GIOVANNI BIRINDELLI, 20.8.21
Si allunga la lista delle persone molto ricche che sbandierano il fatto che non lasceranno un’eredità ai loro figli, o che lasceranno un’eredità minuscola in rapporto al loro patrimonio. Dopo alcuni giga-ricchi come Warren Buffett e Bill Gates, adesso è la volta di alcuni mega-ricchi come Sting e, ultimo in ordine di tempo, l’attore Daniel Craig.
In un recente articolo si legge che Sting ha affermato che “non un penny dei suoi 180 milioni di sterline andrà ai suoi sei figli: «Devono lavorare, come ho fatto io»”; e che Craig ha affermato che «chi muore ricco ha fallito nella propria vita. Io non voglio lasciare grosse somme di denaro in eredità ai miei figli. Credo che le eredità siano di cattivo gusto».
Chiariamo subito una cosa: quali che siano i motivi, la loro scelta è sempre e comunque perfettamente legittima. In altre parole, non viola in alcun modo il principio di non aggressione (l’unica regola coercitiva di comportamento che è logicamente compatibile col principio di uguaglianza davanti alla legge): lo stesso principio di non aggressione che è violato da quelle “leggi” positive (legali e illegittime) che in alcuni paesi obbligano i genitori a lasciare in eredità una percentuale del loro patrimonio ai loro figli (la cosiddetta “legittima”) oppure da quelle “leggi” positive che impongono le tasse di successione.
Ciascuno con quello che gli appartiene ha il diritto naturale di fare quello che vuole per le ragioni che vuole finché non aggredisce gli altri, senza interferenze da parte di alcuno (stato in primis, naturalmente).
Ora, molti dei motivi che stanno dietro a queste scelte, per quanto possano essere diversi in alcune sfumature, hanno un elemento in comune: l’idea che una grande eredità (oppure un’eredità tout court) possa fare più male che bene a chi la riceve (resource curse), per esempio impigrendo la persona che la riceve e impedendole così di sviluppare appieno il suo potenziale.
Questo motivo di base mi sembra fare acqua da tutte le parti.
1. Capitale e eredità
In primo luogo, è utile ricordare che il capitale non è solo quello strettamente finanziario (misurabile in unità di denaro) ma è un concetto molto più ampio che include il capitale strettamente finanziario ma anche altre forme di capitale, spesso non misurabili in unità di denaro. L’educazione, i valori di base, la conoscenza, i ricordi dei momenti passati insieme, lo stesso patrimonio genetico sono forme di capitale a volte non meno importanti, per il raggiungimento dei propri obiettivi, del capitale finanziario, dei macchinari e degli immobili. Non è quindi possibile, anche volendolo, non lasciare un’eredità ai propri figli (positiva o negativa che sia). Far ripartire i propri figli da zero è impossibile. La scelta di non lasciare un’eredità finanziaria ai figli è essa stessa (spesso intenzionalmente) una forma di eredità. Ma è un’eredità positiva o negativa?
2. Accumulazione di capitale e civilizzazione
Quale che sia la forma di capitale che si considera, la sua accumulazione nel tempo è necessaria a crescere. La scelta di una persona che nega l’eredità ai propri figli affermando che essi “devono ripartire da zero, come sono partito da zero io” non è diversa, nella sostanza, da quella di uno scienziato che prima della sua morte distruggesse le proprie scoperte affermando che i suoi successori “devono ripartire da zero, come sono partito da zero io”: non solo tu non sei partito da zero (i macchinari che hai usato, le leggi scientifiche sulle quali ti sei basato, i mezzi che hai utilizzato per comunicare o per andare al lavoro, la stessa matita che hai usato per prendere appunti ecc. sono tutti il risultato dell’accumulazione di capitale e sarebbero stati impossibili senza), perché è impossibile partire da zero, ma il progresso, comunque tu lo voglia definire, dipende dall’accumulazione di capitale, in qualunque sua forma.
Come giudicheremmo un ambientalista che, prima di morire, affermando che le prossime generazioni “devono ripartire da zero, come sono partito da zero io”, producesse una quantità di inquinamento pari a quella che la sua passione per l’ecologia (che oggi purtroppo vuol dire socialismo) lo ha spinto a ridurre durante la sua vita? Oppure un vertice aziendale che, sulla base della stessa argomentazione, a ogni cambio di generazione decidesse di dare tutto in beneficienza e ripartire dal garage?
A differenza di un’azienda, oppure della “comunità scientifica” (che per ipotesi hanno una gerarchia di fini che può essere assunta costante nel tempo: aumentare i profitti la prima e le scoperte scientifiche la seconda), un individuo può avere (e di solito avrà) fini diversi da quelli del padre, e fini che possono cambiare nel tempo. Questo tuttavia è irrilevante ai fini di questo discorso.
