Il “nuovo sistema fiscale internazionale”

GIOVANNI BIRINDELLI, 23.2.2020

 

A Cino

 

In una lettera aperta, i ministri dell’economia e/o delle finanze di alcuni fra gli stati più interventisti dell’UE (Francia, Germania, Italia -come ti sbagli- e Spagna) propongono un “nuovo sistema fiscale internazionale” disegnato per tassare “in modo adeguato” i “colossi tecnologici”.

Prima di entrare nel dettaglio di quella che per adesso è solo una proposta allo studio dell’OCSE, a scanzo di equivolci è sempre utile fare un rapido cenno al fatto che l’imposizione fiscale di per sé viola il principio di non aggressione. Questa è l’unica regola di giusto comportamento (cioè l’unica regola di comportamento la cui violazione giustifica il ricorso alla coercizione) che è logicamente compatibile col principio di uguaglianza davanti alla legge. In questo senso, è l’unica regola di giusto comportamento (o legge) che ha valore scientifico: non arbitraria, oggettivamente vera, indipendentemente verificabile da parte di chiunque mediate il ricorso alla logica. In altre parole, per evitare fraintendimenti è sempre bene ricordare che l’imposizione fiscale in quanto tale (che è una forma di aggressione e che è un privilegio statale), anche se legale, è oggettivamente, scientificamente un crimine. In particolare, un’estorsione aggravata[1].

Premesso questo, la proposta in oggetto è pensata per “correggere due gravi debolezze di cui soffre la tassazione[2] a livello internazionale”.

1. La prima di queste due “gravi debolezze” sarebbe che “Gli utili dei colossi tecnologici, siano questi americani, europei o cinesi, non sono tassati in modo adeguato. Queste società realizzano profitti considerevoli in luoghi dove hanno una presenza fisica limitata, ma nei quali sfruttano i dati di milioni di utenti. Le società più profittevoli spesso sono quelle che pagano le imposte più basse. Di conseguenza, non contribuiscono in maniera equa al finanziamento delle nostre comunità. […] Il[nuovo] sistema internazionale di tassazione digitale ci permetterebbe di affrontare questo problema, stabilendo un prelievo giusto e stabile, «tagliato su misura» per i nuovi modelli di economia digitale. Inoltre darebbe alle imprese che operano nel settore digitale maggiore certezza del diritto”.

Già in queste poche righe ci sono talmente tante enormità che conviene raggrupparle in categorie:

a)    concetti puramente arbitrari,

b)    assurdità/inversioni logiche,

c)    volute ambiguità,

d)    effettivi salti di qualità del totalitarismo democratico.

Le prime tre categorie raccolgono il solito armamentario propagandistico statalista. Niente di nuovo. Ma è sempre bene, ogni volta, smascherarlo, per non abituarsi a esso. La parte effettivamente nuova, e di peso, è contenuta nella quarta categoria. Ma andiamo con ordine:

a)    Concetti puramente arbitrari: tassare “in modo adeguato”; contribuzione “equa”; prelievo fiscale “giusto”. Le ragioni per cui questi sono concetti puramente arbitrari sono talmente ovvie che non richiedono una particolare discussione. Oltre a essere concetti puramente arbitrari, questi sono anche concetti assurdi o inversioni logiche e quindi ricadono anche nella seconda categoria.

b)    Assurdità/inversioni logiche:

i)     “Tassare in modo adeguato”: ogni imposta è una distorsione del processo di libero scambio, quindi non può essere “adeguata” ad alcun obiettivo economico che non sia distruttivo. Dato che, in base alla natura soggettiva del valore economico, lo scambio volontario è l’unico modo in cui può essere creato valore, le imposte, ostacolando il libero scambio, sono sempre e solo una distruzione di ricchezza. In altri termini, una “tassazione adeguata” è logicamente impossibile.

