I libertari che parlano come i collettivisti scherzano o fanno sul serio?

GIOVANNI BIRINDELLI, 13.2.2022

Sul sito difendersiora.it, l’Avv. Fusillo, che è il presidente del Movimento Libertario, sta facendo un lavoro generoso e davvero straordinario per aiutare le persone a difendersi legalmente dal Green Pass & Co.: a “mettere sabbia negli ingranaggi” della macchina burocratica, per usare le sue stesse parole. Al di là di un caso particolare in cui questa strategia di resistenza non mi sembra compatibile coi principi di libertà che si vogliono difendere1, l’approccio di usare le stesse armi del nemico contro di lui è efficace per rallentarne l’avanzata. Per questo, credo che l’Avv. Fusillo non potrebbe mai essere ringraziato abbastanza.

Un suo recente video, tuttavia, mi ha sorpreso. In questo video egli afferma che:

I padri costituenti sono stati molto saggi ma non hanno potuto evidentemente tener conto degli sviluppi che avrebbe avuto il nostro paese … Serve una nuova stagione costituente … Quello che noi abbiamo come costituzione, ha sicuramente molte luci, molti elementi assai positivi … Questo non è il concetto di una democrazia, non ha nulla a che vedere con la sovranità popolare. E’ il momento che il popolo riprenda in mano la sua sacrosanta sovranità”.

Queste parole non mi avrebbero sorpreso se l’Avv. Fusillo fosse stato uno statalista, magari liberale. Mi hanno sorpreso perché egli è il presidente del Movimento Libertario. 

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Il meraviglioso mondo di quelli che “il Green Pass è costituzionale”

GIOVANNI BIRINDELLI, 20.7.2021 (corretto il 24.7.2021)

In un recente articolo su Il Sole 24 Ore, Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani sostengono che l’arbitraria limitazione della libertà di movimento di coloro che hanno scelto di non vaccinarsi contro il Covid (il cosiddetto “Green Pass”) non è in contrasto con la costituzione. L’argomentazione di fondo è che “la costituzione tutela la salute come interesse della collettività”. Secondo una sentenza della corte costituzionale del 2018, la costituzione consentirebbe “l’imposizione di un trattamento sanitario se diretto ‘non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri’”. Questo, tuttavia, continuano gli autori, ad alcune condizioni. Prima fra tutte il fatto che “la scienza garantisca, entro i confini in cui può farlo, la sicurezza dei vaccini e la loro indispensabilità per superare la pandemia”. Gli autori dell’articolo sono del parere che tale violazione della libertà (il “Green Pass”) “corrisponda a un bilanciamento fra beni giuridici ben orientato dal punto di vista costituzionale … Come si opera questo bilanciamento? In base ad alcune regole note, declinate seguendo il principio di ragionevolezza. Possiamo ricordarne alcuni: i beni collettivi possono fare premio su quelli individuali; in base al principio di solidarietà, le persone più deboli debbono essere tutelate; in base a quello di responsabilità, chi si è posto in una posizione di rischio che avrebbe potuto evitare senza difficoltà, può essere, in una certa misura, meno tutelato di chi quella stessa posizione di rischio non ha potuto evitare; infine, situazioni emergenziali possono giustificare una maggiore compressione, per il tempo strettamente necessario, di alcuni diritti fondamentali”.

I problemi con la tesi esposta nell’articolo sono di due tipi: puntuali e strutturali. Questi due tipi di problemi sono uno il riflesso dell’altro ma per semplicità espositiva è meglio discuterli separatamente.

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Ricchezza vs. privilegio

GIOVANNI BIRINDELLI, 24.2.2019

Il ritratto che La Stampa fa di Marella Agnelli la definisce «L’ultima rappresentante di uno stile che non c’è più, e che non era solo frutto della ricchezza e del privilegio».

Questo accostamento fra ricchezza e privilegio esprime una confusione molto comune in relazione al secondo dei due termini: quest’ultimo viene infatti generalmente usato come sinonimo del primo quando in effetti spesso, e specialmente oggi, è il suo contrario. Continue reading

La costituzione e l’illimitatezza del potere politico

GIOVANNI BIRINDELLI, 6.8.2017

«È diventato molto chiaro che il nostro popolo vuole che la costituzione sia più esplicita riguardo all’esproprio di terra senza indennizzo […]. Attraverso il processo parlamentare, l’ANC [*] proporrà un emendamento alla costituzione che evidenzierà in maggior dettaglio le condizioni in cui [tale esproprio] può essere fatto. L’intenzione di questa proposta di emendamento alla costituzione è quello di promuovere la redistribuzione delle risorse, far avanzare lo sviluppo economico, aumentare la produzione agricola e la sicurezza alimentare» (Cyril Ramaphosa, presidente del Sud Africa – fonte).

Come di solito capita nelle rivoluzioni (intese come cambiamento del meccanismo di controllo della macchina statale), il fatto di non mettere in discussione l’idea astratta di legge che consentiva la forma precedente di tirannia produce una nuova forma della stessa, avente lo stesso DNA e manifestazioni particolari diverse.
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Buone elezioni a tutti

GIOVANNI BIRINDELLI (6.2.2108)

(Pubblicazione originale: Catallaxy Institute)

Il professor Theodor Maunz, uno dei maggiori esperti di diritto costituzionale di cui disponeva Hitler, affermò che “Il comando del Führer è il centro assoluto dell’attuale ordinamento giuridico”.

Poi, dopo che la Germania nazista perse la guerra e fu instaurata la democrazia, egli “approdò a idee diverse” e divenne ministro della pubblica istruzione in Baviera.

Maunz si sbagliava. Non nel senso che, nella Germania di Hitler, il comando di quest’ultimo non fosse il centro assoluto dell’ordinamento giuridico. Ma nel senso che le “idee” a cui egli (Maunz) “approdò” quando saltò sul carro dei vincitori (e su quale poltrona!) non erano “diverse” da quelle che aveva in precedenza, almeno per quanto riguarda la libertà.

In un sistema democratico, infatti, il “centro assoluto dell’ordinamento giuridico” (la ‘legge’) è, invece che il comando di un uomo, il comando di una maggioranza rappresentativa. In relazione all’esistenza di limiti non arbitrari al potere coercitivo di alcuni su altri, questa differenza è logicamente del tutto irrilevante.

Buone elezioni a tutti il 4 marzo.

L’ultima linea di difesa

GIOVANNI BIRINDELLI, 8.10.2017

(Pubblicazione originale: Catallaxy Institute)

L’ultima linea di difesa di tutti coloro che sono a favore della repressione spagnola in Catalogna (il governo spagnolo, quel passacarte del re, gli unionisti, l’UE) è una sola: la costituzione. Continue reading

Il “diritto alla reputazione” non esiste. Qualcuno lo spieghi a Equitalia

GIOVANNI BIRINDELLI, 28.6.2016

(Pubblicazione originale: MiglioVerde)

[…] La ragione fondamentale per cui in generale la diffamazione, sebbene sia spesso illegale, non è mai illegittima, è che il ‘diritto’ alla reputazione non esiste: la sua esistenza infatti presupporrebbe un diritto di proprietà, da parte di alcuni soggetti, sul pensiero di altre persone e quindi una violazione del diritto di proprietà.

