Una corte di Cassazione senza etica accusa Tiziano Ferro di esserlo

GIOVANNI BIRINDELLI, 9.10.2020 (aggiornato 10.10.2020)

«Evasione fiscale, la Cassazione contro Tiziano Ferro: “Chi è famoso deve avere più etica”» titola ilsole24ore.com. «La Suprema corte ricorda che, per i personaggi pubblici, è più stringente il dovere di comportarsi eticamente. … Per i giudici di legittimità Tiziano Ferro ha un elevato livello economico e culturale, è certamente un personaggio famoso nel mondo della musica e dunque in possesso «degli strumenti necessari per valutare la giustezza di un determinato comportamento». E la Cassazione non manca di ammonire i personaggi pubblici le cui azioni sono sotto gli occhi di tutti, circostanza che impone il dovere di una condotta più etica, rispetto ad altri contribuenti». 

In questo articolo, ricorrendo al metodo della logica (che è un metodo terzo, oggettivo e indipendentemente verificabile – “falsificabile” nelle parole di Karl Popper) dimostrerò che, nel suo accusare Tiziano Ferro di essere senza etica, la Cassazione dimostra di esserlo (senza etica). 

Naturalmente il metodo della logica può esso stesso essere contestato. Tuttavia, per definizione non può esserlo in modo logicamente coerente. Infatti, chi, anche da una prospettiva in linea di principio non ostile alla libertà, lo ha contestato, come per esempio Friedrich von Hayek, si è contraddetto e a causa di questa contraddizione ha sviluppato un edificio teorico che, come ben dimostrato da Murray Rothbard per esempio, fa acqua in molti punti.

Senza coerenza logica nessun argomento può essere tale. Anche solo per essere intelligibile, infatti, qualsiasi argomento ha bisogno di coerenza logica. E non esiste una linea di demarcazione non arbitraria fra la quantità di coerenza logica che è accettabile e quella che non è accettabile. La coerenza logica o si adotta oppure no. Dove si adotta si hanno gli argomenti. Dove non si adotta si hanno gli errori. Dove si rifiuta di considerarla necessaria si hanno le superstizioni. Essendo priva di logica, la sentenza della Cassazione è priva di qualsiasi argomento. Al contrario, essa è pregna della caratteristica fondamentale dello stato moderno: l’assoluta e illimitata arbitrarietà del potere, che può essere vista come l’antitesi di qualsiasi argomento (“è così perché lo dico io”). Questa arbitrarietà impone un paradigma teorico che, essendo logicamente contraddittorio e quindi insostenibile (una sorta di enorme presa in giro o superstizione), ha bisogno, per continuare a essere considerato valido (specialmente dalle masse, qui intese come quelle persone intellettualmente incapaci di formare un pensiero proprio) di non essere messo in discussione: che la sua validità sia data per scontata. In questo articolo, metterò in discussione questo paradigma teorico. E lo farò servendomi di una sorta di “catena di blocchi” formata da due soli anelli, il cui elemento di giunzione è appunto la coerenza logica, e solo quella. 

1. Uguaglianza davanti alla legge

Il primo anello della catena è il principio di uguaglianza davanti alla legge. Questo principio logico stabilisce che le stesse regole di giusto comportamento devono valere per chiunque allo stesso modo, senza eccezioni.

Con “regole di giusto comportamento” intendo quelle regole la cui violazione giustifica, dal punto di vista di chi esercita il potere sanzionatorio[1], il ricorso alla coercizione fisica. Uso l’etichetta “regole di giusto comportamento” (che prendo a prestito da Hayek) perché non ne ho ancora trovata una migliore. Tuttavia, questa etichetta non è molto buona perché può creare una pericolosa confusione. Le regole di giusto comportamento infatti non hanno nulla a che vedere con le regole giuste (che ancora non abbiamo discusso, in quanto sono l’anello successivo della catena). Durante il nazismo, non nascondere gli ebrei dalla persecuzione statale era una regola di giusto comportamento (la violazione di questa regola infatti giustificava, dal punto di vista dello stato nazista, il ricorso alla coercizione fisica); così come lo è oggi la regola che vieta di evadere le tasse, oppure per quella che vieta di stuprare una persona. 