ii)    “Contribuzione equa” è un concetto assurdo in primo luogo perché se qualcuno più forte di me mi estorce del denaro con la minaccia della violenza, il mio dargli il denaro che chiede non è “contribuire”. “Contribuire” è un atto volontario. In secondo luogo, il concetto di “contribuzione equa” è logicamente assurdo in quanto l’unica forma di “equità” umanamente ottenibile e compatibile con la legge è l’uguaglianza davanti a quest’ultima, che ogni imposizione fiscale, e in particolare quella proposta, necessariamente viola (vedi oltre “d. effettivi salti di qualità del totalitarismo democratico”).

iii)  Data la premessa a questo articolo, “prelievo fiscale giusto” è una contraddizione logica, come lo sarebbe “acqua asciutta”.

c)    Volute ambiguità. Il termine “certezza del diritto” può voler dire due cose fondamentalmente diverse.
Da un lato, può voler dire precisione di quanto arbitrariamente stabilito dall’autorità. In altri termini, c’è “certezza del diritto” se i comandi arbitrari dell’autorità (le sue “leggi” positive) sono sufficientemente precisi e dettagliati da non lasciare lacune o spazio per diverse interpretazioni. Da ora in avanti, per semplicità, chiamerò questa “certezza del diritto arbitraria”.
Dall’altro lato, il termine “certezza del diritto” può voler dire impossibilità che il “diritto” cambi arbitrariamente dall’oggi al domani. Da ora in avanti, per semplicità, chiamerò questa “certezza del diritto scientifica”.
Questi due concetti sono non solo diversi ma incompatibili fra loro: se c’è “certezza” in un senso, allora non ci può essere nell’altro.
La diversità di questi due significati del termine “certezza del diritto” dipende dalla diversità (e anzi dall’antitesi) dei significati che, in ultima istanza, si possono dare al concetto di “diritto”.
Se per “diritto” si intende il comando arbitrario di un’autorità (p. es. democratica), cioè la “legge” positiva (lo strumento di potere coercitivo arbitrario di alcuni su altri), allora il “diritto” può essere “certo” nel senso arbitrario, ma non può essere “certo” nel senso scientifico. Gli ordini di Hitler, per esempio, di solito erano “certi” in senso arbitrario e quindi estremamente “incerti” in senso scientifico.
Viceversa, se per “diritto” si intende la Legge scientifica, cioè il limite non arbitrario al potere coercitivo di chiunque su chiunque altro (il principio di non aggressione), allora il diritto è sempre e necessariamente “certo” nel senso scientifico. Infatti la Legge, essendo scientifica (derivando dalla logica), non dipende dalla volontà o dalla visione del mondo di alcuno (di quello che qualche parassita ritiene essere “giusto”, “adeguato”, ecc.) e quindi non può essere fatta, né disfatta, tanto meno dall’oggi al domani.
Premesso questo, l’affermazione secondo cui la riforma proposta contribuisce alla “certezza del diritto” è volutamente ambigua: non spiega a quale dei due concetti fondamentalmente diversi (e incompatibili fra loro) di “certezza del diritto” si fa riferimento. Questa ambiguità è probabilmente voluta in quanto esplicitare il fatto che una “legge” è certa in senso arbitrario, e quindi necessariamente “incerta” in senso scientifico, metterebbe a nudo uno dei tanti punti deboli della “legge” positiva (su cui poggia lo stato moderno) rispetto alla legge scientifica (su cui poggia la società libera).

