p. es. mettere temporaneamente a tacere) quegli allarmi logici di cui sopra. Il libertario può quindi essere più resistente al social distancing perché in gran parte vi è già abituato: è una difficoltà che ha già trasformato in opportunità.
Il libertario inoltre può essere più resistente degli altri al lockdown (leggi: violazione delle più elementari libertà in nome di un logicamente inesistente e arbitrariamente definito “bene comune”) per due ragioni.
La prima, è che il lockdown c’è sempre stato (ed è stato continuamente crescente), ma poteva essere visto solo attraverso le lenti della logica applicata alle regole sociali: lenti che il libertario ha e che gli altri per definizione non hanno (altrimenti sarebbero libertari anche loro). Essendoci il lockdown sempre stato, il libertario era già abituato a esso. Aveva già imparato a conviverci psicologicamente: per esempio, con quella forma particolare di estorsione chiamata “imposizione fiscale”; col fatto di dover richiedere un permesso burocratico per aprire una finestra; un porto d’armi per comprare una pistola; e avanti così con miliardi di quelle che Tocqueville chiamava le “piccole regole complicate, minuziose e uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la massa [all’epoca di Tocqueville non c’erano ancora bitcoin e l’esempio di Nakamoto n.d.r.]; [attraverso queste regole, il potere arbitrario e supremo che le impone] non spezza le volontà, ma le infiacchisce, le piega e le dirige; raramente costringe ad agire, ma si sforza continuamente a impedire che si agisca; non distrugge, ma impedisce di creare; non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi e industriosi, della quale il governo è il pastore”. Prima del coronavirus, questo lockdown delle “piccole regole complicate e minuziose” cresceva appunto in modo lento e progressivo: anno dopo anno, mese dopo mese, settimana dopo settimana, secondo il noto principio della rana bollita. Il lockdown del coronavirus è una violazione di questo principio: un salto repentino di temperatura della pentola, non graduale e per piccoli passi. E qui veniamo alla seconda ragione per la quale il libertario è psicologicamente più attrezzato degli altri a gestire questo lockdown.
Anche se in molti casi non poteva immaginare che questo aumento repentino della temperatura sarebbe arrivato col pretesto di un virus (e anzi spesso immaginava pretesti più direttamente ed esplicitamente economici), il libertario sapeva che prima o poi sarebbe arrivato. Sapeva che il suo arrivo era inevitabile: una conseguenza logica della struttura economica e giuridica coercitiva nella quale viveva. Per cui si era preparato, sia psicologicamente che materialmente.
Quello a cui non era preparato (ma è un’inezia) era il fatto che altre persone che lui credeva essere anche loro libertarie nel senso definito sopra, di fronte al coronavirus parlassero di “esagerazione” della reazione statale e/o fossero d’accordo col lockdown. Ma questa è appunto un’inezia, che ha forse più lati positivi che negativi.
Caro Giovanni credo che questo tuo post renda chiara ed esplicita quella sensazione di “superiorità” che mi sentivo di avere nelle discussioni, soprattutto con amici, che non riuscivano a capire la mia posizione antistato. Tu me l’hai resa evidente. Più che superiorità era la certezza di affidarmi ad una legge scientifica come tu l’hai definita. Una legge scientifica che è alla base della libertà mi farà stare sempre dalla parte della verità ed anche fosse un principio morale radicato nella natura umana, come afferma Rothbard, sarebbe “un principio di giustizia, dell’abolizione della violenza aggressiva negli affari degli uomini”. Ecco perché ci sentiamo come tu hai ben descritto. Essendo un agnostico potrei dire di aver trovato la mia religione “laica”, la mia fede. Sollevato finalmente dal dover scegliere in politica, dibattere, e divulgare, al momento è più importante del tentativo pragmatico di partecipare all’impegno politico nella direzione di una società senza stato. Raccolgo l’invito di Nassim Taleb ad agire inizialmente, come primo obiettivo, a supportare un partito che si batta per decentrare lo stato centralista unitario. Grazie Giovanni.
Cari tutti, credo che Giovanni abbia ragione: noi siamo più abituati.
