Caro […],
Non riesco a trovare un modo delicato di dirlo, quindi scusami se lo dirò in modo brutale.
Il Green Pass ha creato una situazione peggiore del fascismo, sotto molti aspetti.
So bene che il totalitarismo è nella struttura giuridica che sta dietro alle cose oggi più universalmente accettate, come l’imposizione fiscale, la progressività fiscale e il denaro di stato, per esempio. Sulla base di un’argomentazione razionale, ho sempre ritenuto totalitari (quindi fascisti) coloro che erano a favore di queste cose, o che le accettavano in modo indifferente. Tuttavia, al fine di avere rapporti umani, avevo imparato a compartimentalizzare la mia anima: a separare la razionalità (il mio considerarli fascisti) dalle emozioni (il mio considerarli amici, o famiglia). Il fatto di essere nato all’interno di queste forme di totalitarismo mi ha aiutato in questo.
Il Green Pass, tuttavia, è un salto di qualità nuovo di questo fascismo, molto diverso da quello in cui sono nato e che, anche se ho sempre combattuto intellettualmente, ho accettato emozionalmente.
Il Green Pass, che mette agli arresti la mia donna e madre delle mie figlie, e quindi danneggia e discrimina legalmente sia lei che loro, non solo non lo accetto razionalmente, come è ovvio, ma nemmeno emozionalmente. Il Green Pass ha fatto crollare la compartimentalizzazione: come posso essere amico di chi è a favore dell’arresto di mia moglie e del male che questi nuovi fascistelli al governo stanno facendo alla mia famiglia? Come posso sedere allo stesso tavolo, parlando del più e del meno, con chi è a favore di un male così profondamente immorale e illegittimo contro la mia donna e le mie figlie? Un male che viene fatto nel nome di un “bene pubblico” che, pur essendo sempre logicamente inesistente, in questo caso vuole perfino essere giustificato sulla base di niente di meno che la menzogna “scientifica”? Come posso mantenere i rapporti sociali con chi è a favore che la mia donna sia esclusa dalla società?
Prima del Green Pass, riuscivo (Pauline e io riuscivamo) ad avere rapporti umani con i nemici della libertà. Dopo il Green Pass, non ci riusciamo più. Non è una decisione razionale, ma un’impossibilità emozionale.
Ti auguro ogni bene e di capire un giorno l’orrore giuridico, morale e umano di cui il tuo essere a favore del Green Pass ti rende partecipe.
Giovanni
Caro Giovanni,
condivido amaramente il tuo pensiero e sono molto triste nell’ammettere che provo dolore nel rendermi conto che non mi è più possibile frequentare e stimare i compagni di tutta una vita.
Forse il mio è una sorta di affetto per il proprio carceriere, una sorta di sindrome di Stoccolma.
Ma è così: anch’io non riesco più a guardare in faccia vecchi amici rivelatisi complici – ancorché per omissione – dei criminali aguzzini che ci governano.
Se anche questo disegno perverso non avrà successo, tempo che comunque non si possa più tornare indietro.
Per fortuna ci sono persone come te che ci fanno sentire meno soli.
Un abbraccio.
Fabio
ANARCOCAPITALISTI E MINARCHISTI
Ciao, premetto che parlo solo per me, non voglio mettere in bocca ad altri parole mie.
Secondo me questa epidemia ha avuto come aspetto “positivo” il distinguere nettamente tra anarcocapitalisti e minarchisti.
Da quel che scrivi suppongo tu sia un anarcocapitalista e, scusa la franchezza, ma penso che come tutti gli anarcocapitalisti hai la testa un pò tra le nuvole :-). Il “bene pubblico” secondo me esiste. Da che mondo è mondo le società esistono ed esisteranno sempre. E’ il principio di non aggressione che non esiste. Tra società vale il principio dell’equilibrio del terrore. Capisco che l’anarcocapitalismo ha il suo fascino, distingue nettamente tra i buoni ed i cattivi (le tasse sono un furto, i miei diritti “naturali” etc), ma nella vita reale le cose non sono così semplici. In conclusione, per non farla lunga: secondo me la coabitazione tra anarcocapitalisti e minarchisti non è possibile e quindi è utile che ognuno vada per la sua strada, senza bisogno di reciproche scomuniche.
