“Accordi al ribasso” e concorrenza

GIOVANNI BIRINDELLI, 1.7.2018

(Pubblicazione originale: Catallaxy Institute)

Giovanni, ti chiedo anche un parere su un piccolo episodio che sembrerebbe smentire le virtù della concorrenza di mercato. Sono rimasto due settimane senza linea internet e telefono di casa […]. Stufo e arrabbiato per il disservizio, nei giorni scorsi ho fatto richiesta per cambiare operatore e passare a un altro gestore internet. Finalmente ieri un tecnico è venuto a casa mia per riparare il guasto, e mi ha detto che il mio non è un caso isolato, ma tutti i gestori del settore (Telecom, Fastweb, ecc.) sono inadempienti, e la concorrenza tra di loro ha fatto peggiorare i servizi, anziché migliorarli. “È perchè si mettono d’accordo al ribasso, si accordano per offrire il servizio agli standard più bassi di qualità, così ci guadagnano tutti”, mi ha detto. Questa spiegazione non mi convince, però in effetti da un regime di libero mercato con attori economici privati ci si aspetterebbe un servizio migliore, o almeno una maggiore premura per le richieste di assistenza dei clienti, che invece vengono spesso lasciati insoddisfatti al punto da indurli a cambiare operatore. Tu come spieghi questo apparente fallimento del regime di concorrenza ? (A.)

 

La situazione delle telcom non può in alcun modo definirsi di mercato. Non solo perché parte della proprietà della rete fissa è ancora pubblica ma anche per l’esistenza di infinite regolamentazioni statali, che creano vincoli incompatibili con libero mercato. Basti pensare che ogni impresa che è proprietaria di una rete mobile è obbligata dallo stato a darne parte in affitto alla competizione. Oppure al fatto che le frequenze per la telefonia mobile appartengono allo stato e questo le dà in licenza, il che vuol dire che contribuisce a determinarne il prezzo e a scegliere l’operatore.

Insomma, l’attuale situazione delle telcom (che in ogni caso è diversa da quella della Sip) non ha nulla a che vedere col libero mercato: ci sono barriere all’entrata (burocratiche e regolamentari) immense che impediscono legalmente a chi domani si svegliasse e (avendo le necessarie capacità economiche e manageriali) volesse offrire un servizio migliore, di farlo senza dover chiedere permesso allo stato e senza doversi adeguare alle direttive politiche di chi lo controlla. Quindi, nella fattispecie, l’“accordo al ribasso” a cui tu ti riferisci (assumendo che sia vero) non sarebbe il prodotto del libero mercato ma della sua antitesi.

Premesso questo, c’è un punto che a coloro che parlano di concorrenza spesso sfugge. La concorrenza viene spesso confusa con una situazione, tanto particolare quanto irrealistica, avente determinate caratteristiche, p. es.:

  1. perfetta omogeneità dei prodotti/servizi scambiati da compratori e venditori
  2. assenza di concentrazione: nessuno di questi compratori e venditori privati deve essere in grado, con la sua azione di acquisto o vendita, di avere un effetto percepibile sui prezzi (in base a questa condizione bitcoin oggi non sarebbe concorrenziale mentre il denaro fiat di stato lo sarebbe)
  3. totale apertura dei mercati,
  4. piena conoscenza del mercato da parte di chi vi partecipa.

Questa idea di concorrenza, che in breve è quella situazione in cui, per ogni prodotto, ci sono molti produttori diversi in competizione fra loro, è quella che hanno i regolatori. Per esempio, le varie regolamentazioni antitrust e lo stesso obbligo legale citato sopra di imporre alle telcom proprietarie di una rete di affittarla ai concorrenti, esprimono questa particolare idea di concorrenza. L’unico problema è che questa particolare idea di concorrenza non è concorrenza.

La concorrenza non è infatti quella situazione particolare avente determinate caratteristiche, ma quel processo economico di scoperta dei prezzi di mercato che ha un’unica condizione necessaria e sufficiente (ed è una condizione che ha carattere generale, non particolare): il rispetto del principio di non aggressione. Come scrive Hayek, «La competizione è […], come la sperimentazione nella scienza, prima di tutto un processo di scoperta. Nessuna teoria che parte dall’assunzione che i fatti che devono essere scoperti sono già noti può rendergli giustizia. […] La vera questione è come possiamo creare le migliori condizioni perché la conoscenza, le capacità e le opportunità di acquisire conoscenza, le quali sono disperse fra centinaia di migliaia di persone, ma non sono date a nessuno nella loro interezza, siano utilizzate nel modo più ampio. La competizione deve essere vista come un processo in cui le persone acquisiscono e comunicano conoscenza; trattarla come se tutta questa conoscenza fosse già disponibile all’inizio a una qualunque persona è una cosa senza alcun senso. E parimenti non ha alcun senso giudicare i risultati concreti della competizione in base a qualche preconcetto sui risultati che essa ‘dovrebbe’ produrre» [Hayek F.A., 1998 [1979], Law, Legislation and Liberty (Routledge, London & New York), Vol. 3, p. 68].

Questo vuol dire:

  1. che, naturalmente, come abbiamo già visto, la situazione attuale delle telecom non è concorrenziale (le regolamentazioni e i vicoli a cui sono sottoposte sono una forma di aggressione legale, quindi della specie peggiore e maggiormente incompatibile col libero mercato);
  2. che l’azione delle varie autorità e regolamentazioni “antitrust” è anti-concorrenziale (in quanto aggressiva);
  3. che la concorrenza non è affatto incompatibile con l’esistenza di “accordi al ribasso” volontari del tipo di quello a cui tu ti riferisci (né col monopolio economico o naturale, tra l’altro): tali accordi infatti non sono il risultato di un’azione aggressiva. Tuttavia, la concorrenza (il rispetto del principio di non aggressione) tende a rendere questi eventuali “accordi al ribasso” fragili e di breve durata. L’obiettivo di questi accordi infatti sarebbe quello di ottenere prezzi più alti (e/o qualità più bassa) di quelli che sarebbero sostenibili senza questi accordi. Tuttavia, in una situazione di concorrenza, l’esistenza stessa di questi accordi creerebbe un’opportunità di profitto per qualcuno che volesse entrare nel mercato senza rispettare l’accordo (oppure che volesse rompere l’accordo). E di solito in un regime concorrenziale un’opportunità di profitto non può durare a lungo senza essere colta.

In conclusione, nessuno ha diritto a ricevere determinati beni e servizi a determinati prezzi. D’altro canto, tutti hanno diritto a non essere aggrediti (e questo è l’unico diritto che hanno). E maggiore è il rispetto del principio di non aggressione, migliori saranno, nel lungo periodo, a) le condizioni a cui potranno acquistare beni e servizi e b) i beni e servizi che potranno acquistare. Attraverso l’aggressione (p. es. la regolamentazione) lo stato può ridurre temporaneamente i prezzi di particolari beni e servizi ma non per sempre e non senza incidere sulla qualità e quantità dei beni e servizi presenti e soprattutto futuri.

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