La scelta dei super-ricchi di non lasciare l’eredità ai figli

GIOVANNI BIRINDELLI, 20.8.21

Si allunga la lista delle persone molto ricche che sbandierano il fatto che non lasceranno un’eredità ai loro figli, o che lasceranno un’eredità minuscola in rapporto al loro patrimonio. Dopo alcuni giga-ricchi come Warren Buffett e Bill Gates, adesso è la volta di alcuni mega-ricchi come Sting e, ultimo in ordine di tempo, l’attore Daniel Craig.

In un recente articolo si legge che Sting ha affermato che “non un penny dei suoi 180 milioni di sterline andrà ai suoi sei figli: «Devono lavorare, come ho fatto io»”; e che Craig ha affermato che «chi muore ricco ha fallito nella propria vita. Io non voglio lasciare grosse somme di denaro in eredità ai miei figli. Credo che le eredità siano di cattivo gusto».

Chiariamo subito una cosa: quali che siano i motivi, la loro scelta è sempre e comunque perfettamente legittima. In altre parole, non viola in alcun modo il principio di non aggressione (l’unica regola coercitiva di comportamento che è logicamente compatibile col principio di uguaglianza davanti alla legge): lo stesso principio di non aggressione che è violato da quelle “leggi” positive (legali e illegittime) che in alcuni paesi obbligano i genitori a lasciare in eredità una percentuale del loro patrimonio ai loro figli (la cosiddetta “legittima”) oppure da quelle “leggi” positive che impongono le tasse di successione.

Ciascuno con quello che gli appartiene ha il diritto naturale di fare quello che vuole per le ragioni che vuole finché non aggredisce gli altri, senza interferenze da parte di alcuno (stato in primis, naturalmente).

Ora, molti dei motivi che stanno dietro a queste scelte, per quanto possano essere diversi in alcune sfumature, hanno un elemento in comune: l’idea che una grande eredità (oppure un’eredità tout court) possa fare più male che bene a chi la riceve (resource curse), per esempio impigrendo la persona che la riceve e impedendole così di sviluppare appieno il suo potenziale.

Questo motivo di base mi sembra fare acqua da tutte le parti.

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Unabomber, la ‘decrescita felice’ e l’ambientalismo

GIOVANNI BIRINDELLI, 2.12.2018

Il bel film Manhunt: Unabomber (Netflix, 2017) è basato sulla storia vera di Theodore Kaczynski, un matematico straordinariamente intelligente in diversi campi (e ordinariamente stupido nel campo delle scienze sociali) che, avendo sviluppato una sorta di ‘filosofia’ della ‘decrescita felice’ secondo la quale l’industrializzazione capitalista rende l’uomo schiavo e distrugge la natura, vive da eremita in un bosco. Per far ascoltare le sue idee, spedisce bombe per posta a persone-simbolo. Ottiene col ricatto la pubblicazione, da parte di un grande quotidiano nazionale, della sua ‘teoria sociale’ che vorrebbe fosse imposta a (o accolta da) tutti e che prevede il ritorno a una sorta di condizione pre-industriale. Questa pubblicazione è in realtà una trappola tesa dell’agente dell’FBI James Fitzgerlad, che nelle sue indagini ricorre a tecniche di linguistica comparativa mai usate prima grazie alle quali riuscirà a catturare Kaczynski. Fitzgerlad è l’eroe buono che tuttavia condivide la ‘filosofia’ della sua preda.

Questo è un aspetto interessante: la tesi della ‘decrescita felice’ viene esplicitamente difesa nel film. Quello che viene condannato è naturalmente il modo in cui questo messaggio è stato diffuso da Kaczynski, non il messaggio in sé, che al contrario sembra essere condiviso dagli autori. Anche se etichettato come ‘puerile’ e ‘dilettantesco’ da alcuni personaggi negativi, infatti, questo messaggio è condiviso esplicitamente dall’eroe buono e dagli altri personaggi positivi.

In effetti, questo messaggio oggi (e da qualche tempo) è molto di moda. Il pregiudizio positivo per il cibo a “Km 0”, quello negativo per il cibo OGM, il divieto di lavorare la domenica, la diffusa ostilità nei confronti dei giganti della distribuzione (e di quella online in particolare), il divieto di Uber Pop a operare, le deliranti regolamentazioni edilizie, sono solo alcuni esempi di questo messaggio che in Occidente è vivo e vegeto fra i socialisti, specie quelli di ‘sinistra’, ambientalisti e ‘di protesta’, i radical-chic e i fricchettoni.

  1. L’immagine dell’incrocio deserto in cui un’automobile è ferma davanti al semaforo rosso

Il messaggio di Kaczynski è simbolizzato da un’immagine che ricorre più volte nel film e che è usata per l’ultima potente scena. L’immagine è quella di un incrocio deserto in cui un’automobile è ferma davanti al semaforo rosso. Dal punto di vista della ‘filosofia’ che il film vuole difendere, il conducente è costretto da quel semaforo (simbolo dell’industrializzazione capitalista) ad agire come se fosse una persona senza mente.

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