Una volta che avremo chiarito logicamente il concetto di regola giusta, saremo in grado di distinguere in modo tecnico (logicamente coerente, quindi oggettivamente valido) quali regole di giusto comportamento sono regole giuste e quali sono regole ingiuste. 

Nella grande maggioranza dei casi, non abbiamo bisogno di questa analisi tecnica per distinguere una regola giusta da una ingiusta. Oggi, per esempio, in occidente quasi nessuno ha bisogno di una rigorosa analisi tecnica per capire che, indipendentemente dalla loro legalità, le regole che erano funzionali alle persecuzioni razziali erano ingiuste e che quelle che vietano di stuprare una persona sono giuste. Tuttavia, c’è un’ampissima “zona grigia” (che è il terreno su cui attecchisce e si espande il cancro dello statalismo), in cui questa distinzione fra regole giuste e ingiuste, pur essendo altrettanto netta e oggettiva, non è immediata né facile (e di solito essa è resa ancora più difficile dalla continua propaganda giornalistico-statalista). La regola che vieta di evadere le tasse, a cui fa riferimento la “Suprema Corte” quando parla di “giustizia” e “etica”, sta proprio in questa zona grigia. Detta corte, i cui membri sono pagati con quelle tasse (o meglio imposte), dà per scontato che quella regola di giusto comportamento sia una regola giusta, e la maggior parte delle persone senza dubbio concorda. Tuttavia, la stessa rigorosa analisi tecnica che non ci è necessaria per capire che le persecuzioni razziali o lo stupro sono ingiusti, ci è invece necessaria per capire che l’imposizione fiscale (e quindi la condanna dell’evasione fiscale) è ingiusta.

E il primo anello della catena logica che ci consentirà di dimostrarlo è appunto il principio di uguaglianza davanti alla legge.

Naturalmente, la corte di Cassazione è una delle istituzioni statali a difesa di “qualcosa” a cui, nella stessa costituzione, si fa riferimento come “principio di uguaglianza davanti alla legge”.  Questo “qualcosa”, tuttavia, non è il principio di uguaglianza davanti alla legge inteso in senso logico, come definito sopra (in base al quale le stesse regole di giusto comportamento devono valere per chiunque allo stesso modo, senza eccezioni). Al contrario, è il (non-) “principio” in base al quale le stesse regole di giusto comportamento devono valere per chiunque, con eccezioni arbitrarie (in particolare relative allo stato) e in modi diversi (stabiliti dallo stato stesso o dalle sue corti).

La parte più importante è quella relativa alle “eccezioni arbitrarie” in quanto è su queste che poggia l’intera struttura arbitrariamente coercitiva dello stato moderno: se Tiziano Ferro facesse quello che fa lo stato quando riscuote le imposte, sarebbe processato (dallo stato stesso) per estorsione. Quindi le regole che valgono per chiunque non valgono per lo stato. In altre parole, l’articolo 3 della costituzione non fa riferimento al principio di uguaglianza davanti alla legge (logicamente inteso), ma a quella particolare distorsione (anzi capovolgimento) dello stesso nota come “disuguaglianza legale”[2].

La parte “in modi diversi (stabiliti dallo stato stesso o dalle sue corti)” è più facile da capire (specie per i sostenitori dello stato moderno) ma meno importante: per esempio, il fatto che alcune regole debbano valere in modo più “stringente” per un personaggio “famoso” rispetto a una persona “normale” è non soltanto una violazione del principio di uguaglianza davanti alla legge (logicamente definito) ma anche una violazione della disuguaglianza legale per come è formulata e sancita nell’articolo 3 della costituzione italiana. Nulla impedirebbe a una maggioranza sufficientemente ampia di scrivere nella costituzione che le persone “famose” hanno un “dovere più stringente” delle altre di ubbidire agli ordini dell’autorità statale (come ha efficacemente ricordato De Jasay, la costituzione è la cintura di castità di cui chi la indossa detiene le chiavi), ma fatto sta che questa discriminazione fra persone “famose” e non nella costituzione non c’è (mentre, in relazione alla progressività fiscale, ce ne è un’altra fra persone “ricche” e non) .