La distinzione netta fra anarcocapitalisti e miniarchisti non è un prodotto della pandemia, ma della logica (e quindi precede di molto la pandemia). Questa distinzione è un aspetto di quella più generale fra chi ha un approccio logicamente coerente alla libertà (e all’economia) e i collettivisti.
Lei scrive che “il bene pubblico secondo me esiste”. Tuttavia, non né ha nemmeno accennato una definizione; né ha sostenuto questa sua tesi con uno straccio di argomento (tanto meno uno logico). La ragione per cui il “bene pubblico” non può logicamente esistere è che il bene, in quanto bene, ha valore (altrimenti non avrebbe senso perseguirlo). Tuttavia, da Menger in poi, è stato scientificamente dimostrato che il valore è solo soggettivo. Dalla soggettività del valore segue logicamente che il “bene pubblico” (cioè un bene che è tale per la collettività invece che per l’individuo) è una superstizione religiosa oggettivamente, scientificamente senza senso.
Lei scrive che “il principio di non aggressione non esiste”. Anche di questo non ha nemmeno accennato una definizione né ha sostenuto questa sua tesi con uno straccio di argomento. Il principio di non aggressione (NAP) è l’unica regola coercitiva di comportamento che è logicamente compatibile col principio (anch’esso logico) di uguaglianza davanti alla legge. In questo senso, è un legge naturale: “naturale” in quanto non arbitraria (la logica non è un’opinione). Quindi il NAP esiste perché esiste il principio di uguaglianza davanti alla legge. Il NAP esiste non solo in teoria, come concetto astratto, ma anche in pratica. Bitcoin rispetta il NAP, il denaro di stato no. Un semplice scambio volontario rispetta il NAP, una qualsiasi “legge” positiva che lo ostacola o che lo regola no.
Lei scrive, con l’altezzosità tipica di chi non ha familiarità con la metodologia delle scienze sociali (in particolare, quella della scienza della libertà e della scienza economica), che “nella vita reale le cose non sono così semplici” [come le immaginano coloro che conoscono il NAP]. Questo è appunto l’errore tipico di chi non ha capito la funzione dei principi scientifici (che per loro natura tendono a essere semplici) e il loro rapporto con la realtà (che per sua natura tende a essere complessa). Il principio della forza di gravità (F=m*g) è molto semplice, tanto che può essere espresso da una formuletta di soli tre caratteri. Tuttavia, se si lascia cascare una piuma per terra in un campo aperto, la descrizione del moto di quella piuma è infinitamente più complessa e forse perfino impossibile, in quanto occorre tenere conto del vento, della temperatura, della forza di Coriolis, etc. Questa complessità, il fatto che “la realtà sia molto più complessa” dell’ambiente in cui la legge di gravità può essere osservata semplicemente nella sua purezza, significa forse che la formula F=m*g non è valida? Oppure che essa non si applica alla piuma? No naturalmente. Il principio scientifico non solo resta valido ma gioca un ruolo fondamentale nel moto della piuma. La complessità della situazione reale non altera vi una virgola né la validità del principio né il ruolo che esso svolge nel moto della piuma in un ambiente complesso. Nelle scienze sociali, in cui non possono essere fatti esperimenti di laboratorio ma in cui c’è l’introspezione resa possibile dal fatto che l’osservatore è anche allo stesso tempo oggetto di osservazione, la complessità della realtà è infinitamente maggiore di quella della scienze naturali. Tuttavia, la validità dei principi scientifici delle scienze sociali (che è data dalla deduzione logica a priori priori, e solo da questa), non è minimamente ridotta dalla complessità della realtà. Al contrario, la semplicità di un principio scientifico è in genere un segno esteriore della sua validità (https://catallaxyinstitute.wordpress.com/2016/03/24/il-ruolo-della-bellezza-nella-scienza-2/).