Senza accumulazione di capitale non ci potrebbe essere civilizzazione: ognuno sarebbe perfettamente in grado di capire tutto perché non ci sarebbe nulla da capire.
3. Accumulazione di capitale e preferenze temporali
Le preferenze temporali sono individuali e sono quelle fra presente (consumo) e risparmio (futuro). Una persona che ha preferenze temporali alte, tenderà a valutare maggiormente il presente (e quindi a consumare di più) di una persona che ha preferenze temporali basse (la quale invece, risparmiando di più, accumulerà capitale). Una persona che, come dice di voler fare Daniel Craig («La mia filosofia è quella di godersi i soldi finché si è in vita oppure darli via poco prima di morire [e quindi sempre consumarli, quindi goderseli – n.d.r.]»), consuma tutto nell’arco della sua vita esprime preferenze temporali alte rispetto a una persona che invece vuole lasciare un’eredità ai suoi figli. Nell’avere preferenze temporali alte non c’è nulla di male (se queste non sono indotte con la forza, per esempio con l’imposizione di una forma di denaro che perde sistematicamente il suo potere d’acquisto nel tempo). Dove Craig sbaglia, ed esprime un gusto pessimo (al limite della più ciarlatana volgarità e forse oltre), è nel tacciare di “cattivo gusto” chi ha preferenze temporali più basse delle sue. Nell’affermare questo, Craig non soltanto insulta il diverso perché diverso (da lui) ma sputa nel piatto in cui ha abbondantemente mangiato e continua a mangiare: tutto ciò che è stato usato per consentirgli di produrre la ricchezza che vuole consumare in vita è il risultato dell’accumulazione di capitale da parte di altri, cioè delle loro basse preferenze temporali (del fatto che hanno lasciato le loro ricchezze, i loro macchinari, le loro invenzioni, la loro conoscenza, la loro esperienza in eredità alle generazioni successive). Se in passato tutti avessero avuto le stesse preferenze temporali di Craig, Craig non solo non avrebbe potuto arricchirsi facendo l’attore ma probabilmente non sarebbe nemmeno vissuto.
4. Eredità, auto-idolatrazione e insulto
L’idea che una grande eredità impigrisca chi la riceve è curiosa. Pensiamo per un attimo allo scienziato menzionato sopra: quello che distrugge le sue scoperte scientifiche perché le prossime generazioni devono “ripartire da zero, come sono partito da zero io”. Abbiamo già visto che non è affatto vero che lui sia partito da zero. Abbiamo accennato inoltre agli effetti che una scelta di questo tipo ha sull’accumulazione di capitale (in questo caso di conoscenza), e quindi sulla crescita. Ma c’è un altro aspetto, se vogliamo più psicologico. Dove sta scritto che una grande eredità scientifica debba impigrire chi la riceve, invece che stimolarlo a produrne altra ancora maggiore? Non è forse la storia delle scoperte scientifiche (almeno nel campo delle scienze naturali) il riscontro empirico del contrario? Dove sta scritto che una grande eredità finanziaria debba impigrire chi la riceve invece che stimolarlo a fare cose ancora più grandi (ivi inclusa la solidarietà se rientra nelle sue priorità)?
La realtà, anche psicologica di un individuo, è molto più complessa della (e molto diversa dalla) equazione maggiore eredità = maggiore pigrizia. Ci sono stati figli che hanno ricevuto eredità immense che hanno superato i padri; figli che non hanno ricevuto alcuna eredità che sono rimasti pigri; ecc.
Un genitore che dice a un figlio: “non ti lascio l’eredità per non impigrirti, quindi per farti del bene” gli sta dicendo: “ti stimo talmente poco che credo che se ti dessi la possibilità di fare grandi cose tu non faresti nulla (forse perché io al tuo posto non avrei fatto nulla)”. Quindi in un certo senso sta insultando suo figlio e, allo stesso tempo, sta confessando una sua fragilità. Sta assumendo che suo figlio sia uguale a lui.
Non sono uno psicologo ma credo dietro a questo atteggiamento illogico in alcuni casi possa esserci perfino una forma di auto-idolatrazione (e cioè di ulteriore fragilità psicologica): assicurarsi che i nostri figli non possano superarci.
Conclusione
Questa nuova moda radical chic dei super-ricchi di non voler lasciare un’eredità ai loro figli è perfettamente legittima, ma ipocrita, basata su argomentazioni sbagliate, spesso frutto di fragilità psicologiche e spesso di pessimo gusto. Queste persone che scelgono di non lasciare un’eredità ai loro figli sputano sul piatto in cui hanno mangiato e in cui continuano a mangiare: quello dell’accumulazione di capitale, senza la quale essi non avrebbero potuto produrre la ricchezza che scelgono di consumare e senza la quale la crescita (ma a monte la civilizzazione) non può aver luogo.
