Il prof. Sabino Cassese vs. Beppe Grillo: un confronto fra pari

GIOVANNI BIRINDELLI, 29.7.2018

In un recente articolo, il prof. Sabino Cassese ha risposto a Beppe Grillo, il «Garante del M5S», il quale da un lato sosteneva la democrazia diretta («si può fare un referendum ogni settimana direttamente da casa, sul proprio pc o smartphone, su tutti gli argomenti») e, dall’altro, che «la democrazia è comunque superata e va sostituita con qualcos’altro, magari un’estrazione casuale».

La risposta del prof. Cassese è articolata in quattro parti.

  1. Nella prima, il giurista sottolinea l’incoerenza del sostenere allo stesso tempo la democrazia diretta e il sorteggio: «Certo, non si può chiedere che un comico, improvvisato come ispiratore di un movimento politico, in una breve intervista, dimostri coerenza, decidendo se preferisce la democrazia diretta (referendaria) o il sorteggio».
  2. Nella seconda parte della sua risposta, Cassese sostiene che la democrazia «non consiste solo di partecipazione popolare»: infatti essa comporterebbe anche «il rispetto delle libertà dei cittadini e dell’indipendenza giudiziaria, controllo e bilanciamento dei poteri, informazione, conoscenza, discussione».
  3. Nella terza parte della sua risposta, egli ricorda che «le istituzioni democratiche debbono assicurare milioni di decisioni collettive di quella macchina complessa che è lo Stato (di gran lunga il più grande datore di lavoro, con più di tre milioni di addetti)»: una democrazia diretta a livello nazionale comporterebbe quindi, da un lato, troppe decisioni per la persona che nella vita non fa il politico di professione; e, dall’altro, lascerebbe «nelle mani di incontrollati decisori tutte le norme secondarie nazionali che le leggi comportano (decreti, regolamenti, direttive), nonché tutte le leggi e decisioni regionali e locali».
  4. Nella quarta e ultima parte, il prof. Cassese sottolinea che l’estrazione a sorte dei responsabili di decisioni collettive non garantirebbe la loro capacità professionale: «Ci farebbe piacere che il chirurgo che ci deve operare o il pilota dell’aereo sul quale ci imbarchiamo venissero sorteggiati, invece di aver superato degli esami?»

 

  1. Confronto fra pari e stasi intellettuale perpetua

Ora, sebbene i toni del prof. Cassese sottolineino una sua pretesa superiorità intellettuale rispetto al “comico, improvvisato come ispiratore di un movimento politico”, è facile (anche se lungo) dimostrare che, al di là dell’apparenza e della superficie, fra i due le differenze sul piano della struttura di pensiero sono di fatto inesistenti. Su questo piano (che è quello fondamentale per qualsiasi ragionamento che, direttamente o indirettamente, tocchi le scienze sociali), si tratta di un confronto fra pari. Poiché essi non sono in grado di vedere al di là del recinto della loro comune (e incoerente) struttura di pensiero, non si rendono conto di essere tali (pari): al contrario, ritengono di essere l’uno agli antipodi dell’altro.

Illustrare perché si tratta di un confronto fra pari può essere di qualche interesse: non in considerazione dei protagonisti di questo particolare confronto o dei suoi contenuti, ma del fatto che, avvenendo all’interno della stessa struttura di pensiero e, più in particolare, della stessa idea astratta di ‘legge’ che è logicamente incompatibile con la libertà, esso è rappresentativo di una stasi intellettuale perpetua che ha radici molto antiche e che fino a pochissimo tempo fa continuava a ostacolare qualsiasi progresso nella direzione della libertà. Esempi di questa stasi intellettuale sono i confronti fra fascisti e comunisti, fra repubblicani e monarchici, fra ‘destra’ e ‘sinistra’ e oggi, appunto, fra cosiddetti ‘populisti’ e ‘establishment’.