d)    Effettivi salti di qualità del totalitarismo democratico: l’aspetto sicuramente più significativo di questo aspetto della proposta è tuttavia il passaggio, in ambito fiscale, da una disuguaglianza legale quantitativa a una qualitativa. Per capire questo punto è necessario avere chiara la fondamentale antitesi fra uguaglianza davanti alla legge e disuguaglianza legale: per chi non avesse chiara questa differenza, la richiamo in nota[3].  In breve, mentre da un lato l’uguaglianza davanti alla legge prevede che le stesse regole valgano per tutti allo stesso modo (nessuno escluso, e soprattutto stato non escluso), la disuguaglianza legale prevede, da una parte, i privilegi statali (e quindi il potere assoluto e illimitato dello stato di imporre regole puramente arbitrarie che chiama “leggi”) e, dall’altra, che soggetti che lo stato ha incluso nella medesima categoria siano trattati allo stesso modo mentre soggetti che lo stato ha incluso in categorie diverse siano trattati in modo diverso.
Ora, il problema (per gli stati in generale, e in particolare per quelli che fanno parte di quella discarica politica a cielo aperto che è l’UE in particolare) è che, a causa della decentralizzazione prodotta dalla tecnologia informatica, le categorie attuali non consentono ai governi di estorcere abbastanza denaro ai “colossi tecnologici” che grazie a questa decentralizzazione riescono a minimizzare in modo significativo la rapina fiscale. Quindi, con questa proposta, quattro ministri dell’economia e/o delle finanze suggeriscono di cambiare queste categorie della disuguaglianza legale. La novità significativa insita nella proposta è che queste categorie non vengono cambiate in termini quantitativi (come purtroppo siamo stati abituati a vedere): per esempio con la progressività fiscale (vedi nota 3) come avviene nel caso dei redditi individuali (ma anche di quelli di impresa se si considerano le “soglie” di esenzione o di agevolazione fiscale). Queste categorie ora vogliono essere cambiate in termini qualitativi (“un sistema fiscale «tagliato su misura» per i nuovi modelli di economia digitale”). Secondo la proposta, imprese di un tipo sarebbero soggette a una particolare forma di imposizione fiscale, mentre imprese di un altro tipo sarebbero soggette a una forma di imposizione fiscale diversa. Questa è una forma di disuguaglianza legale che non solo sul piano logico è identica (come ogni disuguaglianza legale, anche quantitativa) alle “leggi” razziali (in cui soggetti di un tipo venivano trattati in un modo e soggetti di un altro tipo venivano trattati in un altro modo), ma lo è anche esteriormente e perfino esteticamente. Ora, questo a me sembra un salto di qualità notevole; ripeto: non dal punto di vista scientifico (rispetto al quale la distinzione fra disuguaglianza legale quantitativa e qualitativa è irrilevante), ma dal punto di vista mediatico e di propaganda. Evidentemente, il potere politico deve aver fatto i suoi calcoli e ritenere (secondo me a ragione) che le persone siano ormai intellettualmente talmente inerti in relazione a tutto quello che riguarda la libertà da poter digerire anche misure che, sul piano del principio di uguaglianza davanti alla legge, sono non solo identiche alle “leggi” razziali che esse ripudiano ma anche (e questa è la novità) evidentemente tali, anche a chi non ha familiarità con la scienza della libertà. In altre parole, questo mi sembra un segno che il potere politico democratico ritiene che i tempi siano ormai maturi per smettere di nascondere la sua natura totalitaria.

2. La seconda “grave debolezza” del sistema fiscale internazionale che la proposta vorrebbe correggere è la seguente: “L’attuale sistema consente il dumping fiscale e distorce la concorrenza. Alcune delle imprese più grandi del mondo continuano a spostare gli utili realizzati in uno Stato verso altri Paesi dove il livello di tassazione è inferiore. I nostri concittadini giustamente considerano inaccettabile questa pianificazione fiscale così aggressiva, che compromette il principio di tassazione equa, pietra angolare delle nostre democrazie”.

Anche qui è necessario raggruppare le balle per categorie, perché sono troppe:

a)    concetti puramente arbitrari,

b)    assurdità/inversioni logiche,

c)    falsi fattuali,

d)    affermazioni religiose.