E possiamo forse addirittura intravvedere in questa situazione qualcosa di positivo, precisamente nel disvelamento della natura arbitraria e aggressiva dei governi anche agli occhi di alcuni che, fino a ieri, accettavano bovinamente (o addirittura entusiasticamente) ogni sopruso “legale”. Ho personalmente constatato come, nel comune in cui risiedo (Reggio Emilia, per me un inferno), alcune persone fino a ieri sostenitrici delle scelte delle amministrazioni locali e dei comportamenti “zelanti” delle loro burocrazie, stiano dando qualche segnale (pur confuso) di avversione rispetto alle intromissioni politiche nelle scelte individuali, schierandosi per la prima volta in vita loro in favore delle libertà individuali…
Grazie
Alfonso
Dovrei considerare ottimistica l’analisi ma in realtà sto arrivando all’esaurimento. Sarò anche abituato all’isolamento ma temo la depressione. Non so se ce la farò, è troppo anche per un abituato. O forse è troppo solo per me, non lo so, mi sembra di impazzire. Credo abbiano vinto loro. Definitivamente e irreversibilmente.
Caro Alessandro, loro possono prendersi tutto, anche la nostra libertà, ma non la nostra forza interiore. Non il nostro spirito. Non le nostre idee. Non il rispetto che abbiamo per noi stessi. L’amore che abbiamo per noi stessi e per le persone a cui abbiamo scelto di darlo. Non la nostra capacità di trovare l’opportunità nella difficoltà. Per questo, la loro vittoria, anche se ci fosse, sarebbe solo parziale, necessariamente incompleta. Perché ci sono cose su cui non possono vincere. Cose che non possono prendersi. Sono le cose centrali che dipendono solo da noi e su cui solo noi possiamo vincere. Ross Ulbricht è un libertario puro: il priogione di massima sicurezza (e attualmente in isolamento a causa del coronavirus) per due vite più quarant’anni, per avere fatto un sito web favorevole al libero mercato e rispettoso del principio di non aggressione. Perfino nella sua situazione, riesce a trovare la bellezza e l’opportunità. Forza Alessandro. Non si scoraggi. La situazione passerà. Anche se non passasse, avrebbe la forza di trovarvi l’opportunità. Ma passerà. Forza! Se doversse avere un altro momento di scoraggiamento mi chiami: mi scriva sull’indirizzo privato del sito e le darò il numero. Non molli.
Si. Solo, non ho capito la frase finale degil apparenti libertari che “di fronte al coronavirus parlassero di “esagerazione” della reazione statale”. Non ho capito cosa voleva dire qui, perchè questi sarebbero finti libertari ? Può spiegare meglio ? Grazie. Andrea
Salve Andrea,
la distinzione fondamentale fra libertarismo e liberalismo classico sta nel fatto che il libertarismo identifica la libertà con la sovranità di una regola (il principio di non aggressione) che da alcuni libertari viene ritenuta “naturale” in quanto innata nell’uomo mentre da altri (in particolare il sottoscritto) viene ritenuta logicamente deducibile (all’atto pratico non cambia nulla). Questa regola, in quanto scientifica, non ammette eccezioni. Se appropriarsi coercitivamente di risorse altrui è un crimine quando è fatto da privati ed è chiamato “estorsione”, allora è un crimine anche quando lo fa lo stato ed è chiamato “imposizione fiscale”.
Il liberalismo classico, al contrario, essendo a favore di uno “stato minimo” (che di per sé è un concetto puramente arbitrario) prevede che lo stato possa compiere legalmente azioni che se compiesse un privato sarebbero considerate dei crimini. In altre parole, al contrario del libertario, il liberale classico ritiene che lo stato debba esistere: che la sua esistenza sia legittima. E questo, nel caso del liberale classico, è reso possibile o da eccezioni alla legge naturale oppure da una diversa idea di ‘legge’, non scientifica ma arbitraria.
Dato che lo “stato minimo” è un concetto arbitrario e soprattutto dato il fatto che l’esistenza stessa di privilegi statali (anche se a un dato momento “minimi”) comporta di per sé la loro progressiva espansione, la posizione dei liberali classici è di fatto meno lontana da quella dei socialisti che da quella dei libertari. Infatti, mentre nel primo caso è essenzialmente una differenza di grado (che peraltro si riduce progressivamente nel tempo), nel secondo caso è una differenza di tipo.
Da un punto di vista libertario, quindi, dire che lo stato “esagera” nella sua azione coercitiva è un controsenso logico, dato che lo stato è un’organizzazione criminale. Di un crimine, sul piano scientifico, non si può dire che sia più o meno “esagerato” ma solo se c’è stato o meno.
Affermando che oggi in Italia lo stato “esagera” (ma che, indipendentemente da qualsivoglia considerazione in merito ai legittimi diritti di proprietà, il lockdown in sé è giustificato) questi libertari hanno rinnegato, io credo, le basi scientifiche del libertarismo.
Un saluto,
Giovanni