Nel 2009, grazie a bitcoin-blockchain, l’ostacolo costituito da questa stasi è stato finalmente superato: un processo sociale che muova nella direzione della libertà oggi non ha più bisogno di leader politici e “intellettuali” la cui struttura di pensiero sia compatibile con la libertà. Non ha più bisogno di un confronto fra strutture di pensiero diverse (almeno una delle quali compatibile con la libertà). Anzi, tale processo può oggi mettersi in moto in una situazione in cui l’unico confronto esistente è quello sterile fra persone che condividono la stessa struttura di pensiero ostile alla libertà (e con bitcoin questo processo, nell’importantissimo settore del denaro, si è già messo in moto).

 

  1. Libertà e democrazia si escludono a vicenda

Per comprendere perché si tratta di un confronto fra pari, può essere utile partire da una breve analisi della risposta di Cassese.

Nella prima parte del suo commento, in modo piuttosto sprezzante, egli sostiene che non ci si può aspettare coerenza negli argomenti da parte di un comico (affermazione, questa, che, oltre che evidentemente insensata, mi sembra offendere solo chi la fa). Tuttavia, nella seconda parte del suo commento, quando scrive che la democrazia «non consiste solo di partecipazione popolare» ma presuppone anche «il rispetto delle libertà dei cittadini» (cioè quando egli afferma che democrazia e libertà sono complementari e non, invece, alternative) egli si contraddice logicamente, quindi in modo oggettivo e indipendentemente verificabile da chiunque (comico o professore che sia) abbia la buona volontà di ragionare, cioè di pensare in modo razionale.

Il prof. Cassese riesce a nascondere questa contraddizione perché usa il termine “libertà” senza definirlo: ed è noto che, a differenza del termine “mela” per esempio, il termine “libertà” è molto ambiguo essendo di solito usato per indicare condizioni e situazioni non solo diverse ma opposte fra loro: «La libertà, insieme alla religione, è stato il motivo di buone azioni e pretesto comune del crimine»[1]; «Noi tutti dichiariamo di essere a favore della libertà: tuttavia, usando la stessa parola, non intendiamo dire la stessa cosa [ma spesso] cose non solo differenti ma incompatibili fra loro»[2]. A causa di questa ben nota ambiguità del termine, parlare di “libertà” senza far riferimento a cosa di preciso si intende con questa parola è di per sé un’espressione di disonestà intellettuale, spesso motivata dal fatto che le persone che parlano di libertà non hanno un’idea logicamente coerente su di essa.

In questo articolo assumo che la libertà sia quella condizione in cui la legge è il principio di non aggressione e in cui, di conseguenza, c’è uguaglianza davanti alla legge.

Una nota che può aiutare a comprendere questa definizione: tutti sono contrari a particolari forme di aggressione (anche i nazisti e i comunisti lo erano). Tuttavia, essere a favore del principio di non aggressione vuol dire ritenere illegittima qualsiasi forma di aggressione[3]: quali che ne siano gli autori, i benefici e i beneficiari, i danni e i danneggiati. Essere a favore del principio di non aggressione implica quindi essere a favore di un’idea astratta di uguaglianza davanti alla legge che renda impossibile che qualcuno (p. es. lo stato) possa compiere legalmente azioni che quando le compiono altri sono generalmente considerate dei crimini, anche dallo stato stesso (il tipico esempio è la tassazione). In altri termini, definire la libertà in termini di principio di non aggressione significa ragionare in termini scientifici, auto-limitarsi dalla logica e accettare serenamente il fatto che il rispetto di quel principio può produrre in diversi casi situazioni particolari che noi stessi potremmo trovare sgradevoli, allo stesso modo in cui rispettare la libertà di espressione richiede accettare commenti e toni (come quelli del prof. Cassese) che qualcuno può ritenere sgradevoli.

Naturalmente, questa definizione di libertà non è originale (ha radici in una grande tradizione di pensiero filosofico: il libertarismo); né penso qui di convincere qualcuno che sia quella “giusta”. Tuttavia, a differenza del prof. Cassese, in primo luogo rendo esplicito il significato che io attribuisco alla parola libertà e quindi dò a chi eventualmente si trovasse a leggere questo lungo e noioso articolo gli strumenti per valutare la coerenza logica del mio argomento.