La ragione per cui i nemici della libertà (i collettivisti: siano questi nazisti, comunisti, miniarchici, socialdemocratici o altro) tendono a vedere nella semplicità dei principi scientifici segno di debolezza invece che di forza (“nella vita reale le cose non sono così semplici”) è che, non avendo familiarità con la metodologia scientifica, ragionano per “end states” (cioè per situazioni), invece che per processi. Se qualcuno parla loro del principio di non aggressione, essi lo vedono come “inesistente” perché non esiste alcuna società che è governata puramente da esso. Tuttavia, essi confondono il *principio* di non aggressione con la sua *sovranità*. La *sovranità* del principio di non aggressione non esiste e forse non potrà mai esistere (così come non esiste una situazione all’aperto in cui una piuma può cadere a terra senza che il suo moto si disturbato da altre forze oltre a quella di gravità). Questo, tuttavia, non solo non significa che il *principio* di non aggressione non esiste ma sottolinea il *ruolo* del NAP in quanto principio scientifico: questo ruolo è quello di indicare la direzione di un processo, non quello di governare una situazione. La libertà (la sovranità del NAP) non esiste nella realtà e forse non esisterà mai: esiste solo un avanzamento verso di essa o un allontanamento. Questo avanzamento è possibile solo se la direzione è conosciuta e chiara. Chi nega l’esistenza stessa della direzione, ignora la metodologia scientifica e nega la logica. Egli quindi è indistinguibile, sul piano del paradigma scientifico, dai collettivisti.
Quindi, in conclusione, concordo con lei: “la coabitazione tra anarcocapitalisti e miniarchisti non è possibile”, per le stesse ragioni per cui non è possibile la coabitazione fra rispetto del principio di uguaglianza davanti alla legge e sua violazione, quella fra logica e superstizione, quella fra non aggressione e aggressione legale. E’ quindi giusto che, come scrive lei, “ognuno vada per la sua strada”: la strada degli anarcocapitalisti è quella del metodo scientifico; quella dei collettivisti è quella della contraddizione e della superstizione.
Caro Giovanni,
quello che hai scritto è cristallino.
Mi chiedo soltanto se l’argomento valga davvero nei confronti di tutti i miniarchisti oppure soltanto nei confronti di qualcuno che, come l’autore del messaggio, mi pare più collettivista che miniarchista.
In altre parole, è possibile che anche dei miniarchisti possano vedere la direzione del processo, magari in misura diversa dagli anarco capitalisti?
F.
Caro Fabio,
occorre distinguere il piano scientifico (la direzione di marcia) da quello strategico (il percorso di marcia).
Sul piano strategico, possono esserci ovviamente diversi approcci e quello migliore (quello che produce il maggior avanzamento nella direzione della libertà logicamente definita) si può forse sapere solo ex post. Inoltre, su questo piano, diversi approcci possono convivere allo stesso tempo.
Sul piano scientifico, invece, non ci possono logicamente essere allo stesso tempo diverse verità incompatibili fra loro. E quale sia la direzione giusta può essere verificato solo a priori. O si è a favore dell’uguaglianza davanti alla legge (per cui per definizione si è contrari allo stato, e quindi non si è miniarchici) oppure si è contrari a questo principio. Non ci possono logicamente essere vie di mezzo: essere favorevoli a questo principio in alcuni casi arbitrariamente selezionati e non in altri significa essere contrari a questo principio (che è appunto un principio scientifico, non una giacca che si può mettere o togliere a seconda dei casi).
Sicuramente, lo spazio lasciato da un “miniarchico” all’uguaglianza davanti alla legge è maggiore di quello lasciato da un nazista o da un comunista (metto la parola “miniarchòco” tra virgolette perché il concetto di “stato minimo” è puramente arbitrario). Tuttavia, su un piano paradigmatico e metodologico, queste differenze (che sono di misura, non di sostanza) sono irrilevanti: da una parte si ha un approccio scientifico (non arbitrariamente selettivo) al concetto di uguaglianza davanti alla legge, dall’altra vi si ha un approccio politico (arbitrario) allo stesso concetto.
Essere miniarchici significa accettare *come punto di arrivo* che lo stato possa compiere legalmente azioni che se compiesse la persona “normale” sarebbero considerate, dallo stato stesso, dei crimini. In altri termini, significa essere contrari al principio di uguaglianza davanti alla legge in funzione di un “bene pubblico” che è logicamente inesistente (vedi sopra).
Sono esistiti miniarchici di altissima levatura scientifica (p. es. Mises). Tuttavia, mentre questa levatura si esprimeva in campi diversi da quello della scienza della libertà (nel caso di Mises, nella scienza economica) nel campo della libertà essi si sbagliavano. Dopo Rothbard, sbagliarsi a questo modo non ha più scusanti, credo.