Il primo anello della catena necessaria a dimostrare l’errore della corte di Cassazione è quindi il principio di uguaglianza davanti alla legge, logicamente inteso. La validità di questo principio è oggettiva, in quanto esso è una relazione logica non diversa da 1 + 1 = 2. L’eventuale lettore che non riconoscesse la validità di questo principio può smettere di leggere a questo punto in quanto non dispone delle capacità logiche minime necessarie per capire il resto del discorso. 

Infatti, nel negare la validità del principio di uguaglianza davanti alla legge inteso in senso logico, questa persona (che spesso è una fervente antifascista e in rari casi un’anticomunista) dimostrerebbe di condividere la stessa idea astratta di uguaglianza davanti alla legge che è stata usata nelle persecuzioni razziali (naziste come comuniste). Questo non significa, naturalmente, che questa persona condivida queste persecuzioni ma solo l’idea astratta e logicamente contraddittoria di “uguaglianza davanti alla legge” che le ha rese legali e a cui essa può appellarsi per altri scopi (per esempio una più “equa” redistribuzione delle risorse economiche). Nelle parole di Hayek, che purtroppo, nonostante la sua immensa cultura e la sua generosa difesa di un’idea di libertà, si è fatto portare in parte fuori strada (forse da qualche residuo di socialismo giovanile che è rimasto seppellito nel fondo della sua anima), «Pochi sono pronti a riconoscere che l’avvento del Fascismo e del Nazismo non fu una reazione contro le tendenze socialiste del periodo precedente, ma una conseguenza necessaria di quelle tendenze. […] Molti di coloro che si ritengono infinitamente superiori alle aberrazioni del Nazismo e del Fascismo e sinceramente odiano tutte le loro manifestazioni, lavorano allo stesso tempo per ideali la cui realizzazione porterebbe direttamente all’aborrita tirannia». Il totalitarismo, in sostanza, si regge sulle persone perbene. E la caratteristica distintiva di queste persone perbene è quella di confondere uguaglianza davanti alla legge e disuguaglianza legale. Si può essere contrari alle ‘leggi’ razziali solo sulla base del principio di uguaglianza davanti alla legge inteso in senso logico, non sulla base del cosiddetto “principio” di uguaglianza davanti alla legge che è compatibile con la disuguaglianza legale: infatti quest’ultimo è precisamente lo stesso “principio” di uguaglianza davanti alla legge applicato nelle ‘leggi’ razziali (e oggi nell’imposizione fiscale e nella condanna dell’evasione della stessa, per esempio). 

2. Regole giuste e regole ingiuste

Il secondo anello della catena è quello che permette di distinguere le regole (di giusto comportamento) giuste da quelle ingiuste, indipendentemente dal fatto che esse siano legali o meno.

Ciò che permette di fare questa distinzione in modo netto e oggettivamente valido è proprio il primo anello della catena: il principio di uguaglianza davanti alla legge.

Se si è d’accordo col principio di uguaglianza davanti alla legge (cioè se si ritiene che questo sia un criterio di giustizia di una regola: ricordiamoci che l’alternativa è l’idea astratta di ‘uguaglianza’ davanti alla legge che è compatibile con le ‘leggi’ razziali), allora si deve per forza ritenere che una regola di giusto comportamento (da qui in avanti, per semplicità, regola) può essere giusta solo se soddisfa sempre, senza eccezioni, questo principio. I peggiori crimini del ‘900 furono infatti eccezioni a questo principio, non una sua rimozione completa. Anzi, come spiega Hannah Arendt, l’eccezione fu funzionale al compimento di quegli orrori: «le categorie ebbero fino all’ultimo una funzione assai importante, poiché aiutarono a placare certe inquietudini della popolazione tedesca: a questa si diceva infatti che si deportavano soltanto gli ebrei polacchi, soltanto coloro che si erano sottratti al servizio militare, e così via. Chi non chiudeva gli occhi capì certo fin dal primo momento che “era prassi comune fare qualche eccezione onde imporre più agevolmente la regola generale”, come dice Louis de Jong in un illuminante articolo sugli ebrei e non ebrei nell’Olanda occupata». Il male sta nell’eccezione legale (non in quella umana e individuale), e si serve di essa. Per questo la legge della libertà deve non ammettere eccezione alcuna.