Nell’ordine:

a)    Concetti puramente arbitrari: “tassazione equa”. Non c’è bisogno di ripetere quanto detto sopra a proposito.

b)    Assurdità/inversioni logiche:

i)     “L’attuale sistema consente il dumping fiscale e distorce la concorrenza”: La concorrenza diventa distorsione della concorrenza. A diventa non-A. In altre parole: noi parassiti non prendiamo nemmeno in considerazione l’ipotesi che i nostri stati possano essere in concorrenza fra di loro. Quindi aboliamo quel poco che resta della concorrenza istituzionale, e lo facciamo in nome della concorrenza.

ii)    “Inaccettabilità della pianificazione fiscale aggressiva da parte delle imprese”: in queste poche parole ci sono un’inversione logica e un’assurdità:

·      L’inversione logica: l’aggressione è una violazione iniziale della proprietà privata mediante violenza fisica, inganno, inottemperanza a obblighi contrattuali, non risarcimento del danno colposo, ecc. “Iniziale” significa  che non è in risposta a una violazione precedente dello stesso tipo. Naturalmente, non solo non c’è niente di aggressivo nella pianificazione fiscale delle imprese. Al contrario, questa è un modo di difendersi (in modo non violento per di più: il classico grasso che cola) da un’aggressione statale.

·      L’assurdità: la pianificazione da parte delle imprese e la pianificazione statale sono logicamente in rapporto inverso: come scrisse Hayek, se non ricordo male, tanto più lo stato pianifica (e quindi aggredisce), tanto meno le imprese sono in grado di pianificare, e quindi di creare valore (di nuovo: a differenza della pianificazione statale, che è sempre aggressiva, la pianificazione da parte delle imprese non è mai aggressiva se avviene nel rispetto del principio di non aggressione; al contrario, è necessaria per il successo dell’impresa). Ritenere “inaccettabile” la pianificazione da parte delle imprese vuol dire ritenere inaccettabile la creazione di valore economico. Il che ovviamente è assurdo.

c)    Falsi fattuali: “I nostri concittadini giustamente considerano inaccettabile questa pianificazione fiscale così aggressiva”. A me nessuno ha mai chiesto se considero accettabile o meno questa pianificazione fiscale da parte delle imprese. La mia risposta è che la considero accettabile, anche se non sufficientemente efficace dato che la tecnologia oggi a disposizione consente di evitare ancora di più l’imposizione fiscale da parte degli stati.

d)    Affermazioni religiose: “la pianificazione fiscale da parte delle imprese compromette il principio di tassazione equa, pietra angolare delle nostre democrazie”. Qui la democrazia viene considerata alla stregua di una divinità, senza spiegare in cosa, sul piano dell’idea astratta di legge (e quindi della libertà), essa si differenzia da una dittatura.

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Chicca finale: “La posta in gioco è alta: miliardi di euro di entrate fiscali da destinare alla costruzione di scuole, ospedali e infrastrutture moderne“. Naturalmente non menzionano il salvataggio di Alitalia, quello di MPS, il reddito di cittadinanza, i sussidi ai giornali, ecc. Questa è una tecnica vecchia ma sempre verde dei fan dello stato massimo (che sono tali per interesse parassitario, per stupidità o per mancato incontro con la scienza della libertà): giustificare lo stato massimo sulla base delle funzioni di uno stato minimo che (purtroppo) sarebbe andato bene anche a Hayek.

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Dopo aver discusso nel dettaglio alcune delle balle contenute nella lettera dei quattro ministri, un paio di considerazioni generali:

 