[…] Quando un ‘servizio’ è imposto con la forza, la reputazione non ha alcun effetto sull’attività economica di chi lo produce.

[…] Parlare di reputazione […] in assenza di libertà di espressione è come parlare di valore economico in assenza di libero mercato.

[…] Sebbene nell’immaginario popolare la Costituzione venga vista come un limite all’arbitrarietà del potere politico, in un sistema giuspositivo essa ne è, al contrario, lo strumento supremo. […] Essa può essere utilizzata come copertura, nel senso che può includere una particolare declinazione del principio di non aggressione (il principio della libertà di parola, per esempio) e lasciare alla ‘legge ordinaria’ (cioè alla ‘legge’ positiva o fiat) il compito di definire le eccezioni, come ad esempio i ‘reati’ di opinione.

[…] Allo stesso modo in cui non esiste alcuna ‘terza via’ fra socialismo e libero mercato, così non esiste alcuna ‘terza via’ fra libertà di espressione e censura.

Articolo disponibile agli abbonati a MiglioVerde a questo link: http://www.miglioverde.eu/diritto-alla-reputazione-non-esiste-qualcuno-lo-spieghi-ad-equitalia/

La società aperta e il diritto

GIOVANNI BIRINDELLI, 18.12.14

(Testo, qui con alcuni errata corrige, della lezione di chiusura del corso della Scuola di Liberalismo della Fondazione Einaudi, Bologna 18.12.2014

Pubblicato da Movimento Libertario. Data la lunghezza dell’articolo allego una versione PDF per la stampa)

 

Buonasera. Vorrei ringraziare la Fondazione Einaudi e la sua Scuola di Liberalismo per questo invito, e in particolare Quinto Leprai ed Enrico Morbelli. Io sono qui per sostituire all’ultimo momento il Prof. Carlo Lottieri che non è potuto venire. Non ne sarò minimamente all’altezza quindi vi prego di ricalibrare le vostre aspettative.

Per affrontare il tema della società aperta e il diritto, che è complesso, vorrei iniziare dalla seguente notizia di pochi giorni fa: «Alcune centinaia di taxi hanno bloccato lunedì mattina, dall’alba, le strade fra gli aeroporti Charles de Gaulle e Orly a Parigi per protestare contro il servizio di taxi privati Uber. Per disinnescare la tensione, il portavoce del ministero dell’Interno … ha annunciato che dal 1 gennaio il servizio sarà vietato per legge. “Il servizio è illegale”», ha detto.

La lezione di oggi sarà in gran parte dedicata a cercare di capire il significato di questo termine (“illegale”); la differenza di significato esistente fra esso e il termine “illegittimo”; e infine a dare alcuni spunti per riflettere sulle differenze fra una società basata sulla legalità e una basata sulla legittimità. Continue reading

Assalto al risparmio, nel nome della costituzione italiana

GIOVANNI BIRINDELLI, 24.4.2014

(Pubblicazione originale: Movimento Libertario)

Allo stesso modo in cui non c’è peggior nemico della libertà di colui che la vorrebbe difendere senza mettere in discussione la piattaforma ideologica, economica e  istituzionale del collettivismo, così non c’è peggior nemico del risparmio di colui che denuncia l’ulteriore “assalto ai risparmi” da parte dello stato sulla base del fatto che questo “assalto” è incostituzionale, e cioè ricordando che l’articolo 47 della costituzione stabilisce che “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme”. Continue reading

L’ipocrisia del referendum che vuole abrogare il reato di clandestinità

GIOVANNI BIRINDELLI, 11.9.2013

(Original publication: L’Indipendenza)

In una società anche imperfettamente libera non esisterebbe un solo argomento (né giuridico, né economico) a sostegno di ostacoli burocratici all’immigrazione. In altre parole, laddove lo Stato fosse coerentemente a difesa della legge intesa come principio generale e astratto, e quindi a difesa del libero mercato e della proprietà privata (il che implica assenza di redistribuzione delle risorse, di ‘stato sociale’ ecc.), eventuali ostacoli burocratici all’immigrazione sarebbero un crimine e, economicamente, non avrebbero più senso di altre misure protezionistiche. Continue reading

Proposta pratica: l’offerta privata della legislazione

GIOVANNI BIRINDELLI, 19 June 2012

(original publication: Movimento Libertario)

La buona notizia è che, in alcuni paesi più che in altri, e in particolare in Italia, i nodi dell’illimitatezza del potere politico prodotta dal positivismo giuridico stanno finalmente venendo al pettine, nel senso che gli effetti di questa particolare idea filosofica di legge cominciano a essere evidenti anche a coloro che la sposano senza saperlo: pressione fiscale illegittima, insostenibile e crescente; crisi dell’euro (cioè dei debiti pubblici); crisi economica; sperpero di denaro pubblico; casta; dimensioni e funzioni dello stato illegittime, insostenibili e crescenti; eccetera…
La cattiva notizia è che questi effetti continuano a essere visti come cause: la soluzione (sia che si chiami Grillo, sia che si chiami violenza, per esempio) continua cioè a essere cercata all’interno dell’idea filosofica di legge che li ha prodotti, e quindi necessariamente in vano. Continuiamo a girare in tondo.In questo articolo discuto una bozza di proposta strategica per affrontare non i particolari effetti di quello che a mio parere è il problema-sorgente ma il problema-sorgente, cioè per passare gradualmente, spontaneamente e pacificamente da un sistema politico in cui è la legge a essere prodotta dall’autorità a un sistema politico in cui è invece l’autorità a essere prodotta dalla legge “non nel senso che l’autorità viene costituita in base alla legge ma nel senso che l’autorità richiede obbedienza perché (e fino a quando) difende una legge che si presume esista indipendentemente da essa” (Friedrich A. von Hayek).Se da un lato i problemi-effetto sono evidenti a tutti, dall’altro il problema-sorgente da cui essi a mio avviso derivano non lo è. Quindi nella prima sezione cercherò di illustrare il problema-sorgente in termini generali. Nella seconda sezione illustrerò brevemente alcuni aspetti della proposta di Hayek, che è un punto di riferimento della mia. Nella terza sezione illustrerò gli elementi essenziali della mia proposta strategica per risolvere il problema-sorgente. Nella quarta sezione farò delle considerazioni generali per spiegare la ratio della proposta.