Ora, quali sono le regole che soddisfano il principio di uguaglianza davanti alla legge (cioè che non ammettono eccezioni a esso)? Se l’eventuale lettore ci riflette logicamente o anche empiricamente, scoprirà che esiste una sola regola generale che è logicamente compatibile tale principio: la regola che vieta di aggredire. Naturalmente, questa regola generale ha moltissime declinazioni particolari (p. es. la regola che vieta di stuprare, quella che vieta di rubare, ecc.). Tuttavia, queste regole particolari sono tutte “sotto-regole” della regola generale (il principio di non aggressione) in quanto le azioni che sono vietate sono tutte e solo aggressioni.

Con aggressione qui intendo la violazione iniziale della proprietà privata (che include il corpo di una persona, i suoi beni, ecc.) mediante violenza fisica, coercizione fisica, minaccia delle stesse, intrusione, inganno, violazione di un libero accordo contrattuale, non risarcimento del danno a seguito di colpa e forse anche altro (“iniziale” vuol dire che non è in risposta a una violazione precedente di questo tipo).

Se una regola (p. es. quella che vieta di stuprare, o di rubare) è compatibile col principio di uguaglianza davanti alla legge, allora essa è una regola giusta (e si scoprirà essere un’applicazione particolare del principio di non aggressione). Viceversa, se una regola (p. es. quella che vieta di evadere le tasse) non è compatibile col principio di uguaglianza davanti alla legge, allora essa è una regola ingiusta (e si scoprirà essere una violazione del principio di non aggressione).

Perché il la regola che vieta di stuprare una persona, o di rubare, è compatibile col principio di uguaglianza davanti alla legge (inteso in senso logico)? Perché questa regola può essere applicata a tutti, senza eccezione.

D’altro canto, perché la regola che vieta di evadere le tasse è una regola che non è compatibile col principio di uguaglianza davanti alla legge (e quindi ingiusta)? In primo luogo, perché l’imposizione fiscale stessa è incompatibile con tale principio: come abbiamo già visto, infatti, se Tiziano Ferro facesse quello che fa lo stato quando riscuote le imposte sarebbe processato per estorsione di tipo mafioso. In altri termini, la regola che vieta di evadere le tasse non è compatibile col principio di uguaglianza davanti alla legge perché la sua stessa esistenza implica che qualcuno abbia il ‘diritto’ di compiere legalmente azioni che se compiessero altri sarebbero considerate dei crimini. In secondo luogo, perché la fiscalità tratta in modo diverso (cioè estorce denaro in misura diversa; addirittura proporzionalmente diversa a diverse persone: per esempio sottraendo con la forza più denaro ai ‘ricchi’ (come Tiziano Ferro) che agli altri. E per altri motivi che qui non è necessario discutere, dato che già il primo da solo è più che sufficiente.

Nulla di quanto discusso fin qui, fino a prova contraria, è un’opinione. E’ un fatto. Un’oggettiva verità logica, che nessuna sentenza della corte di Cassazione, né della corte Costituzionale, né alcuna legge del parlamento, né alcuna soppressione della libertà di espressione o di parola, né la storia possono minimamente cambiare. In quanto verità logica, il principio di non aggressione è indipendente dal tempo, dallo spazio e dai numeri. E’ vero sempre, ovunque. Anche prima di essere scoperto. Anche dopo essere stato dimenticato. Anche in un’altra galassia. Anche dove è negato o ignorato dalla stragrande maggioranza delle persone.