A. Stiamo assistendo a una trasformazione della simbiosi stato-banche.

Lo stato moderno e il sistema bancario sono stati uniti da un rapporto sempre più simbiotico, tanto da essere diventate due facce della stessa medaglia. Lo stato ha concesso alle banche alcuni fondamentali privilegi (primi fra tutti la riserva frazionaria, il denaro fiat di stato a corso legale e il sistema bancario a banca centrale) mediante i quali esse potevano espandere artificialmente il denaro e il credito scaricando sulle “persone normali” (non titolari di privilegi legali) il costo economico di tale espansione. In cambio, le banche (sia commerciali che centrali) si sono impegnate a usare buona parte del denaro creato dal nulla mediante tale espansione artificiale per l’acquisto di una parte rilevante dei titoli del debito pubblico[4]. Oggi, senza i privilegi loro concessi dallo stato le banche crollerebbero nel tempo di uno starnuto. Viceversa, senza gli acquisti di debito pubblico da parte del sistema bancario, lo stato collasserebbe nello spazio dello stesso starnuto. Lo stato e le banche non possono vivere uno senza l’altro.
L’attività bancaria, tuttavia, sta attraversando una profonda trasformazione a causa di due fattori dirompenti, fra loro collegati: da una parte, la decentralizzazione consentita dalla tecnologia, in particolare informatica e digitale; dall’altra, il fatto che questa decentralizzazione ha prodotto una nuova forma di denaro: i dati, in particolare quelli delle persone. Di questi dati ha bisogno lo stato per la sua sorveglianza e hanno bisogno le nuove banche (i “colossi tecnologici”: pensiamo alla Apple Pay e presto a Facebook) per monetizzare i loro network. Le vecchie banche sono ormai una sorta di dinosauri: si stanno estinguendo. La simbiosi stato-banche ha quindi bisogno di essere ridefinita, di aggiornarsi alla nuova situazione. La proposta di riforma del sistema fiscale internazionale “tagliata su misura” dei “colossi tecnologici” fa parte della ridefinizione di questa simbiosi, che a lungo termine potrebbe far comodo a entrambi (cioè agli stati da una parte e alle nuove banche, o ad alcune di esse, dall’altra). Non a caso i ministri firmatari della lettera menzionano il “sostegno espresso da alcune importanti società del comparto per una soluzione internazionale sviluppata in ambito Ocse“.

 

B. La via di uscita individuale alla simbiosi

A questa simbiosi stato-banche (sia a quella vecchia che a quella nuova che si sta definendo) oggi esiste tuttavia una via di uscita individuale, parallela e selettiva: bitcoin.

In teoria, bitcoin consentirebbe anche alle nuove banche, e più in generale ai “colossi tecnologici” di difendersi dall’aggressione statale. Tuttavia, a causa di questa simbiosi, esse non lo hanno mai fatto e continueranno a non farlo.

Bitcoin non è la sola tecnologia che offre questa via di uscita individuale alla nuova simbiosi stato-banche. Nel campo della privacy, per esempio, diverse tecnologie indipendenti offrono una via di uscita alternativa (e in più gratuita) a questa simbiosi. Basti pensare al sistema operativo Tails, per esempio.

Forse il potere politico non è mai stato così illimitato come lo è oggi. È vero che durante il nazismo c’erano i campi di concentramento. Tuttavia (e a parte il fatto che oggi abbiamo le extraordinary renditions, Assange in prigione, Snowden in esilio, Ulbricht in prigione per due vite più 40 anni), mentre la natura totalitaria degli stati è la stessa (nel senso che si basano sulla stessa idea totalitaria di legge: il positivismo giuridico) le capacità tecnologiche e l’accesso ai dati che gli stati hanno oggi non erano nemmeno immaginabili durante il nazismo.

Ma, a differenza di quanto avveniva durante il nazismo, oggi c’è l’inizio di una via di uscita alternativa e individuale, perfettamente coerente con la scienza della libertà. Una via di uscita non senza rischi e senza passaggi da migliorare. Ma reale e concreta. Una via di uscita che sta avendo successo grazie alla combinazione di alcuni fattori fra i quali: decentralizzazione, trustlessness, resistenza alla censura e coerenza scientifica. E che sta indicando questi fattori come elementi di potenziali strategie di successo anche in altri campi, incluso quello della legislazione.

