La manipolazione monetaria è la causa della crisi, non la cura

GIOVANNI BIRINDELLI (13.2.2013)

(Original publication: Movimento Libertario, L’Indipendenza)

Fra molti paesi industrializzati (Giappone e Stati Uniti in testa) è attualmente in atto una sorta di competizione a chi svaluta di più la propria moneta. In un recente articolo dal titolo “Il super-euro preoccupa? Se la Bce potesse stampare moneta calerebbe a 1,18 dollari“, Il Sole 24 Ore si lamenta che da questa competizione si sia autoesclusa l’Europa la cui Banca Centrale, per statuto (e a differenza della Federal Reserve americana), in teoria potrebbe intervenire solo per mantenere l’inflazione entro il limite del 2% e non anche per ‘sostenere la crescita e l’occupazione’.

Insomma, il giornale di Confindustria si lamenta del fatto che l’Europa non stia svalutando abbastanza e la sua tesi è che per creare crescita occorra stampare ancora più moneta così da svalutarla e stimolare le esportazioni, più o meno come faceva l’Italia ai tempi della lira: “Secondo una recente analisi di Morgan Stanley ogni apprezzamento del 10% dell’euro equivale a una riduzione del Pil dell’Eurozona dello 0,5% e a una minor crescita degli utili societari del 3%. Dati che spiegano, senza mezze misure, che in questa fase di crisi economica globale la guerra delle valute in atto viene vinta da chi riesce a tenere il cambio più basso e ad attuare quelle svalutazioni competitive che gli italiani che erano al top della forma negli anni ’70 ricordano bene”. Questa tesi sembra essere condivisa da alcuni governi europei: François Hollande, per esempio, il quale evidentemente, insieme a Mario Monti, appartiene alla categoria psicologica di coloro che entrano in uno stato d’ansia al solo pensiero che qualcosa possa sfuggire alla totale pianificazione centrale, sostiene che occorre intervenire a livello politico perché “la moneta unica non puo’ fluttuare secondo gli umori del mercato”.

Articoli e commenti come questi confermano i timori di Hayek il quale nel 1931 scriveva che “Mentre le forme più ingenue di inflazionismo [politiche monetarie che producono un aumento della quantità di moneta, n.d.r.] sono oggi sufficientemente screditate da non fare troppo danno nel prossimo futuro, il pensiero economico contemporaneo è così permeato da un inflazionismo di tipo più sottile da far temere che per qualche tempo [forse Hayek non pensava così tanto tempo, n.d.r.] dovremo ancora subire le conseguenze della manipolazione della moneta e del credito”.

Per quanto, da Keynes in poi, la tesi di fondo esposta nell’articolo de Il Sole 24 Ore e che sta all’origine dell’attuale “guerra delle valute” (e cioè che i problemi del mondo si possano risolvere aumentando la quantità di moneta) sia quella di gran lunga più condivisa dai governi e dal potere politico (chissà perché), dai cosiddetti ‘economisti’ di regime, dalla maggior parte dei bracci destri dei governi (le banche centrali), dalla stampa prona a questi ultimi, dai vari gruppi di interesse e dai cialtroni che di solito parlano nei salotti televisivi, essa è totalmente falsa, produce necessariamente impoverimento e implica livelli di totalitarismo sempre maggiori che si accompagnano a un progressivo arretramento della civilizzazione.

Le ragioni sono spiegate dagli economisti della Scuola Austriaca (e in particolare da Ludwig von Mises, Friedrich von Hayek e oggi Jesús Huerta de Soto), che poi è l’unica scuola di economia degna di questo nome in quanto è l’unica che dispone di una teoria del capitale (cioè che collega in modo coerente gli aspetti monetari a quelli della produzione) e che integra coerentemente teoria economica e filosofia politica.

Queste ragioni consistono essenzialmente nel fatto che, aumentando la quantità di moneta (mediante la stampa di moneta e/o mediante il meccanismo della riserva frazionaria) oppure abbassando arbitrariamente il tasso d’interesse, si producono informazioni false sul tasso d’interesse: in particolare si segnala un aumento di risparmi che non c’è. Sulla base di queste informazioni sbagliate verranno fatti investimenti sbagliati (utilizzando l’immagine di Mises, viene iniziata la costruzione di un immobile con fondamenta troppo grandi e senza sapere che non ci sono materiali sufficienti per completare il lavoro). Ma la quantità di moneta non può aumentare all’infinito (la “guerra delle valute”, per esempio, non può continuare all’infinito): quando si ferma (e prima o poi dovrà necessariamente fermarsi) questi errori verranno a galla e sarà il disastro economico, che lascerà dietro di sé impoverimento e una struttura produttiva de-sviluppata. La crisi sarà tanto più dura e più lunga quanto più a lungo sarà stata stampata moneta dal nulla.