Per questo, la frase “sovranità della legge” (in inglese, rule of law: la legge non arbitraria), intesa come l’antitesi della “sovranità degli uomini” (la ‘legge’ arbitraria), ha senso solo se col termine “legge” si intende il principio di non aggressione: cioè l’unica legge fino a oggi scoperta che sia logicamente compatibile col principio di uguaglianza davanti alla legge, e in questo senso scientifica o “naturale” (quindi non arbitraria in quanto indipendente dalla volontà e dalle decisioni dell’autorità). Se per “legge” si intende quella fatta arbitrariamente (e democraticamente, qualunque cosa questo voglia significare) dal parlamento, oppure (non democraticamente) da un dittatore, allora non si può logicamente parlare di “sovranità della legge” come opposta alla “sovranità degli uomini” (e quindi di “sovranità della legge” tout court). Infatti la legge del parlamento (così come quella del dittatore), in quanto ‘legge’ positiva, è fatta dagli uomini: è lo strumento attraverso il quale alcuni di essi esercitano potere coercitivo arbitrario su altri.

La legge scientifica (il principio di non aggressione) esiste indipendentemente dalla volontà di qualsiasi maggioranza o dittatore. A questa legge “naturale” (e alla sua sovranità, che non è altro che la libertà) gli statalisti si aggrappano solo nelle situazioni più disperate; e solo per lo stretto necessario a uscire dalla melma in cui la ‘legge’ positiva li ha cacciati, per poi ritornare ad abbracciare integralmente quest’ultima appena finita l’emergenza. Durante i processi di Norimberga (ma anche quello di Eichmann a Gerusalemme), gli ufficiali nazisti non furono condannati perché avevano violato le leggi positive dello stato, ma perché le avevano rispettate. In altri termini, veniva riconosciuta l’esistenza di una legge naturale “superiore” a quella dello stato (in realtà alternativa, ma riconoscere questo non era necessario agli statalisti per uscire dal guado). L’assenza di una rigorosa analisi tecnica su quali fossero le caratteristiche e le implicazioni di questa legge naturale è stata funzionale a far sopravvivere il paradigma di riferimento agli orrori che aveva prodotto nel ‘900, ma anche a continuarne altri (p. es. il sistema banche centrali-denaro fiat di stato) e a produrne di nuovi (p. es. la sistematica e legale violazione della privacy delle persone, a partire da quella bancaria).

Conclusioni

Quando la corte di Cassazione afferma che Tiziano Ferro, in quanto personaggio ‘famoso’ (!), dispone «degli strumenti necessari per valutare la giustezza di un determinato comportamento» assume, dà per scontato, pone al di là del discutibile non solo il fatto che evadere le imposte sia un atto ingiusto e eticamente condannabile, ma anche, il che è molto peggio, la validità del paradigma teorico centrato sull’arbitrarietà del potere statale (paradigma che qui chiamerò “cratocentrico”, dal greco kratos: potere arbitrario). Peggio ancora, questo paradigma logicamente contraddittorio viene dato per scontato essere l’unico possibile. La discussione (e quindi il dubbio) sul paradigma di riferimento viene esclusa a priori: negata spesso con la violenza o con la sua minaccia[3]. Data la perentorietà con cui in questo articolo è stato difeso il paradigma opposto, quello scientifico (che qui chiamerò “nomocentrico” – dal greco nomos: legge – in quanto centrato sulla legge non arbitraria e naturale nel senso descritto sopra), si potrebbe affermare che la stessa accusa di “chiusura” potrebbe essere rivolta anche a chi scrive. Questo tuttavia sarebbe un errore. Personalmente, infatti, non conosco nessuno (incluso me stesso) la cui comprensione del paradigma scientifico (o “nomocentrico”) non sia il risultato di apertura, dubbio, studio e discussione sul paradigma (e non solo su alcune sue particolari implicazioni), che è esattamente quello che deve essere assente nel sistema giuridico e comunicativo statale perché questo sia accettato e accettabile. L’assenza, da parte della corte di Cassazione come di qualsiasi altra corte o istituzione statale (e anche da parte del giornalismo di regime, delle università di stato ecc.), di apertura, dubbio, studio e discussione sul paradigma, ma peggio ancora la soppressione con la violenza statale o la sua minaccia di molte espressioni di pensiero che richiamano le conclusioni del paradigma scientifico opposto, è forse il segno esteriore più chiaro ed evidente dell’invalidità teorica del paradigma dato per scontato dalla corte. La verità scientifica infatti non ha bisogno delle pistole per affermarsi, solo la menzogna ne ha bisogno. E più grande è la menzogna, maggiore è il numero e la potenza delle pistole di cui essa ha bisogno per continuare a essere creduta. In questo senso, nel giudizio in cui accusa Tiziano Ferro di aver avuto un comportamento contrario all’etica e alla giustizia, la corte di Cassazione ha dimostrato non tanto di avere un’etica sbagliata quanto di essere senza etica. L’etica infatti è in primo luogo una questione di paradigma e non è possibile avere un’etica senza confronto (prima ancora che senza coerenza logica) sul paradigma.