In secondo luogo, dò una definizione di libertà che implica (ed è sorretta da) una struttura di pensiero. Questo vuol dire che chi volesse confutare questa idea di libertà, per essere preso seriamente, dovrebbe confutare logicamente (e quindi in modo astrattamente coerente) la complessa (ma non complicata) struttura di pensiero che la sorregge e sostituirla con un’altra: fra le due strutture, fino a prova contraria, sarà vera quella più solida, cioè quella più coerente dal punto di vista logico. L’altra andrà scartata come scientificamente falsa.

In assenza di questa confutazione, l’incoerenza del prof. Cassese quando sostiene che democrazia e libertà sono complementari risulta oggettiva. In qualsiasi sua forma, infatti, la democrazia implica decisioni collettive che hanno valore di ‘legge’. Le decisioni collettive, di per loro, non sono una violazione della libertà (il consiglio di amministrazione di una grande azienda, per esempio, funziona mediante decisioni collettive dei suoi componenti). Le decisioni collettive sono una violazione oggettiva della libertà solo quando hanno valore di ‘legge’. Quando esse sono ‘legge’, infatti, quest’ultima smette di essere il limite non arbitrario al potere coercitivo di alcuni su altri e diventa invece lo strumento di potere coercitivo arbitrario di alcuni su altri, quindi di aggressione. In altri termini, quando esse sono ‘legge’, le decisioni collettive implicano la sostituzione del principio di non aggressione (che in quanto tale è non arbitrario e quindi scientifico, come la legge di gravità: nel senso che esso è l’unica regola sociale compatibile con un’idea di uguaglianza davanti alla legge che escluda sistematicamente l’arbitrio) col comando arbitrario (in questo caso di una maggioranza su una minoranza).

Molte persone non riescono a concepire ordine sociale e prosperità sostenibile in assenza di decisioni collettive (p. es. democratiche) aventi valore di ‘legge’. Eppure, allo stesso tempo, esse riescono a fare la spesa al mercato senza prendere ordini da una maggioranza. Di più: intuiscono senza difficoltà il danno (non solo in termini di libertà ma anche in termini economici) che le decisioni collettive causerebbero loro in questo caso. Questo per me rimane un mistero, che riesco a risolvere solo ipotizzando la più completa incapacità di coerenza logica nel campo delle scienze sociali da parte della quasi totalità delle persone (colte o meno che siano).

 

  1. La società non è un aereo

Nella sezione precedente ho risposto alle prime tre parti dell’argomento del prof. Cassese. In particolare:

  1. ho sostenuto che, mentre accusa Beppe Grillo di incoerenza, è egli stesso incoerente;
  2. che, se al termine “libertà” si dà un significato coerente e quindi non arbitrario, libertà e democrazia sono logicamente incompatibili fra loro,
  3. questo perché le decisioni collettive che stanno alla base del processo democratico e che giustificano l’esistenza di «quella complessa macchina [coercitiva, n.d.r.] che è lo Stato» sono necessariamente una forma di aggressione di una maggioranza nei confronti di una minoranza: esse sono incompatibili con la libertà coerentemente intesa, e quindi con la prosperità sostenibile.

La quarta e ultima parte dell’argomento del prof. Cassese, quella in cui l’accademico critica il sorteggio al posto delle elezioni («Ci farebbe piacere che il pilota dell’aereo sul quale ci imbarchiamo venisse sorteggiato, invece di aver superato degli esami?») esprime il suo errore di fondo: quello che lo ha portato all’incoerente difesa del totalitarismo democratico che ha fatto nelle prime tre parti del suo argomento. Naturalmente, l’errore di fondo non è la critica del sorteggio al posto delle elezioni ma la confusione fra una macchina (o un’organizzazione) e una società: in termini tecnici, fra un ordine sociale positivo e un ordine sociale spontaneo. Questo è l’errore di fondo che fanno tutti i collettivisti: dai nazisti ai comunisti, dai social democratici ai ‘populisti’. Evitare questo errore è la prima condizione necessaria perché un qualsiasi argomento politico o economico non sia privo di senso.