1. IL PROBLEMA-SORGENTE

Un qualunque problema può essere affrontato a livello di effetto oppure a livello di causa: una macchia di umidità su una parete può essere affrontata ripitturando la parete oppure riparando il tubo dell’acqua che perde dentro il muro.Consideriamo, per esempio, il problema del finanziamento pubblico dei partiti. Abolito da un referendum nel 1993 con il 90,3 % dei voti, questo viene reintrodotto nel 1999 con un nome diverso: “rimborso per le spese elettorali”. A Grillo, che ha rinunciato a questo finanziamento e che nonostante questo ha vinto le elezioni a Parma e in altri comuni, va riconosciuto il merito aver dimostrato con i fatti quanto questo finanziamento sia inutile, oltre che illegittimo. Tuttavia, coloro che vogliono risolvere questo problema mediante un intervento ‘legislativo’ o referendario che (ri)abolisca il finanziamento pubblico dei partiti, hanno un approccio al problema che equivale a ripitturare la macchia di umidità sul muro invece che a riparare la perdita d’acqua. Essi infatti non si curano della domanda: “cosa è che rende possibile il finanziamento pubblico dei partiti?” Cioè: “cosa è che dà a chi detiene il potere politico la facoltà di imporlo per ‘legge’?”.
La risposta a questa domanda, in ultima analisi, è una sola: il positivismo giuridico; ovvero l’idea astratta di legge che sta alla base del nostro ordinamento giuridico e che, ahinoi, è imposta dalla nostra costituzione.In estrema sintesi, il positivismo giuridico identifica la ‘legge’ con il provvedimento particolare e burocraticamente corretto approvato da chi detiene il potere politico. La ‘legge’ intesa come provvedimento è quindi uno strumento di potere e dove c’è questa idea di ‘legge’ il potere politico è illimitato, nel senso che non ha limiti di principio: una maggioranza sufficientemente forte può fare quello che vuole. Quindi laddove la ‘legge’ è intesa come provvedimento particolare, i cittadini sono costantemente esposti alla volontà arbitraria di chi, di volta in volta, detiene il potere politico. Questo significa che se mediante un referendum il finanziamento pubblico dei partiti viene fatto volare dalla porta esso può essere fatto rientrare dalla finestra per ‘legge’, e ricacciarlo dalla porta non risolve il problema.
Esiste un’altra idea di legge (quella originaria) che non fa uscire il finanziamento pubblico dei partiti dalla porta, ma elimina proprio la possibilità che possa essere mai approvato. Questa è l’idea che la legge sia non il provvedimento particolare (lo strumento di potere) ma il principio generale (il limite al potere). I principi generali sono molto pochi ma richiedono coerenza astratta: cioè un principio generale non può essere incompatibile con un altro su un piano astratto (il che non vuol dire che non possa entrare in competizione con un altro: se qui c’è bisogno posso intervenire in sede di commento).
Chi ha deciso quale è questo principio generale e cioè la legge? Nessuno. In quanto principio generale, la legge è nata da sé: essa è il risultato di un millenario e spontaneo processo di selezione culturale di usi e convenzioni di successo. Molte persone hanno difficoltà a concepire un ordine che, pur essendo il risultato dell’attività dell’uomo, non è stato ‘fatto’ o progettato razionalmente, ma è cresciuto spontaneamente. Eppure esse sono confrontate tutti i giorni con questo tipo di “ordine spontaneo”: basti pensare alla lingua italiana, per esempio, le cui regole non sono state progettate a tavolino ma sono emerse spontaneamente attraverso un millenario e spontaneo processo di selezione culturale di usi e convenzioni, esattamente come la legge intesa come principio.
Laddove la legge è il principio, il compito del legislatore non è ‘fare’ la legge perché la legge non può essere ‘fatta’ più di quanto possa essere ‘fatta’ la lingua italiana: il compito del legislatore è scoprire, custodire e difendere la legge così come il compito di un linguista è scoprire, custodire e difendere una lingua.
La legge intesa come principio non è incompatibile con i provvedimenti particolari decisi da un’autorità: per esempio, il fatto che la legge sia il principio generale e astratto che vieta il furto non è incompatibile con il provvedimento particolare che stanzia x milioni di euro di soldi prelevati con le tasse per far funzionare il tribunale che deve giudicare un presunto ladro. Tuttavia, la legge intesa come principio è assolutamente incompatibile con la confusione fra potere legislativo (il potere di difendere su un piano astratto e custodire il principio che vieta il furto) e potere politico (il potere di decidere il provvedimento particolare che stanzia i fondi per quel tribunale). Laddove la legge è il principio generale e non il provvedimento particolare, il potere politico sta sotto la legge nel senso che chi lo detiene è subordinato a chi detiene il potere di difendere la legge sul piano astratto. A sua volta, chi detiene il potere di difendere la legge sul piano astratto è subordinato alla legge (non alla costituzione) come l’Accademia della Crusca è subordinata alla lingua italiana (non a chi la istituisce).
Laddove la ‘legge’ è intesa come provvedimento particolare, la sovranità è del parlamento o del ‘popolo’. Laddove la legge è intesa come principio, la sovranità è della legge, e di questa solamente.
Laddove la sovranità è del parlamento o del ‘popolo’, la ‘legge’ è lo strumento di cui chi si candida alle elezioni dispone per comprarsi i voti degli elettori. Anche per questo, dove la sovranità è del parlamento o del ‘popolo’, e quindi dove la ‘legge’ è il provvedimento particolare, le funzioni e le dimensioni dello stato (e quindi della spesa pubblica decisa da chi detiene il potere politico) tendono necessariamente ad aumentare fino al punto in cui il sistema crolla. Al contrario, dove la legge è il principio, le funzioni e le dimensioni dello stato sono limitate alla difesa della sovranità della legge (ed eventualmente, a certe condizioni , e posto che sia possibile definire i bisogni di base in modo non arbitrario, al supporto di coloro che non riescono a soddisfarli autonomamente sul mercato).
Quindi laddove la legge è un limite al potere arbitrario e non un suo strumento, il potere politico potrebbe anche tentare di far passare il finanziamento pubblico dei partiti, ma non ci potrebbe riuscire perché ci sarebbe un giudice a Berlino (il potere legislativo). Ma laddove la ‘legge’ è il provvedimento particolare, il giudice a Berlino coincide con colui che detiene il potere politico, e quindi con colui che impone il finanziamento pubblico dei partiti. In altri termini, laddove la legge è intesa come provvedimento, il giudice a Berlino non c’è: si è in una situazione di “stato senza legge” e cioè di potere politico illimitato (di totalitarismo): “Quello che è successo con l’apparente vittoria dell’ideale democratico è stato che il potere di scoprire le leggi e il potere approvare misure di tipo governativo sono stati messi nelle mani delle stesse assemblee. L’effetto di questo è stato necessariamente che la maggioranza parlamentare di governo [the supreme governmental authority] è diventata libera di darsi qualsiasi legge l’aiutasse meglio a raggiungere i particolari scopi del momento. Ma necessariamente ciò ha significato la fine del principio del governo sotto la legge. […] Mettere entrambi i poteri nelle mani della stessa assemblea (o delle stesse assemblee) ha significato di fatto il ritorno al governo illimitato” (Friedrich A. von Hayek).
Questo è, in sintesi, il problema-sorgente: la non separazione fra potere politico e potere legislativo e quindi l’idea astratta di legge da cui questa non-separazione deriva.