Lei mi chiede se “è possibile che anche dei miniarchici possano vedere la direzione del processo, magari in misura diversa dagli anarco capitalisti”: sicuramente molti miniarchici riescono a ragionare in termini di processo invece che di situazione (Hayek e Nozick ne sono i classici esempi: il termine stesso “end state” viene da Nozick). Tuttavia, in ogni processo, quello che conta è la direzione: la corsa di un bambino verso un burrone è un processo ma la direzione è il problema. Se la direzione è giusta o sbagliata dipende dal fatto che sia è scientifica o meno. Se è arbitraria, non è scientifica: quindi è sbagliata. Il miniarchismo è una direzione arbitraria: quindi non scientifica come qualsiasi altra direzione collettivista. Quindi sbagliata.
Sotto certi aspetti, i miniarchici sono ancora più dannosi per la libertà dei collettivisti più estremi: mentre infatti questi ultimi tendono a creare anticorpi, i miniarchici, chiamando “libertà” quella che è in realtà una forma mite di collettivismo, tendono a rinforzare quest’ultimo e a togliere ossigeno alla libertà scientifica.
Questo fino a bitcoin. A partire dal 2009, con bitcoin, tutto è cambiato. La libertà scientifica sta trionfando (anche se per adesso solo nel campo del denaro). Adesso è chiaro che la strategia per difenderla non deve essere centralizzata (non deve dipendere dalla politica, o dalla cultura) ma deve essere decentralizzata, resistente alla censura, deve poggiare solo su una struttura di incentivi di mercato e deve non fare affidamento sulla diffusione della scienza della libertà. Questa serve a ispirare persone come Satoshi Nakamoto ma non a far avanzare la libertà. Questa può vincere solo se non dipende dal convincimento dei collettivisti (miniarchici inclusi).
Grazie mille per la lunga ed esaustiva risposta. Di questi tempi, specialmente sui social, è difficile poter instaurare una discussione seria, in cui ci sia un vero scambio di idee.
Provo a spiegare come la penso io. Mi scuso se sarò un pò confusionario e magari non risponderò punto per punto alle tue obiezioni, ma spero di riuscire a far capire come la penso in generale sulla vita e di conseguenza sui temi del principio di non aggressione etc.
Prima di tutto secondo me la vita non ha senso. Non credo in un essere superiore o cose del genere. Siamo degli animali solo un pochino più evoluti degli altri, ma alla fin fine quello che ci guida sono gli stessi istinti animaleschi. Per istinti animaleschi intendo sia quelli che di solito consideriamo positivi (l’amore per i figli, per il proprio branco etc), che quelli che di solito consideriamo negativi (l’invidia, la guerra tra branchi etc).
Per fare un esempio, un leone istintivamente protegge la propria prole e mangia le gazzelle, ma a volte l’istinto gli fà brutti scherzi e magari si affeziona ad una gazzella e la protegge dal resto del branco. Fà tutto questo senza domandarsi se stia seguendo il principio di non aggressione o meno.
Noi uomini siamo esseri sociali ed interagiamo con gli altri in due modi: economicamente e politicamente. Nello scambio economico non c’è costrizione e c’è un vantaggio reciproco. Nello scambio politico spesso c’è costrizione ed il vantaggio è spesso solo di uno dei contendenti. Questo si vede soprattutto nei rapporti tra stati: lo stato più forte vince.
Per fare un esempio: la cina non invaderà Taiwan se e solo se si convincerà che perderebbe e non se riusciamo a convincerla del principio di non aggressione. Cioè se riusciamo a convincerla che la distruzione e le perdite di vite umane in Cina sarebbe un prezzo troppo elevato da pagare e per convincerla dobbiamo essere convincenti, e cioè dobbiamo essere disposti a distruggere e ad ammazzare.
Prima che si pensi che sia un discorso tra buoni e cattivi lo stesso ragionamento vale, per esempio, per la guerra in Iraq. L’Iraq non è riuscita a convincerci che non conveniva ammazzare qualche centinaia di migliaia iracheni per ottenere il controllo del petrolio e quindi abbiamo ammazzato qualche centinaia di migliaia iracheni e ci siamo presi il petrolio.
E’ quì che di solito trovo un muro da parte del mio interlocutore. Noto sempre il rifiuto totale ad ammettere che non siamo poi così buoni come pensiamo di essere.