Un ordine positivo (p. es. un’organizzazione, un volo da Roma a Londra, un concerto, ecc.) ha alcune particolari caratteristiche, fra cui:

  1. gerarchia unitaria di fini: p. es., le persone che si imbarcano a Roma su un volo per Londra, hanno tutte, in relazione alla loro condizione di passeggeri o membri dell’equipaggio, lo stesso scopo: quello di arrivare a Londra;
  2. richiede l’uso di conoscenza centralizzata e quindi una “catena di comando” (che questo comando sia di una maggioranza o di un singolo individuo è del tutto irrilevante). Per esempio, per pilotare l’aereo da Roma a Londra serve la conoscenza che si acquisisce nel corso piloti. Questa conoscenza la ha solo il comandante; non la hanno i passeggeri (a meno che non siano piloti ma, anche in questo caso, non è la loro conoscenza ed esperienza che porta l’aereo da Roma a Londra ma quella del comandante dell’aereo);
  3. c’è libertà nonostante i comandi arbitrari. Per esempio, durante il volo, i passeggeri sono soggetti agli ordini del comandante. Tuttavia, nei limiti in cui essi hanno scelto volontariamente di salire a bordo, essi hanno anche scelto, per la durata del volo, di sottostare a questi ordini, quindi la loro libertà non è compromessa.

Ora, una società (libera) non è un aereo: essa non è un ordine positivo ma un ordine spontaneo:

  1. in essa non c’è gerarchia unitaria di fini: ogni persona ha i suoi fini individuali, i suoi interessi particolari, le sue priorità, le sue preferenze; e solo i singoli individui possono sapere quali sono, in ogni momento, questi fini, interessi, priorità, preferenze, ecc.
  2. a differenza dell’arrivo sani e salvi all’aeroporto di Londra (che dipende dalla conoscenza e dall’esperienza del comandante), la libertà e la prosperità di una società dipendono dall’uso di una conoscenza (quella relativa ai fini individuali, interessi, priorità e preferenze di cui sopra) che non è disponibile ad alcuna “autorità centrale” o “classe dirigente” ma che, al contrario, è dispersa capillarmente fra le singole persone e che cambia in ogni momento[4]. Trattare la società come se fosse l’insieme dei passeggeri di un aereo (con chi controlla la macchina coercitiva statale come se fosse il comandante) implica quindi giustificare sistematicamente l’uso della conoscenza sbagliata (quella centralizzata invece che quella dispersa capillarmente); per motivi che qui non abbiamo lo spazio di spiegare[5], questo uso di conoscenza sbagliata porta sempre, necessariamente, a crisi economiche;
  3. a differenza di quanto avviene in un aereo, in una società l’esistenza di comandi e di ordini (p. es. di una maggioranza a una minoranza) aventi valore di ‘legge’ violano la libertà. Infatti, in una società libera, l’unica legge che logicamente può esistere (l’unica che come abbiamo visto è logicamente compatibile col principio di uguaglianza davanti alla legge e che quindi non è arbitraria) è il principio di non aggressione: una regola che nessuno ha fatto e che nessuno può disfare. E la sostituzione di questo principio con dei comandi arbitrari è la condizione necessaria e sufficiente per la tirannia (democratica o meno non importa).

Molte persone, fra cui evidentemente il prof. Cassese, non sembrano capaci di concepire un ordine spontaneo: risultato delle azioni delle persone ma non della loro pianificazione. Per queste persone, una società senza comandi (p. es. senza decisioni collettive aventi valore di ‘leggi’) porta necessariamente al caos. Tuttavia, la semplice logica (prima ancora che l’esperienza) conferma l’esatto inverso: solo quando le persone possono usare liberamente le loro risorse e capacità per i loro fini individuali (stabiliti in base a preferenze e priorità che solo loro conoscono in ogni istante), senza interferenze da parte di maggioranze o dittatori, può esserci una società non solo libera ma anche prospera.