2. LA PROPOSTA DI HAYEK

Hayek propone di risolvere il problema-sorgente con un’architettura istituzionale che separi il potere politico dal potere legislativo e cioè che risolva il conflitto d’interessi di un parlamento come quello italiano. In particolare, nella sua proposta egli immagina due assemblee: l’assemblea legislativa e l’assemblea governativa.
L’assemblea legislativa sarebbe formata da giuristi, cioè da studiosi, e si occuperebbe solo della scoperta, custodia e difesa della legge intesa come principio generale e astratto. Essa quindi non avrebbe nessun rapporto con il governo (nel senso che non spetterebbe a questa assemblea votare la fiducia al governo, per esempio) e non avrebbe nessun potere di spesa né di approvare misure di spesa.
L’assemblea governativa sarebbe invece formata da amministratori. All’interno dei limiti di principio difesi dalla prima assemblea (a cui è sottoposta), l’assemblea governativa si occuperebbe solo dei provvedimenti particolari e delle misure strettamente necessari all’amministrazione dello stato (minimo): a questa assemblea spetterebbe la scelta di votare una eventuale fiducia al governo, per esempio, oppure la manovra finanziaria (che non potrebbe più essere chiamata “legge”), ma a) essa non potrebbe più occuparsi di leggi, e cioè di questioni di principio e b) i suoi provvedimenti dovrebbero rispettare la legge, una legge che sarebbe un’altra assemblea a difendere (soprattutto dall’assemblea governativa).
La proposta di Hayek è complessa e, per un esame approfondito, rimando al testo dove viene illustrata (Hayek, F. A., 1998,Law, Legislation and Liberty. Routledge, London & New York. Vol. 3, Capitoli 16 e 17). Qui mi interessa mettere in evidenza tre aspetti particolari.
Il primo è che, ben conscio del fatto che la sostenibilità di questa proposta dipende in modo essenziale dall’efficacia della separazione fra le due assemblee, Hayek ha proposto alcune idee per rafforzare questa separazione. Fra queste ci sono non solo sistemi elettorali completamente diversi per le due assemblee ma anche, e soprattutto, l’impossibilità di candidarsi all’assemblea legislativa per chiunque sia o sia mai appartenuto a un partito politico oppure abbia svolto ruoli nell’amministrazione dello stato (quindi l’assemblea legislativa sarebbe bandita ai partiti, a chi ne abbia mai fatto parte e a chi abbia mai svolto ruoli di governo, per esempio).
Il secondo aspetto della proposta di Hayek che voglio mettere in evidenza è che questa proposta non punta solo a risolvere il conflitto d’interessi del parlamento (la confusione fra potere politico e legislativo) ma anche quello degli elettori: questa proposta infatti prevede la privazione del diritto di voto per la sola assemblea governativa (non per l’assemblea legislativa) per coloro che, andando indietro per un certo numero di anni, abbiano ricevuto direttamente, e a qualunque titolo, soldi pubblici (dall’impiegato delle poste al professore universitario; dall’imprenditore che ha ricevuto una concessione o un finanziamento pubblico al presidente della repubblica; eccetera). Questo aspetto della proposta, introdotto per motivi di legittimità connessi alla risoluzione di un palese conflitto d’interessi, avrebbe anche un effetto di lungo termine positivo sulle dimensioni dello stato in quanto limiterebbe la possibilità del voto di scambio legalizzato (senza limitare la rappresentanza: tutti infatti manterrebbero il diritto di voto per l’assemblea legislativa) e quindi a lungo andare ridurrebbe il bacino elettorale a cui chi vuole aumentare le dimensioni e le funzioni dello stato può attingere.
Io ritengo che questi due aspetti che ho messo in evidenza, e a monte il fatto di aggredire il problema-sorgente, quello della non separazione fra potere legislativo e potere politico, siano dei grandi punti di forza della proposta di Hayek. Ritengo tuttavia che essa, rispetto agli obiettivi che si pone, abbia anche dei limiti. Uno di questi limiti è che, come dice secondo me giustamente de Jasay, essa non risolve il problema di chi controlla i controllori.
Un altro limite è che essa riunisce nel potere legislativo due poteri che secondo me a loro volta dovrebbero essere distinti: il potere per esempio di difendere e custodire il principio astratto e generale in base al quale il furto è illegittimo (potere che non richiede di prendere nessuna decisione) e il potere di stabilire il numero di anni di prigione per il furto (potere che invece richiede di prendere una decisione). Questo è un limite perché se si è d’accordo, come lo è Hayek, sul fatto che dove c’è decisione non c’è legge (cioè sul fatto che la legge esiste prima della legislazione), allora lasciare il secondo potere nelle mani dei legislatori inquinerebbe il loro lavoro. Personalmente io ritengo che questo problema possa essere risolto immaginando una terza assemblea, dallo stesso lato del fiume dell’assemblea legislativa (e quindi dal lato del fiume opposto a quello dell’assemblea governativa) ma a essa sottoposta. Senza entrare nei dettagli, questa terza assemblea, che io chiamerei “sub-legislativa”, prenderebbe quelle decisioni che sono relative alla legge (ma che in quanto decisioni non sono legge), come ad esempio il numero di anni di prigione per il furto. Per ragioni che qui non è possibile discutere, a questa assemblea potrebbe essere delegata anche la funzione di trovare l’equilibrio di diversi principi astratti in competizione fra loro (questa è una questione molto delicata che di nuovo non è possibile discutere qui per motivi di spazio).
Questi limiti e altri rendono la proposta di Hayek a mio parere migliorabile ma nulla tolgono al fatto che essa, anche così com’è, sarebbe un netto miglioramento rispetto alla situazione attuale.
Al di là di essi, tuttavia, la proposta del grande economista e filosofo austriaco ha un macro-limite: pur ammettendo che questa proposta sia l’obiettivo, come arrivarci? Che interesse ha chi oggi detiene un potere politico illimitato a fare una rivoluzione istituzionale e costituzionale il cui unico scopo sarebbe il dimezzamento del proprio potere? Basta guardare quell’inezia della vicenda delle province per capire che la proposta di Hayek è irraggiungibile in quanto produce una struttura di incentivi esattamente contraria alla sua realizzazione. Tranne che nei casi di formazione di un nuovo stato (per esempio attraverso aggregazione di altri stati o attraverso secessione), Hayek non riteneva che la sua proposta dovesse essere adottata dall’oggi al domani ma che essa dovesse essere l’obiettivo verso cui tendere spontaneamente e gradualmente. Vista la struttura d’incentivi fortemente contraria, tuttavia, non si capisce come questa transizione spontanea potrebbe aver luogo.