NOTE

[1] In una società totalitaria lo stato. In una società libera soggetti privati.

[2] La disuguaglianza legale è quella in cui, fissato un criterio arbitrario (p. es. la statualità, oppure l’origine etnica, oppure la ricchezza, ecc.), vengono formate diverse categorie di soggetti (stato e non; ariani e ebrei; bianchi e neri; ricchi e poveri; ecc.); e mentre le stesse regole vengono applicate ai soggetti che fanno parte della stessa categoria, a soggetti che fanno parte di categorie diverse fra loro vengono applicate regole diverse.

[3] Raramente una discussione che sia esplicitamente centrata sul paradigma dà luogo a persecuzioni da parte dello stato (per esempio sotto forma di “apologia di reato” – dove il “reato” in questione sarebbe per esempio la difesa morale dell’evasione fiscale). Questo probabilmente per diverse ragioni. La prima è che, all’interno della debolissima tutela della libertà di espressione data dalla costituzione italiana, la soppressione del pensiero teorico argomentato è più difficile di quella della semplice invettiva. La seconda è che l’espressione dell’argomentazione teorica non va mai in televisione o sui giornali (e raramente compare nelle università), quindi non ha alcun potere mediatico (che come abbiamo visto nella sentenza in oggetto della corte di Cassazione è un criterio determinante per l’applicazione delle regole coercitive statali. La terza ragione è che sopprimendo l’esposizione logicamente coerente (che nessuno legge, fra l’altro) lo stato rischia di perdere molto più di quello che guadagna, infatti verrebbe aperta una discussione sul paradigma, che è proprio quello che lo stato vuole evitare, come abbiamo visto. Tuttavia, anche se l’espressione dell’argomentazione teorica è raramente soppressa dallo stato, l’espressione delle sue conclusioni lo è spesso, e pesantemente. Basti pensare che recentemente un imprenditore è stato condannato a pagare un milione di euro per aver affermato che l’evasione fiscale non è un reato grave (link). Per capire cosa intendo per libertà di espressione, rimando a questo articolo.

2 thoughts on “Una corte di Cassazione senza etica accusa Tiziano Ferro di esserlo

  1. Alessandro Colla October 9, 2020 / 8:32 pm

    Ha vinto Hegel anche sul piano giurisprudenziale: siamo allo stato etico nella sua versione più estesa. Ho un unico dubbio: siamo sicuri che la verità scientifica non abbia bisogno delle pistole per “affermarsi”? Che valenza dobbiamo dare al ruolo di “affermazione”? Sicuramente la menzogna ha la necessità delle armi da fuoco per imporsi. Ma se il diritto alla difesa è legittimo, l’affermazione della verità (affermazione intesa come possibilità di praticare la verità stessa) potrebbe necessitare di armi da fuoco. La proprietà è legittima in sé ma per “affermarsi” contro il suo violatore deve a volte difendersi con la forza. Forse con il termine affermazione si vuole solo sottolineare la sua dimostrabilità. O forse ho interpretato male io.

    • Catallaxy October 9, 2020 / 11:58 pm

      Salve Alessandro, non c’è dubbio che la difesa della proprietà con la forza, legale o meno che sia, è legittima. Tuttavia, quando ho affermato che la verità non ha bisogno della forza per affermarsi intendevo dire che il libero mercato delle idee e delle informazioni fa emergere quelle migliori; e che il protezionismo delle idee (come quello commerciale) ha il compito di tenere in vita quelle che, se fossero lasciate al libero mercato, in quanto false e incapaci di reggere il confronto con quelle vere, soccomberebbero sicuramente.

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