Ah, dimenticavo: meraviglioso il timing della proposta. A ridosso della Brexit (che è un piccolo passo avanti, ma contraddittorio e che non affronta la struttura del problema). Come se le sue ragioni non fossero ancora sufficientemente chiare.

 

NOTE

[1] Aggravata dal fatto che, sebbene illegittima (perché viola l’unica idea scientifica, e quindi naturale, di legge), è di solito legale (cioè in linea con i comandi arbitrari dell’autorità di cui essa stessa è parte) e quindi, al contrario di una semplice estorsione, ha effetti sistemici (tutti negativi ovviamente, sia sul piano della scienza della libertà che su quello dell’economia).

[2] Intendono dire l’imposizione fiscale: sono ministri delle finanze e sembrano non conoscere nemmeno la differenza fra tasse e imposte.

[3] Il principio scientifico di uguaglianza davanti alla legge implica semplicemente che le stesse regole valgono per tutti allo stesso modo, nessuno escluso. Se un’azione è un crimine quando a compierla è Tizio allora essa è un crimine anche quando a compierla è Caio (p. es. lo stato). L’unica idea astratta di legge che è compatibile col principio scientifico di uguaglianza davanti alla legge è, guarda caso, la legge scientifica (il principio di non aggressione). In altre parole, i privilegi statali sono incompatibili col principio scientifico (logico) di uguaglianza davanti alla legge. Per esempio, l’imposizione fiscale in quanto tale è una violazione del principio di uguaglianza davanti alla legge in quanto presuppone che lo stato possa compiere legalmente azioni che se compiesse la persona comune sarebbero considerate dei crimini.
Le violazioni del principio di uguaglianza davanti alla legge tuttavia possono sommarsi le une sulle altre. L’imposizione fiscale è il caso tipico. Un’imposizione fiscale di 100 euro sul reddito di ogni individuo o azienda è una violazione del principio di uguaglianza davanti alla legge che possiamo chiamare “semplice” (o di primo grado) per evidenziare il fatto che non presuppone altre violazioni di quel principio. Viceversa, la proporzionalità fiscale (p. es. un’imposizione fiscale del 10% sul reddito di ogni individuo o azienda) è una violazione del principio di uguaglianza davanti alla legge “di secondo grado”: tale principio infatti viene violato non solo nella tassazione in quanto tale (vedi sopra) ma anche nel fatto che chi ha un reddito maggiore paga più imposte rispetto a chi ha un reddito minore, anche se nella stessa proporzione. La progressività fiscale (p. es. un’imposizione fiscale del 10% sui redditi da 0 a 10.000 e del 20% sui redditi da 10.001 a 100.000) è una violazione del principio di uguaglianza davanti alla legge “di terzo grado”: tale principio infatti viene violato non solo nella tassazione in quanto tale e nel fatto che chi ha un reddito maggiore paga più imposte di chi ha un reddito minore, ma anche nel fatto che la percentuale del prelievo è maggiore per redditi maggiori. E così via.
La disuguaglianza legale è una particolare forma di violazione del principio di uguaglianza davanti alla legge che le costituzioni degli stati confondono in modo voluto e nascosto col principio di uguaglianza davanti alla legge. Si ha disuguaglianza legale quando un’autorità tratta allo stesso modo soggetti che, in base a criteri di sua scelta, ha raggruppato nelle stesse categorie. E tratta in modo diverso soggetti che ha raggruppato in categorie diverse. Tutti i privilegi statali (a partire dall’imposizione fiscale) sono una forma di disuguaglianza legale. La progressività fiscale è anch’essa una forma di disuguaglianza legale (che si somma alla precedente), così come lo sono le “leggi” razziali, per esempio.

[4] Ci sono anche altri aspetti della simbiosi (per esempio quelli relativi al divieto statale dell’uso del contante) che tuttavia qui tralascio per esigenze di spazio.

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