3. L’OFFERTA PRIVATA DELLA LEGISLAZIONE

La seguente proposta, che è rivolta a un’eventuale forza politica liberale, ha l’obiettivo di mettere in moto un processo che gradualmente, spontaneamente e pacificamente possa portare alla proposta di Hayek, eventualmente migliorata (l’obiettivo ideale) partendo dalle condizioni attuali (la confusione fra potere politico e potere legislativo e quindi il potere politico illimitato).
Anticipo subito che ci sono tre aspetti che rendono la seguente proposta immediatamente applicabile: 1) partendo dalla situazione attuale, inizialmente essa non cambia una virgola del presente quadro normativo, istituzionale e costituzionale: il totalitarismo cioè rimane, ma l’idea è quella di renderlo progressivamente autoimmune, cioè di utilizzarlo contro sé stesso per riportare via via lo stato sotto la legge; 2) essa non richiede necessariamente che gli elettori condividano l’idea di legge intesa come principio; 3) essa non comporta la spesa di un solo euro di denaro ‘pubblico’.
Prima di calare questa proposta nella realtà politica italiana contemporanea (cosa che farò brevemente nell’ultima sezione) considero un caso semplificato per spiegarne il funzionamento.
Supponiamo che alle elezioni si presentino due forze politiche: una coalizione partitica tradizionale (CPT) e un movimento politico liberale (MPL). La CPT si presenta alle elezioni presentando il suo programma politico, e fin qui niente di nuovo. Anche il MPL si presenta alle elezioni presentando il suo programma politico, solo che, oltre a questo, presenta anche due documenti: la “Lista dei Legislatori” e la “Lista dei Principi”.
La “Lista dei Legislatori” è un elenco di organizzazioni private arbitrariamente selezionate dal MPL. Ciascuna di esse è costituita da un network di studiosi di livello internazionale (non necessariamente italiani: la nazionalità non sarebbe assolutamente un criterio rilevante). Il MPL ha selezionato arbitrariamente queste organizzazioni in base a determinati criteri quali ad esempio: la chiara statura internazionale degli studiosi che le compongono; il fatto che tali studiosi non abbiano mai ricoperto incarichi pubblici (per esempio non abbiano mai fatto parte di istituzioni partitiche, governative o sovra-governative); la compatibilità culturale di questi studiosi con i valori in cui il MPL si riconosce (se per esempio una di queste organizzazioni avesse Amartya Sen fra i suoi studiosi essa avrebbe poche probabilità di essere selezionata da una forza politica liberale; se invece avesse Dario Antiseri le sue probabilità aumenterebbero); e altri.
La “Lista dei Principi” è un primo parziale elenco di principi generali e astratti, il primo dei quali sarebbe necessariamente il principio di uguaglianza davanti alla legge (nel senso di uguaglianza di tutti, stato incluso, davanti a un principio, non di disuguaglianza legale, ovviamente). Questo primo elenco è parziale nel senso che è incompleto: la lista per esempio potrebbe contenere quattro o cinque principi. Se necessario, alle successive elezioni altri principi potrebbero eventualmente essere aggiunti e alcuni dei precedenti potrebbero essere modificati, avviando così un processo di “learning by doing”. Questa “Lista dei Principi” è stata redatta dal MPL insieme alle organizzazioni elencate nella “Lista dei Legislatori”. Per ogni principio c’è una scheda divisa in due sezioni: nella prima sezione c’è, in più lingue (almeno l’inglese oltre l’italiano) la formulazione del principio astratto in termini talmente semplici da essere accessibili a tutti (dal professore universitario al manovale immigrato) nello stesso modo; nella seconda sezione c’è una relazione approfondita che, dal punto di vista di chi la ha redatta, dimostra a) l’esistenza del principio e b) la coerenza astratta di questo principio con gli altri principi ritenuti validi. (Non è irragionevole assumere che poche persone avrebbero voglia, tempo e capacità di studiarsi la seconda sezione).
Premesso che “colui che ha interesse” o “Y” può essere: a) un privato cittadino (elettore del MPL o meno, di cittadinanza italiana o meno) b) un gruppo comunque formatosi di privati cittadini; c) un’organizzazione di qualunque tipo, per esempio un’azienda, un’associazione, una NGO, eccetera (italiana o meno) d) nessuna organizzazione o agenzia pubblica (italiana o meno); premesso questo, dicevo, presentandosi alle elezioni il MPL afferma quanto segue:
Il MPL si impegna, nel caso in cui avesse la maggioranza in parlamento, a difendere le leggi contenute nella “Lista dei Principi”.
Se colui che ha interesse (“Y”) ritiene che una qualunque norma di qualunque genere o grado sia in contrasto con una o più delle leggi contenute nella “Lista dei Principi” egli può sottoporre il caso, a sue spese, a una qualunque delle organizzazioni private elencate nella “Lista dei Legislatori”, a sua scelta (“il Legislatore scelto”).
Il Legislatore che Y avrà scelto (in base a parametri che Y potrà stabilire liberamente, come ad esempio il record di successi o il prezzo) selezionerà arbitrariamente e insindacabilmente la richiesta di Y. Se questa sarà respinta, a Y verrà in parte restituita la somma versata e la storia finirà lì.
Se invece la richiesta di Y sarà accolta, il Legislatore scelto studierà la questione. Se, dopo l’esame della questione, il Legislatore scelto dichiarerà che la norma chiamata in causa non è in contrasto con nessuno dei principi che il MPL si è impegnato a difendere, la storia finirà lì (Y non sarà comunque rimborsato).
Se invece, dopo l’esame della questione, il Legislatore scelto dichiarerà che la norma chiamata in causa è effettivamente in contrasto con uno o più dei principi che il MPL si è impegnato a difendere, il Legislatore scelto produrrà un documento chiamato “Raccomandazione”, nel quale spiegherà come risolvere il problema: per esempio abolendo o modificando in parte o del tutto (secondo le indicazioni e i tempi stabiliti dallo stesso Legislatore scelto) la norma chiamata in causa.
Scaduti i tempi stabiliti dal Legislatore scelto, quest’ultimo produrrà un ulteriore documento in cui comunicherà pubblicamente se la sua Raccomandazione è stata eseguita oppure no.
Nel chiedere il voto agli elettori, il MPL si impegna a eseguire ciecamente la Raccomandazione del Legislatore scelto, non nel senso che la eseguirà meccanicamente, ma nel senso che, sulla base di questo impegno che sta prendendo con gli elettori a cui chiede il voto, il MPL riterrà suo dovere eseguirla.
In casi straordinari (che il MPL si impegna a chiarire, documentare e nel caso a risolvere nel più breve tempo possibile) il MPL potrà non assolvere a questo suo dovere o assolvere ad esso solo parzialmente, ma se i casi in cui il MPL sceglierà di non eseguire la Raccomandazione (o di eseguirla solo parzialmente) e/o quelli in cui il Legislatore scelto non sarà pienamente soddisfatto saranno superiori a x% del totale delle Raccomandazioni, il MPL e tutti i candidati che si sono presentati nelle sue liste si impegnano formalmente fin da ora a sparire dalla scena politica per sempre.

4. ALCUNE CONSIDERAZIONI

Questa proposta ha implicazioni complesse che eventualmente potranno essere discusse in sede di commento. Alcune di queste tuttavia può essere utile illustrarle qui.