 

Conclusioni

Leggendo la risposta del prof. Cassese a Beppe Grillo qualcuno potrebbe avere l’impressione che i due siano su piani diversi e su fronti diversi: il colto e celebre accademico, giudice emerito della Corte Costituzionale, rappresentativo dell’establishment contro il comico populista e ignorante. In realtà, si tratta di uno scontro fra persone che condividono la stessa struttura di pensiero: entrambi ostili alla libertà; entrambi favorevoli alle decisioni collettive aventi valore di ‘legge’; entrambi incapaci di concepire un ordine spontaneo; entrambi sostenitori della ‘legge’ intesa come strumento di potere coercitivo arbitrario di una maggioranza su una minoranza; entrambi incoerenti e contraddittori in merito all’arbitrio del potere. Da un lato, entrambi lo vorrebbero contrastare mentre, dall’altro, lo rinforzano: il primo confondendo l’assenza di arbitrio col processo democratico e con il “bilanciamento e controllo dei poteri” (concetto questo di per sé assurdo dove la ‘legge’ è lo strumento di potere coercitivo arbitrario di alcuni su altri); il secondo confondendo l’assenza di arbitrio con l’estrazione a sorte (come se le decisioni di persone estratte a sorte potessero essere meno arbitrarie di quelle di persone elette democraticamente o che hanno ereditato il potere politico oppure che lo hanno conquistato con la forza).

Se non ci fosse bitcoin, se la libertà oggi richiedesse (come faceva ieri) la diffusione di idee compatibili con essa, ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli. Per fortuna, oggi c’è bitcoin. La libertà ha cominciato la sua rivincita. E a questa rivincita stanno già partecipando (e vi parteciperanno sempre di più) i suoi nemici, il più delle volte inconsapevolmente. Quale migliore ragione di essere ottimisti.

 

NOTE

[1] Acton, J. E. E. D., 1985 [1877], Essays in the History of Liberty (Liberty Fund, Indianapolis IN), p. 5.

[2] Lincoln A., (1953) [1864], The Collected Works of Abraham Lincoln, ed. Roy P. Basler (Rutgers University Press), vol. 7, pp. 301–2.

[3] Cioè di coercizione primaria: non di risposta a coercizione di altri.

[4] Si veda Hayek F.A., “The Use of Knowledge in Society”, American Economic Review, XXXV, No. 4, Sett. 1945, pp. 519–30

[5] Un mio tentativo di spiegazione sintetica si trova per esempio in questo articolo: https://catallaxyinstitute.wordpress.com/2016/12/17/indipendenza-denaro-e-credito/

 

 

2 thoughts on “Il prof. Sabino Cassese vs. Beppe Grillo: un confronto fra pari

  1. Giuseppe Manildo July 31, 2018 / 2:32 pm

    Egregio Giovanni Birindelli,

    è da qualche mese che seguo con grande interesse i tuoi post su Catallaxy. Da profano, condivido i toni appassionati con cui illustri le prospettive che si aprono con Bitcoin e la blockchain. Noto con piacere l’insistenza con cui ribadisci ad ogni post sempre gli stessi punti fondamentali: il principio di non aggressione come espressione della legge e l’idea di un ordine sociale spontaneo come espressione di una conoscenza collettiva inarrivabile per qualsiasi individuo per quanto ‘esperto’. Tale “monotonia” mi pare indice di genuino entusiasmo, tipico di chi sente di aver trovato la prospettiva giusta con cui vedere finalmente ogni cosa nella sua verità.
    Ho tuttavia un sacco di obiezioni da fare, derivanti palesemente da una prospettiva teorica presuntivamente altrettanto astratta della tua, ma – credo – radicalmente incompatibile con essa. E la radice di tale incompatibilità è forse rinvenibile attorno al principio di non aggressione.

