GIOVANNI BIRINDELLI, 1.5.2022 (aggiornato il 2.5.2022)
Leggo di libertari che, in nome della libertà, inviano diffide ai datori di lavoro che, dopo il 1 maggio, impongono ai loro impiegati l’uso della mascherina, obbligo che dopo tale data è illegale: cioè contrario a quello che stabiliscono, ad oggi, gli ordini dell’autorità. L’invio di una tale diffida (e il procedimento legale che potrebbe seguirne), in sé, è una questione di poco interesse. Quello che invece è interessante, dal mio punto di vista, sono le implicazioni di un atteggiamento di questo tipo: in particolare, il fatto che il sentiero della libertà sembra essere sempre più perso perfino da chi, in quanto libertario, si è assunto il compito di curarlo, mantenerlo e svilupparlo.
La parola “libertà” è un’etichetta che, a differenza dell’etichetta “leone”, può essere applicata a qualsiasi sostanza e che quindi non dice nulla sulla sostanza. Perfino la schiavitù può essere chiamata (ed è stata chiamata) “libertà”. Per questo spesso è necessario, prima di usare la parola “libertà”, chiarire a quale tipo di sostanza ci si riferisce; in particolare, a quale tipo di regole coercitive ci si riferisce.
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