4a. Legalità. Formalmente i Legislatori sono organizzazioni private che si finanziano sul mercato e che si limitano a esprimere un parere. Per certi versi, sono una specie di ‘agenzie di rating politico’, anche se, come abbiamo visto, il loro ruolo non si limita affatto a dare un giudizio ma anzi in primo luogo consiste nel suggerire l’azione normativa che il MPL si impegna a priori ad adottare. Quindi non credo che la cosa porrebbe problemi dal punto di vista della legalità (la ‘legge’ ancora non vieta di dare consigli o di esprimere idee). Come anticipato sopra, dal punto di vista formale nulla cambierebbe, almeno nell’immediato: il parlamento manterrebbe intatto il suo conflitto d’interessi e la maggioranza parlamentare il suo potere politico illimitato.

4b. Che incentivo avrebbe il MPL ad autolimitarsi in questo modo? La risposta che verrebbe immediata è “l’incentivo verrebbe dalle sue convinzioni: in quanto liberali, i membri del MPL credono per definizione nella limitazione del potere politico”. Questa risposta tuttavia sarebbe solo in parte corretta. È vero che ciò che qualifica il liberale è il credere nella limitazione del potere politico. Ma è anche vero che il potere politico tende a corrompere l’uomo e che il liberale è un uomo, non è un Dio. Prima di avere potere egli non è corrotto ma, una volta che acquisisce potere, noi dobbiamo partire dal presupposto che egli sia corrotto o quantomeno corruttibile (in senso lato: per esempio che usi il potere che ha per fare del ‘bene’, cioè quello che lui arbitrariamente ritiene essere il ‘bene’, visto che è così facile e che non gli costa nulla perché verrebbe fatto con la proprietà altrui). Sapendo questo, quindi, il liberale deve chiudere la bottiglia in cantina e dare le chiavi al medico prima di avere sete. La differenza fra il liberale e gli altri è che, prima di avere sete, egli sa che la bottiglia fa male, mentre gli altri pensano che faccia bene (e quindi non ritengono di doverla chiudere in cantina e di dare le chiavi al medico). In altri termini, la differenza fra il liberale e i collettivisti di qualunque tipo è che del liberale può essere corrotta la persona ma non le idee, mentre dei collettivisti sono corrotte le idee già in partenza, e prima fra tutte l’idea di legge (indipendentemente dal fatto che sia corrotta la persona).
C’è tuttavia un’altra ragione per la quale il MPL avrebbe un incentivo ad autolimitarsi in questo modo. Oggi l’autolimitazione del potere politico è uno strumento di marketing per ottenere potere politico ed è così perché l’idea di legge come provvedimento ha prodotto degli effetti (corruzione, casta, eccetera…) che a loro volta hanno creato una domanda enorme di limitazione del potere politico. A fronte di questa domanda, la quale si esprime nel “sono tutti uguali” ripetuto a ogni angolo di strada, nel partito del non voto, eccetera, non c’è offerta. È vero che adesso c’è Grillo col suo Movimento 5 Stelle ma, per quanto questo movimento politico trovi consensi in questa domanda, non la soddisferà in quanto la sua risposta, avvenendo all’interno della legge intesa come provvedimento (e quindi della confusione fra potere politico e potere legislativo), non è una risposta: quando l’entusiasmo per la novità sarà passato si vedrà che, per i presupposti da cui parte, Grillo non è un modo per affrontare la causa del problema ma solo alcuni suoi effetti (e per peggiorarne altri).
Il MPL avrebbe dunque convenienza ad autolimitarsi in questo modo per rispondere concretamente all’enorme domanda di limitazione di potere politico, e per farlo in modo credibile. Quindi, in un certo senso, per motivi di interesse politico, cioè per ottenere potere politico.

4c. Che incentivo avrebbe il cittadino a pagare il Legislatore scelto? La risposta a questa domanda mi dà l’occasione di esporre come funzionerebbe concretamente la proposta, facendo riferimento a un caso concreto fra i tanti che potrebbero verificarsi (scelgo un caso particolarmente semplice perché il suo scopo è illustrare la proposta, ma se la proposta funzionasse in questo caso allora potrebbe funzionare anche in casi più complicati, tipo Equitalia, tasse, sostituto d’imposta, articolo 18, e infiniti altri).
Maria ha un fienile adibito dall’autorità a “uso agricolo” che vuole ristrutturare e utilizzare come abitazione per la figlia. Per farlo, oggi in Italia lei deve chiedere all’autorità l’autorizzazione: il cosiddetto “cambio di destinazione d’uso”. Supponiamo che lo faccia e che l’autorità le neghi questa autorizzazione inviandole una raccomandata piena di timbri e bolli in cui afferma che “vista la legge tal de tali, articolo tal de tali, comma tal de tali eccetera eccetera… la sua richiesta è respinta”, per esempio a causa di vincoli paesaggistici o altro.
Per semplicità, supponiamo che il fienile di Maria abbia già le finestre, che i nuovi scarichi possano essere fatti nella sua proprietà, che il terreno abbia posto sufficiente per il parcheggio di varie auto, eccetera. Insomma, per semplicità, supponiamo che la trasformazione da “uso agricolo” a “uso residenziale” di quel fienile comporti un impatto esterno (esternalità negativa) minimo.
Se consideriamo la ‘legge’ come il provvedimento particolare dell’autorità, cioè come strumento di potere, la decisione dell’autorità non pone nessun problema. Maria deve accettare il fatto che in alcuni casi lo stato si riserva il diritto di decidere arbitrariamente (indipendentemente cioè da questioni di principio) l’uso che lei fa della sua proprietà.
Tuttavia, se consideriamo la legge come limite al potere, cioè come principio generale e astratto che l’autorità legislativa ha il potere e la responsabilità di scoprire, custodire e difendere ma che non può ‘fare’, allora il provvedimento che impone a Maria di chiedere il “cambio di destinazione d’uso” pone importanti problemi.
Infatti, è quantomeno plausibile che esista un principio generale e astratto (una legge) in base al quale ognuno può fare l’uso che vuole della sua proprietà finché non causa danni illegittimi ad altri (il che non vuol dire affatto finché non causa danni ad altri: se necessario, su questa distinzione tornerò in sede di commento), principio che per semplicità possiamo chiamare “principio della libertà d’uso”. Infatti, se questo principio non esistesse, nell’usare liberamente (cioè senza chiedere il permesso all’autorità) la sala da pranzo come stanza da gioco per i bambini, oppure un tavolo da cucina come scrivania, una persona starebbe commettendo un crimine.
Supponiamo che il “principio della libertà d’uso” sia una delle leggi incluse nella “Lista dei principi” che il MPL in campagna elettorale si è impegnato a difendere.
Il principio della libertà d’uso non implica affatto che l’uso che uno può fare della sua proprietà sia illimitato e cioè che Maria possa legittimamente trasformare il suo fienile in un grattacielo di vetro (come dice Nozick, “i diritti di proprietà che ho sul mio coltello mi consentono di piantarlo dove mi pare, ma non sul tuo petto”), ma che, laddove c’è la sovranità della legge, esso può essere limitato solo dall’esistenza altri principi (di altri principi, non di interessi, collettivi o meno che siano) e, in particolare, di altri principi che eventualmente risultino essere prevalenti su quello della libertà d’uso (anche in questo caso, se necessario posso chiarire questo aspetto in sede di commento).
Oggi Maria è sola, nel senso che, come abbiamo visto, non c’è un giudice a Berlino: se l’autorità ha deciso che lei deve chiedere il permesso, lei deve chiedere il permesso. Ma nel caso di questa proposta, Maria potrebbe sottoporre il caso a un Legislatore di sua scelta. Visto che le persone nella situazione di Maria sono molte (cioè ci sono molte persone le cui azioni sono limitate dalla stessa norma particolare), e visto inoltre che al caso di Maria sono interessate anche altre persone che non sono nella sua stessa situazione (tipo l’architetto che dirigerebbe i lavori e il titolare dell’impresa edile che li eseguirebbe), è probabile che su Internet si formi un gruppo piuttosto vasto fra cui il costo di sottomissione potrebbe essere diviso. D’altro canto, visto che i Legislatori sono più di uno e in competizione fra loro, è probabile che questa competizione contribuisca a contenere il prezzo della sottomissione. In ogni caso, il mercato si regola da solo e produce il prezzo a cui l’offerta incontra la domanda: quindi è molto probabile che il prezzo di sottomissione sia tale da essere conveniente al gruppo di cittadini che si sono aggregati intorno a Maria. Sottoporre il caso al Legislatore è conveniente per Maria nei limiti in cui il prezzo di sottomissione (diviso fra tutti i partecipanti) è inferiore al costo complessivo (non solo finanziario) di acquistare un’altra casa per la figlia moltiplicato per la probabilità di vincere.