    Come ribadisci nell’ultimo post, secondo te la libertà è “quella condizione in cui la legge è il principio di non aggressione e in cui, di conseguenza, c’è uguaglianza davanti alla legge”. Ciò che un pensiero dialettico scorge subito è che, se l’aggressione è quell’atto intenzionale con cui si impone la propria volontà su quella di un altro, la non aggressione, impedendo intenzionalmente la realizzazione della volontà aggressiva, è aggressione dell’aggressione. Perché questa aggressione di secondo livello non si contraddica autodelegittimandosi, bisognerebbe dimostrare che la prima aggressione non sia a sua volta un’aggressione reattiva, sia cioè davvero originaria, rivolta contro qualcosa di altrettanto originariamente non aggressivo. Occorrerebbe allora dimostrare che sono possibili azioni non aggressive, tali che se si esercita coercizione su di esse, si commetterebbe un’aggressione originaria. Ma il punto è che, se tralasciamo ogni comportamento inintenzionale, ed ogni elemento inintenzionale comunque presente nelle nostre azioni, restano solo le azioni libere, ossia le azioni in cui si realizza la proprietà privata di sé stessi (e a cascata la proprietà privata del proprio pensiero, del proprio corpo, del proprio lavoro e di ciò che viene valorizzato dal proprio lavoro). La libertà, ossia la proprietà privata, non è un dato originario, ma un evento che si misura nel differire dalla condizione precedente, ossia nel rifiutare la sua ripetizione e condannarla alla distruzione. E se attribuiamo tale evento ad un soggetto capace di azione, a lui va anche accollata la responsabilità della distruzione della condizione precedente, con nessuna legittimazione se non quella della maggior forza coercitiva.

    In concreto, ogni volta che realizzo la mia libertà, aggredisco 1. quella struttura ontologica (la mia essenza) cui prima obbedivo nella coazione a ripetere che costituisce la mia identità: sono creativo, ma a spese di ciò che ero; 2. quella complessa struttura relazionale (ruoli e status), costituita da aspettative sociali, di cui fino a prima ero parte integrante e cui davo il mio contributo, consolidandola con ogni mia azione conforme.
    Se lasciamo da parte l’autoaggressione, è chiaro che con la libertà è la società ad essere aggredita e non c’è da meravigliarsi se poi essa reagisce aggressivamente. Fino a non molto tempo fa, anche da noi, il figlio che se ne andava di casa, aggrediva la sua famiglia, sottraendole un corpo e la relativa capacità di lavoro, cose che non erano del figlio, ma della famiglia. In epoca moderna, Copernico e Giordano Bruno aggredivano la cultura scientifica e religiosa del loro tempo, patrimonio di convinzioni condivise che fungevano da mezzo di comunicazione (e gli inquisitori presentivano potentemente gli sconvolgimenti che tali idee avrebbero prodotto). In ogni tempo, chi si appropria di una qualsiasi quantità di beni, ne aumenta proporzionalmente la scarsità per gli altri, aggredendoli nelle loro routine produttive e distributive, e costringendoli a lavorare di più. Oggi, chi utilizza Bitcoin – “forcando” la moneta a corso legale – si sottrae al circuito di conferme reciproche su cui si fonda il valore del denaro legale, lo svaluta, lo aggredisce e con esso aggredisce tutti coloro che su tale mezzo di comunicazione fondano le loro interazioni quotidiane.

    Che la diffusione moderna degli ideali di libertà ed uguaglianza siano alla base di tante cose materiale e spirituali che oggi consideriamo irrinunciabili, è incontestabile. Ma ciò non deve impedirci di riconoscere il peccato originale della libertà, anzitutto per tutelarla contro sé stessa. E la tutela non è certo la Legge intesa fideisticamente (con quell’assolutezza quasi-teologica che le attribuisci), ma un mix – di volta in volta da decidere politicamente – tra Legge e legge-fiat, tra kosmos e taxis, per quanto ciò possa esporci al rischio totalitario.

    Con stima
    Giuseppe Manildo

    • Catallaxy July 31, 2018 / 4:35 pm

      Grazie per il commento.

      L’insistenza con cui ribadisco ad ogni post sempre gli stessi punti fondamentali (o “di partenza”) non è dovuta all’entusiasmo, ma a rendere accessibile il discorso a un eventuale nuovo lettore che non avesse familiarità col paradigma della libertà (opposto e incompatibile con quello positivista).

      Sicuramente abbiamo idee di libertà opposte e confesso di non riuscire a trovare il senso logico della sua. Tuttavia rispetto il suo punto di vista e apprezzo il confronto fra idee diverse.

      In breve, a mio avviso lei fa confusione sul concetto di aggressione e usa lo stesso termine per due tipi di azione completamente diversi fra loro. Essendo infatti, come ho ricordato nell’articolo, l’aggressione una forma di coercizione primaria (non di risposta), l’“aggressione dell’aggressione” a cui lei si riferisce non è logicamente possibile.