Per generare crescita occorre ricollegare gli investimenti ai risparmi, non scollegarli ulteriormente: è stato lo scollegamento degli investimenti dai risparmi a produrre la crisi, ed esso è stato reso possibile dalla manipolazione monetaria e del credito (e cioè dalla stampa di moneta, dal meccanismo della riserva frazionaria e dalla fissazione arbitraria dei tassi d’interesse). Per vederne le ragioni in modo intuitivo, possiamo pensare all’aumento spontaneo del risparmio come a del tempo investito nell’allenamento fisico: questo tempo sarà sottratto al tempo libero (consumi) ma consentirà di scalare una montagna. Seguendo la stessa metafora, possiamo pensare alla manipolazione monetaria come a un preparato chimico che non fa sentire la fatica: chi lo prende può scalare la montagna immediatamente, senza sentire la fatica e senza sacrificare tempo libero per l’allenamento. Dopo un po’, tuttavia, il corpo dello scalatore, che senza allenamento non ha potuto rafforzarsi e che senza i segnali della fatica non ha potuto autoregolarsi, necessariamente collasserà.

La crescita e la prosperità può venire solo da un aumento spontaneo dei risparmi e quindi da una contrazione dei consumi: per quanto inaccettabile questo sia ai nemici dei capitalismo e cioè dell’economia di mercato, non ci sono alternative, non ci sono scorciatoie. Come dice Mises, “Ciò di cui c’è bisogno per una solida espansione della produzione sono maggiori beni capitali, non maggiore moneta o mezzi fiduciari. Il boom dell’espansione creditizia è costruito sulla sabbia delle banconote e dei depositi. Deve necessariamente collassare”.

L’unico modo per uscire dalla crisi è quindi rendere impossibile la manipolazione monetaria e del credito per riagganciare gli investimenti ai risparmi, anche se nell’immediato questo significa lasciare che la crisi ripulisca il sistema dagli investimenti sbagliati e quindi che faccia il suo corso. Nel breve termine, come propone de Soto, questo richiede una desovietizzazione della struttura monetaria e creditizia (abolizione delle banche centrali, abolizione della riserva frazionaria, ritorno alla parità aurea). Nel lungo termine, richiede che il potere politico (il potere di approvare i provvedimenti particolari) sia efficacemente separato dal (e soprattutto sottoposto al) potere legislativo (il potere di difendere la legge intesa come principio generale e astratto). In altre parole, nel lungo periodo l’impedimento della manipolazione monetaria e del credito richiede che dalla sovranità dei legislatori si ritorni alla sovranità della legge (il che implica l’abolizione di tutti i privilegi, compreso ovviamente quello del corso forzoso): se si rimane in una situazione di potere politico illimitato, un eventuale impedimento della manipolazione monetaria e del credito durerebbe il tempo di un batter di ciglia.

Per ovvie ragioni, nessuno fra coloro che in Europa detengono il potere politico ha incentivo ad eliminare le cause strutturali dei problemi: essi danno la colpa ad altri (di solito al libero mercato, e quindi al capitalismo, la cui assenza è proprio quella che ha prodotto la crisi). Spesso, come nell’articolo citato all’inizio dell’articolo, la colpa viene data all’euro, ma non perché l’euro è oggetto di manipolazione monetaria, ma perché non lo sarebbe abbastanza. Alcuni auspicano addirittura il ritorno alla lira così che si possa tornare a svalutare più liberamente. In Europa tutto viene discusso, tranne che le cause della crisi.

Negli Stati Uniti, tuttavia, l’emergere di un consenso, soprattutto fra le nuove generazioni, a favore di movimenti politici che finalmente affrontano a viso scoperto le cause strutturali della crisi (mi riferisco in particolare a Ron Paul), dà qualche segnale di speranza. In Italia, nel frattempo, briciole quali il federalismo, la privatizzazione della RAI, una diminuzione di qualche punto percentuale della pressione fiscale in diversi anni, vengono presentate, dall’unica forza politica che sostiene di voler promuovere il libero mercato, come le grandi misure necessarie e sufficienti per battere la crisi e produrre crescita…

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