4d. Difendere i principi per interesse. Più sopra ho detto che questa proposta non richiede che le persone sposino l’idea di legge come principio. Questa proposta infatti crea un incentivo per Maria a difendere a sue spese un principio (la legge), ma non per motivi idealistici: puramente per ragioni di interesse (se poi lei lo vuole fare per ragioni di principio meglio, ma non è necessario). Di più, coloro che sono nella situazione di Maria (e coloro che per una ragione o per un’altra sono simpatizzanti con essi) sono incentivati ad aggregarsi insieme, ad unirsi in difesa di un principio: non necessariamente perché sono degli idealisti ma, di nuovo, per pure ragioni di interesse.
La causa cumulativa promossa dal Movimento Libertario contro il sostituto d’impostahttp://www.movimentolibertario.com/2012/05/07/una-causa-cumulativa-contro-il-sostituto-dimposta/ è tuttavia la prova che dinamiche partecipative di questo tipo sono possibili su basi non esclusivamente di convenienza ma anche di principio.

4e. Che incentivo avrebbero i Legislatori (che, ripeto, sono delle organizzazioni private) e i singoli studiosi che ne farebbero parte a candidarsi per la selezione fatta dal MPL? Da un lato soldi, profitto. Dall’altro, eventualmente, anche prestigio oppure interesse professionale.

4f. Il lavoro congiunto. Oggi la difesa dei principi è lasciata ai partiti politici in un contesto di potere politico illimitato, e il risultato è sotto gli occhi di tutti: lo smantellamento della legge da parte dello stato. Questa proposta, se funzionasse, toglierebbe la difesa della legge dalle mani dei partiti e la affiderebbe al lavoro congiunto di due soggetti del tutto nuovi. Infatti da una parte la difesa della legge sarebbe affidata ai cittadini: sono loro che, individualmente, in base a una situazione con cui essi hanno familiarità, dovrebbero trovare la contraddizione fra il provvedimento particolare e il principio generale (e quindi ricominciare, per motivi di interessi, a ragionare in termini di principio); sono loro che, a loro spese e a loro rischio, nei singoli casi particolari dovrebbero avviare il meccanismo di questa proposta sottoponendo il caso ai Legislatori; sono loro che dovrebbero aggregarsi spontaneamente per ridurre il costo di sottomissione. Questa partecipazione dei singoli cittadini sarebbe fondamentale perché se la difesa della legge fosse affidata esclusivamente ai Legislatori si avrebbe una situazione simile a quella, tipicamente italiana, in cui l’occupante è cacciato da uno straniero: in questi casi ci sarebbero le migliori condizioni perché l’occupato pieghi nuovamente il capo davanti al prossimo invasore.
Ma in questa proposta la difesa della legge sarebbe affidata anche a un altro soggetto nuovo: il legislatore (senza virgolette). Laddove la ‘legge’ è il provvedimento, cioè la decisione di chi detiene il potere politico, la sola qualità che ci vuole per essere ‘legislatori’ è la capacità di spingere un pulsante, e quindi un Bersani, un Bossi o una Santanché qualunque vanno bene. Ma dove la legge è il principio, il legislatore deve poter dimostrare l’esistenza di un principio e la coerenza astratta di questo con gli altri principi ritenuti validi (primo fra tutti quello di uguaglianza davanti alla legge) e per fare questo ci vogliono delle capacità “erculee” (Dworkin). Anthony de Jasay e chi scrive, o Maria, per esempio, potrebbero sentire l’esistenza di quello che ho chiamato “principio della libertà d’uso” esattamente nello stesso modo, ma la capacità di de Jasay di dimostrarne l’esistenza e la coerenza astratta con gli altri principi ritenuti validi (in altre parole la sua capacità di scoprire, custodire e difendere questo principio) sarebbe senza dubbio incomparabilmente superiore a quella di chi scrive e forse anche a quella di Maria. Quindi né chi scrive, sicuramente, né Maria, probabilmente, sono in grado di difendere la legge intesa come principio quanto lo possono essere networks di studiosi altamente preparati nelle diverse discipline e materie che sono indispensabili per svolgere la funzione del legislatore senza virgolette.

4g. Transizione verso la proposta di Hayek. Ho detto prima che l’obiettivo di questa proposta è quello di essere una zattera un po’ arrangiata da abbandonare nel momento in cui si raggiunge nave, che è la proposta di Hayek. Perché questa proposta potrebbe portare alla proposta di Hayek? In due parole, perché questa proposta introduce, seppur in modo informale, un giudice a Berlino e, una volta introdotto questo, può essere difficile per i cittadini rinunciarvi. Se uno nasce in una gabbia non sente la mancanza di libertà, ma se uno viene fatto uscire anche per poco e acquisisce la percezione della gabbia, sarà progressivamente sempre più difficile farlo riadattare alla gabbia. Fuor di metafora, una volta che le persone avranno assaporato cosa significa vivere in una situazione in cui il potere legislativo è separato (seppur informalmente) dal potere politico, e quindi non è illimitato, si metteranno in moto forze che i partiti non saranno più in grado di resistere. Il terreno sarà allora pronto per muoversi anche istituzionalmente verso questa separazione, e la proposta di Hayek, eventualmente migliorata, sarebbe il naturale punto di approdo.

4h. Limiti della proposta. Questa proposta non vuole essere una ‘soluzione’ ma semplicemente un miglioramento rispetto alla situazione attuale e anzi solo un modo per creare le condizioni per un possibile miglioramento. Essendo un disegno umano, essa ha evidentemente molti limiti. Alcuni riesco già a vederli da solo, altri spero che eventualmente usciranno fuori in sede di commento. Qui ne discuto tre.

