“Fermare il declino” ha fallito perché non era per nulla liberale

GIOVANNI BIRINDELLI (6.3.2013)

(Original publication: L’Indipendenza, qui con errata corrige)

In un articolo pubblicato ieri su questo giornale, Costantino de Blasi (candidato per Fare per Fermare il Declino – FFD – alle recenti elezioni politiche), ha discusso le ragioni che, dal suo punto di vista e al netto della figuraccia di Oscar Giannino, stanno alla base dell’insuccesso del suo movimento. Io personalmente ho un’opinione molto diversa su quelle ragioni. De Blasi in sostanza difende i contenuti della piattaforma “innovativa e finalmente liberale” di FFD (i 10 punti) e, chiedendosi perché questa piattaforma “non sia riuscita a convogliare il consenso diffuso di quella vasta area dell’elettorato che dice di riconoscersi in posizioni moderate” individua le ragioni:

a) in un problema di comunicazione (“Vien da pensare che il lavoro elaborato dai comitati tematici sia poco adatto ad un elettorato che riconosce facilmente gli slogan ma che non ha mai avuto fra le mani un testo di macroeconomia”);

b) nella tendenza dei liberali a dividersi in mille rivoli (“microidentitarismo”). De Blasi conclude affermando che “L’impressione, desolante, è che nel nostro Paese non sia possibile convogliare su un unico soggetto politico le istanze dell’area che si riconosce nei principi del libero mercato”.

Come spesso accade a chi perde, de Blasi cerca le ragioni della sconfitta all’esterno, senza mettere in discussione la base dell’edificio. Tuttavia, anche in questo suo articolo, è possibile vedere con chiarezza quali sono le contraddizioni che minano alla base il progetto di FFD.

In una struttura istituzionale ed economica come quella attuale, essere liberali significa mettere in discussione quella struttura e quindi essere ‘rivoluzionari’. Questo non significa necessariamente fare un programma che dall’oggi al domani rivoluzioni l’attuale struttura istituzionale ed economica, ma significa necessariamente fare un programma che:

a) individui questa rivoluzione istituzionale ed economica almeno come obiettivo di lungo periodo;

b) che, nell’immediato, proponga almeno un primo passo significativo in quella direzione (individuando possibilmente anche i passi successivi e comunque mai perdendo di vista l’obiettivo di lungo periodo).

I liberali, comunque la pensino, sanno infatti che le ragioni del declino stanno in quella struttura istituzionale ed economica incompatibile col libero mercato che FFD non ha minimamente messo in discussione; e nello specifico: nell’assenza di separazione fra potere legislativo e potere politico (e quindi nell’illimitatezza del potere politico prodotta dal positivismo giuridico), nei privilegi del corso forzoso, dellariserva frazionaria, della stampa di moneta, della fissazione arbitraria del tasso d’interesse. Pensare anche solo di avvicinarsi al libero mercato senza affrontare questi problemi significa non aver capito cosa è il libero mercato.

Quindi nella piattaforma di FFD non c’era nulla di “innovativo” e nulla di “finalmente liberale”, e questo la casalinga di Voghera lo ha capito, o comunque ‘sentito’, benissimo. Il liberale è naturalmente capace di parlare alla casalinga di Voghera. Basti pensare a Ron Paul, o alla semplicità e chiarezza degli autori liberali nei cui testi è difficile trovare una sola formula matematica. Basti pensare al fatto che, per capire l’idea di legge del liberale (il principio astratto e generale), la quale in molti casi può essere in contrasto con misure particolari che a breve termine fanno gli interessi della casalinga e/o a cui essa è a favore, la casalinga di Voghera non ha bisogno di studiare libri incomprensibili ma le basta guardare dentro di se. Soprattutto, basti pensare al fatto che il liberale, a differenza dei keynesiani, dei monetaristi e dei neoclassici, parte dall’azione umana e non dai testi di macroeconomia, la quale, se è scissa dall’azione umana e quindi non solo da una coerente teoria microeconomica di partenza ma anche da una coerente filosofia politica, è buona al massimo per accendere il fuoco del caminetto.

La casalinga di Voghera sa che c’è qualcosa che non va nel sistema, nella struttura. Ma non sa che cos’è perché nessuno glielo spiega: perché nessuno le spiega che la legge non è il provvedimento particolare (lo strumento di potere) ma il principio generale e astratto (il limite al potere). Così basta uno come Grillo che dice di attaccare quella struttura perché lei lo voti (quando lui mantiene quella struttura intatta tanto quanto FFD e i partiti classici perché ne ha bisogno quanto loro per realizzare il suo programma). FFD ha fallito, in sintesi, perché non è un movimento liberale. Un movimento liberale, oggi, non si rivolge ai moderati, si rivolge all’anima rivoluzionaria che i moderati, e non solo loro, hanno dentro di loro, spesso a loro insaputa, quando sentono che c’è qualcosa che non va nella struttura ma non sanno esattamente cos’è.

Su Facebook mi è capitato di vedere un bellissimo manifesto elettorale di FFD, quello che richiamava il film The Matrix e, come Morpheus con Neo, proponeva all’elettore la scelta fra la pillola rossa e quella blu. FFD ha fallito perché Neo ha capito che fra le due pillole non c’era differenza e che la pillola rossa non lo faceva uscire da Matrix (e non scordiamoci che all’inizio l’uscita da Matrix è necessariamente molto dolorosa).

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