La colpa è sempre di qualcun altro: il governo, gli americani, le industrie petrolifere etc. La maggior parte della gente convive beatamente con questa dissonanza cognitiva e vive tutta la sua vita credendo di essere solo buoni ed altruisti, rifiutando di ammettere la parte violenta della propria natura. Poi ci sono gli anarcocapitalisti, che cercano di risolvere questa contraddizione, creandosi tutto un ragionamento per cui anche se fanno parte di uno stato e quindi sono anche loro “complici” delle guerre statali, se potessero abolirebbero lo stato e quindi in realtà non sono “complici” delle atrocità statali. Ho messo tra virgolette “complici” proprio perchè sono giudizi morali che a livello statale lasciano il tempo che trovano.
Io penso e spero di riuscire sempre a guardare in faccia la realtà e la realtà è che io non sono “buono”. Sono complice volontario delle atrocità statali.
L’unico modo per fermarmi/fermarci è se c’è un equilibrio del terrore, come c’era durante la guerra fredda e come spero ci sia al giorno d’oggi tra l’Occidente e la Cina.
Per fare un altro esempio, considero gli stati come delle mafie. Io volente o nolente faccio parte di una mafia ed è importante che la mia famiglia mafiosa sia forte. Per far sì che la mia famiglia mafiosa sia forte è importante che al suo interno ci sia la massima libertà economica, che porta alla massima produttività e di conseguenza al massimo potere politico/militare sulle altre mafie. Per capirci, gli Stati Uniti avevano una enorme libertà economica e questa gli ha permesso di ottenere un enorme sviluppo economico e di conseguenza di ottenere, tramite le guerre, un enorme potere politico.
IL BENE PUBBLICO
Forse avevo capito male, ma per bene pubblico intendevo il sentimento di appartenenza ad un collettivo e quindi l’istinto di aiutare questo collettivo. Questo è un istinto reale sia per gli uomini che per gli animali.
IL PRINCIPIO DI NON AGGRESSIONE
Il principio di non aggressione forse può avere un senso all’interno della propria “famiglia mafiosa”, ma all’esterno non la segue nessuno. Si segue il principio del più forte.
il principio di non aggressione ed il principio di uguaglianza davanti alla legge sono delle convenzioni che ci diamo per poter vivere in società, ma non stanno scritti da nessuna parte. Contano gli istinti di socialità, di aiuto verso il prossimo etc e questi sono scritti nei nostri geni.
All’interno di uno stato è importante che lo stato abbia meno potere possibile e che quindi non possa aggredire con le tasse etc un gruppo per avvantaggiarne un altro. Le tasse devono servire solo per gestire un minimo di servizi statali e per avere le risorse necessarie per aggredire gli altri stati.
LA METODOLOGIA DELLE SCIENZE SOCIALI
Per quanto riguarda i principi economici della scuola austriaca (deduzione logica a priori etc), mi trovi d’accordo. La semplicità di questi principi mi sembra che spieghi in modo coerente l’economia. Niente a che vedere con gli arzigogoli e le assurdità della scuola keynesiana, dell’econometria, della macroeconomia etc.
CONCLUSIONE
L’anarcocapitalismo secondo me è fuori dalla realtà :-), la realtà è l’istinto di aiutare il proprio gruppo e l’istinto di sopraffare gli altri gruppi.
Eccezionale come sempre! Questa lettera la faccio mia, perché rispecchia perfettamente il mio pensiero. Un grande abbraccio!
Per me, invece, non si pone il problema della fatica ad augurare ogni bene a certi soggetti. Ho già auspicato per loro il peggio del peggio. Forse sarò poco sensibile, non so. Ma vista la situazione personale che devo vivere con la mia compagna e i nostri ragazzi, situazione di emarginazione ma anche di fame perché non ci consentono di lavorare, ho già augurato a molti di finire a penzolare a Norimberga. Sperando che quel giorno sia vicino.
Caro Giovanni, è un vero piacere trovare un tuo nuovo contributo …
Sono nella tua stessa situazione. Identica.
Anzi, forse peggio: faccio ormai molta fatica ad augurare ogni bene ad ex-amici che si sono rivelati complici dell’orribile situazione in cui ci troviamo o anche semplicemente ignavi.