Il primo è che questa proposta aggredisce (o prepara il terreno per l’aggressione di) uno solo dei due conflitti d’interesse che la proposta di Hayek si propone di risolvere: quello del parlamento, che, grazie alla costituzione italiana che adotta il positivismo giuridico, dispone sia del potere legislativo che di quello politico. L’altro conflitto d’interessi, quello degli elettori che sta alla base della democrazia intesa come mercato delle vacche (conflitto d’interessi che la proposta di Hayek risolve) questa proposta lo lascia intatto. Forse preparare il terreno per l’aggressione al primo conflitto d’interessi indirettamente potrebbe favorire anche l’aggressione al secondo, ma non è possibile dirlo con certezza.

Il secondo limite di questa proposta è che è gradualistica. In “Principi liberali” Dario Antiseri afferma che “la pratica politica è sempre una prassi gradualistica e riformistica”; che il liberale non è un “utopista [e cioè] un totalitario [che] vuol cambiare tutto e vuol ricominciare da capo” ma al contrario egli “propone una teoria evolutiva delle istituzioni, le più importanti delle quali (linguaggio, moneta, diritto ecc.) egli vede quali esiti inintenzionali di azioni umane intenzionali volte ad altri scopi”. Questa proposta è perfettamente in linea con questo approccio. Essa infatti parte da una teoria evolutiva del diritto e delle istituzioni (abbiamo visto che la legge intesa come principio è il risultato di un processo spontaneo e disperso di selezione culturale di usi e convenzioni come le regole della lingua); non mira a cambiare tutto e subito, a ricominciare da capo, ma ha appunto un approccio gradualistico, spontaneo e disperso che parte non solo dalle istituzioni quali sono ma anche dalle persone quali sono; la difesa della legge avviene come esito inintenzionale di azioni intenzionali volte ad altri scopi (l’utilizzo del fienile come abitazione nell’esempio citato); il metodo di questa proposta non è azzerare tutto per imporre una nuova idea di legge e un sistema politico basato su di essa, ma dare alle persone gli strumenti per disseppellire quell’idea di legge che esse (che la rispettino o meno) hanno dentro di loro ma che è soffocata continuamente dal positivismo giuridico e cioè dal costruttivismo applicato alla teoria del diritto. Questa proposta dunque è gradualistica. Questo può essere un vantaggio dal punto di vista strategico nelle condizioni in cui siamo oggi, non in assoluto. Soprattutto, il gradualismo di questa proposta è sempre necessariaente un limite dal punto di vista morale: in una situazione di olocausto, per esempio, oppure di schiavitù, una pratica politica gradualistica condannerebbe deliberatamente persone (o perfino generazioni di persone) alle camere a gas o alla schiavitù. L’obiezione di Rothbard al gradualismo (alla quale Antiseri nel testo citato non risponde) è che, se siamo d’accordo sul fatto che, potendo evitare di farlo, sarebbe immorale prolungare di un solo minuto una situazione di schiavitù o di genocidio, per esempio, allora siamo d’accordo sul fatto che anche il gradualismo è immorale. Questa proposta pende a favore del gradualismo e lo fa perché a mio parere, a differenza del totalitarismo “classico”, il totalitarismo moderno o “soffice” è maggiormente aggredibile da questa forma di pratica politica (il virus è mutato e sarebbe un errore a mio parere non mutare la cura di conseguenza). Questo tuttavia non significa ignorare o minimizzare i problemi di moralità che ciò implica, e cioè per esempio il fatto che, anche se questa proposta venisse adottata e funzionasse, delle minoranze di cittadini continuerebbero a essere saccheggiate dalla maggioranza in virtù dell’articolo 53 della costituzione che, a meno che il MPL ottenesse la maggioranza qualificata in parlamento, molto probabilmente rimarrebbe intatto almeno fino alla formale transizione alla proposta di Hayek.

L’ultimo limite che discuto è per certi versi quello più importante: la fattibilità pratica. Poiché oggi in Italia la rappresentanza politica in parlamento di una forza politica liberale è pari a zero, questa proposta risulta a prima vista impraticabile, e forse lo è.
Tuttavia, se un giorno una forza politica liberale volesse presentarsi alle elezioni politiche essa avrebbe convenienza a cercare voti in quella metà o quasi della popolazione che ormai non va più a votare (la quale secondo me in gran parte corrisponde alla domanda inevasa di limitazione di potere politico), e questa proposta potrebbe essere un modo per raggiungere almeno parte di quell’elettorato e quindi avere un senso.
È inoltre anche possibile immaginare anche un altro scenario compatibile con la realtà politica italiana attuale in cui questa proposta potrebbe avere un senso. Se il MPL, pur non avendo la maggioranza in parlamento, riuscisse a ottenere un numero di voti tale da essere l’ago della bilancia (cosa che, avendo la capacità di pescare nel movimento del non voto, non sarebbe da escludere), esso potrebbe a) rinunciare al suo programma politico e b) subordinare un suo eventuale appoggio politico a una delle coalizioni tradizionali in campo esclusivamente a questa proposta e ai principi generali e astratti che decidesse di includere nella “Lista dei Principi”. Una differenza fondamentale fra la legge e le misure da tenere presente è che la legge, in quanto principio generale, unisce, mentre la misura, in quanto provvedimento particolare, divide (detta in altri termini, la legge non è né di destra né di sinistra: sono i provvedimenti particolari che sono di destra o di sinistra). In ragione di questo, se per una coalizione tradizionale sarebbe facile giustificare di fronte ai suoi elettori il rifiuto di formare una maggioranza di governo con una forza politica sulla base di un programma politico diverso (e quindi di provvedimenti particolari), sarebbe tuttavia più difficile farlo quando l’unica cosa che quella forza politica (il MPL) chiede è il rispetto di principi astratti e generali che è probabile che molte se non tutte le persone sentano come giusti, indipendentemente dal fatto che siano di destra o di sinistra (basti pensare al caso di Maria). In caso di rifiuto almeno sarebbe esplicito il rigetto, da parte delle forze politiche tradizionali, di quei principi generali e astratti: cosa che oggi avviene nei fatti ma non in modo esplicito e quindi senza che le forze politiche tradizionali siano poste di fronte alle loro responsabilità morali.

CONCLUSIONI

Oggi siamo in una situazione di “stato senza legge”, e cioè di totalitarismo: il potere politico illimitato è libero di smantellare la legge a suo piacimento. In qualche modo dobbiamo riuscire a riportare pacificamente lo stato sotto la legge. Le proposte possibili sono molte (questa è solo una fra le tante e magari è anche irrealizzabile) ma esse devono aggredire il problema-sorgente (la confusione fra potere legislativo e potere politico che caratterizza lo stato moderno), non i suoi effetti particolari. Qualunque proposta che non implichi una rivoluzione di sistema di riferimento, e cioè il passaggio dall’idea che è la legge a orbitare attorno all’autorità all’idea che invece è l’autorità a orbitare attorno alla legge, è necessariamente votata al fallimento e produce un rafforzamento e un prolungamento del totalitarismo.