      Per dimostrarle il fatto che lei usa lo stesso termine “aggressione” per due cose completamente diverse, parto da un esempio semplice.

      Supponiamo (situazione 1) che in un piccolo paesino dove fino a ieri esisteva una sola parrucchiera (A), una nuova parrucchiera più brava ed efficiente (B) apra un negozio con qualità migliore e prezzi più bassi. “A” risulterà sicuramente danneggiata economicamente (al punto che, per non morire di fame, dovrà migliorare la sua qualità abbassando i prezzi oppure reinventarsi un altro lavoro). Questo tuttavia non vuole affatto dire che “B” abbia aggredito “A” in quanto non ha esercitato alcuna coercizione su di lei. Quindi non l’ha aggredita. Sicuramente l’ha danneggiata (e potrebbe averlo fatto anche intenzionalmente). Tuttavia, dato che lo ha fatto senza violare coercitivamente il diritto di proprietà di “A”, non la ha aggredita: aggressione e danno provocato da un’azione non aggressiva e rispettosa dei legittimi diritti di proprietà sono due cose che nulla hanno a che vedere l’una con l’altra e che lei etichetta con lo stesso termine (“aggressione”).

      Lei scrive: “chi utilizza Bitcoin – “forcando” la moneta a corso legale – si sottrae al circuito di conferme reciproche su cui si fonda il valore del denaro legale, lo svaluta, lo aggredisce e con esso aggredisce tutti coloro che su tale mezzo di comunicazione fondano le loro interazioni quotidiane”.

      Ora, il valore del denaro fiat a corso legale non si fonda su “un circuito di conferme reciproche” ma sull’obbligo imposto con la forza alle persone di usarlo ed accettarlo, quindi sull’aggressione.

      A parte questo, il suo esempio sottolinea il suo errore concettuale in modo ancora più forte.

      Riprendendo l’esempio precedente delle parrucchiere, supponiamo adesso (situazione 2) che “A” minacci di sparare a chiunque provi ad aprire un negozio di parrucchiere in quel paesino (e quindi “B” che vorrebbe fare proprio quello). In questo caso, “A” sta aggredendo “B” (coercizione primaria). “B” quindi ha il diritto di rispondere coercitivamente nei confronti di “A”, rendendola inoffensiva (per esempio sparandole un proiettile in testa). Sebbene la reazione di “B” sia coercitiva (violenta), essa tuttavia non è aggressiva in quanto non si tratta di coercizione/violenza primaria ma di coercizione/violenza di risposta a una coercizione/violenza primaria.

      Questa tuttavia non è ancora la situazione di bitcoin. La situazione di bitcoin è ancora più “pacifica”. Per rappresentarla col solito esempio, supponiamo adesso (situazione 3) che, sebbene “A” minacci di sparare a “B” se questa apre un negozio di parrucchiera nel suo stesso paesino, “B”, invece che sparare in testa ad “A” (cosa che come abbiamo visto sarebbe legittimata a fare), si inventi un modo non coercitivo/non violento per resistere all’aggressione di “A” (immaginiamoci una sorta di “scudo magico”, del tipo di quelli che si vedono nei film di fantascienza). In questo caso, pur avendo il diritto (in base al principio di non aggressione) di risolvere il problema per via coercitiva/violenta, “B” lo risolve per via pacifica al punto che “A” può perfino continuare a lavorare nel suo negozio di parrucchiera (che tuttavia probabilmente avrà sempre meno clienti).

      Quindi lei a mio avviso sbaglia tre volte:

      1) nella sua analisi del valore in relazione al denaro fiat di stato;
      2) nella sua idea di aggressione: chiama con lo stesso termine due azioni completamente diverse;
      3) nella sua analisi di bitcoin.

      Nel suo commento sembra che lei sia ostile alla libertà perché la libertà implica cambiamento e danneggia chi non si adegua a esso. Il cambiamento è inevitabile: la libertà è l’unico modo perché esso non abbia implicazioni cruente e per sfruttarne il miglior potenziale.

      Credo che rimarremo di idee opposte. In ogni caso grazie ancora della sua riflessione e un saluto.

      GB

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