Ognuno con i propri soldi fa quello che vuole, è vero. Tuttavia, il quel che vuole implica il rispetto dei contratti. Non potrebbe dire non pago i debiti perché se ha debiti quei solfi non sono suoi. Quando si mette su famiglia si agisce in forma contrattuale, indipendentemente dal fatti che si firmi un atto matrimoniale o meno. Sarebbe paradossale che un erede dovesse accollarsi i debiti del genitore o dell’avo e non possa invece avere la sicurezza del ricevimento di un’eredità. Anche in una società senza stato, i partecipanti volontari a tale tipo di società avrebbero sicuramente l’accortezza di prevedere una forma giuridica di diritto ereditario come rafforzamento dell’idea di proprietà privata. Se compro un terreno non posso dirmi del tutto proprietario solo perché ho versato la caparra, se non verso il resto il fondo torna all’antico proprietario. Mettere al mondo qualcuno significa assumersi una responsabilità simile all’acquisto di un qualcosa in forma rateale. Sarebbe come dire che siccome dei miei soldi faccio quel che voglio, li spendo tutti pe me e non compro da mangiare ai figli. Se muoiono di fame l’atto di aggressione c’è. Certo, delle grandi ricchezze è facile sbarazzarsene in tarda età e lasciare gli eredi senza sostanze. I beni immobili potrebbero essere venduti come nuda proprietà, ma se gli eredi abitano ancora lì, sempre il giurista di una società senza stato penserebbe sicuramente a una forma di tutela. Così come potrebbe prevedere un qualcosa di simile al diritto di prelazione da parte degli eredi diretti. Che a loro volta potrebbero rinunciare a esercitarlo in cambio di qualcosa, ad esempio un’abitazione. Se invece il riccone ha sempre vissuto in affitto o in albergo, ci sarebbero seri problemi in qualsiasi tipo di società. Specialmente se l’ipocrita muore con eredi ancora minori e con consorte disoccupata e priva di sostanze. Avremmo la Caritas intenta a occuparsi dei figli e delle vedove dei ricchi! Il vero cattivo gusto è quello di certi personaggi malati di fama. Che spesso si rivela anche nel loro modo di recitare.
Grazie Alessandro del commento. Interessante.
Lei afferma una cosa importante e per niente banale, tanto che nemmeno Rothbard l’aveva capita: nel mettere al mondo un figlio, una persona se ne assume la responsabilità, allo stesso modo in cui, nel dare un passaggio a una persona sulla propria barca, il proprietario della barca se ne assume la responsabilità (se in mezzo al mare cambia idea, non può buttarlo fuori bordo). Ora, fin quando dura questa responsabilità? Nel caso del passeggero della barca, probabilmente fino al prossimo porto dal quale il passeggero può procedere da solo. Nel caso del figlio, fino a quando egli diventa tecnicamente capace di essere autonomo (non fino a quando diventa autonomo). La non comprensione di questo punto fondamentale aveva spinto Rothbard a ritenere non solo che l’aborto fosse legittimo ma addirittura che, per quanto orribile fosse questa scelta, un genitore aveva il diritto naturale di lasciar morire un neonato di fame. Naturalmente Rothbard in questo punto si sbagliava, per la ragione di fondo che ha detto lei.
Tuttavia, il resto del suo argomento a mio avviso potrebbe contenere un errore. Lei scrive: “Sarebbe paradossale che un erede dovesse accollarsi i debiti del genitore o dell’avo e non possa invece avere la sicurezza del ricevimento di un’eredità”. Non credo di essere d’accordo con questa premessa. Il diritto naturale stabilisce che i debiti debbano essere pagati, non che essi debbano essere pagati dai figli. Il “diritto” positivo stabilisce questo (che favorisce molto l’economia a debito), non il diritto naturale (che invece favorisce l’economia a risparmio). In assenza di obbligo legale automatico per gli eredi di pagare i debiti dei genitori, questi ultimi, in una situazione di libero mercato, avrebbero molta più difficoltà a fare debiti e, a parità di altre condizioni, i tassi d’interesse sarebbero molto maggiori per il maggiore rischio. Inoltre, il libero mercato troverebbe in molti casi il modo di risolvere la cosa (p. es. i figli potrebbero *scegliere*, firmando un contratto, di garantire per i padri).
In una situazione di diritto naturale, quindi, la cosa sarebbe molto diversa, ma anche molto più semplice: una volta che i figli hanno raggiunto la capacità tecnica di essere autonomi, i genitori non ne sono più responsabili e non hanno l’obbligo di lasciare loro alcunché (anche se un padre che non lascia un’eredità ai figli per me è una cosa orrenda per i motivi che ho cercato di spiegare nell’articolo).
Grazie ancora, un caro saluto,
GB